Il Bosco – Parte I Capitolo I – continua

II

 La signora Viviana Saitta in Perasso era una donna di rapidissime decisioni frutto di lente riflessioni. Le sue azioni non erano mai accompagnate da sensi di colpa e se qualche volta aveva avuto paura, pochissimi se n’erano accorti.

      Aveva conosciuto Marco al liceo, dopo due anni si erano “messi insieme” ufficialmente, si erano diplomati, lui si era iscritto all’università e nel frattempo aveva cominciato a lavorare nello studio di architetto del padre e a guadagnare il primo stipendio, per quanto modesto. E allora si erano sposati, giovanissimi. “Perché aspettare?” Aveva osservato lei. “Tanto”, aveva aggiunto non senza ragione, “se aspettiamo il momento davvero giusto, finiremo per non farlo mai”.

   Non aveva neppure fatto in tempo a cercarsi un lavoro, Cristina era arrivata quasi subito ed Elisa un paio d’anni dopo, così non ci aveva più pensato. Non le era mai pesata quella scelta, si era dedicata alle due figlie con la stessa dittatoriale dolcezza che usava con Marco, senza particolare sensibilità o istinto materno, ma con molto affetto e un mirabile talento nell’ottenere rispetto e obbedienza senza smettere di farsi voler bene. Erano cresciuti tutti e quattro insieme, e lei si era lasciata scivolare gli anni addosso, senza mai porsi il problema della durata dell’amore.

   E poi…

   Con Marco l’amore, per quanto precoce, era cresciuto lentamente, si erano annusati a lungo, prima di decidere che la cosa poteva funzionare. Con tutta la sua rapidità di decisione, Viviana non aveva mai creduto al colpo di fulmine. Poi una sera Marco aveva invitato a cena Fabrizio Martini, un suo collega. E lei aveva cambiato idea nel giro di due ore.

     La conversazione era finita sulle manifestazioni dell’anno prima, contro il governo Tambroni.

   “La rivolta di una banda di facinorosi, estremisti mangiapane a ufo, pulciosi e capelloni che cercano solo un pretesto per portare scompiglio”, l’aveva bollata Marco.

Fabrizio era scoppiato a ridere. “Beh – aveva convenuto allegramente – estremista un po’ di natura magari lo sono anch’io, e sicuramente c’è chi pensa che in quanto borghese io sia un mangiapane a ufo, ma pulcioso e capellone francamente non me lo aveva ancora detto nessuno. Ma forse eravamo davvero così, una bella manica di facinorosi. Sognare è una cosa un po’ ribelle e probabilmente del tutto inadatta a un serio professionista quale io dovrei essere. Ma ho anche un lato ragazzino, e ancora mi ci diverto e mi ci arrabbio come uno sciocco. A volte però, per scoprire in qualcosa una forma diversa bisogna solo esplorare con lo sguardo giusto.”

Marco non poteva non essersi accorto di aver fatto una gaffe, ma proseguì come se nulla fosse. 

“Non saprei, io sono una persona del tutto normale e non vedo le forme cambiarmi davanti, per me un quadrato resta un quadrato e un cerchio resta un cerchio”.

Fabrizio aveva riso di nuovo.

“La mia vita invece è piena di cerchi che si squadrano e quadrati che si arrotondano. Vedere le forme cambiare mi serve a mantenere il mio equilibrio, sempre ammesso che ne abbia almeno un po’.”

Solo allora Viviana scoprì che aveva amato Marco credendo che le sue invenzioni potessero dare una forma diversa alle cose, mentre lui dalle cose era sempre fuggito. E si accorse che invece, dare alle cose una forma diversa era ancora possibile. 

Trentaquattro anni, quattordici di matrimonio, due figlie, eppure lasciò che le sue mani tremassero, quella sera, e accettando di incontrare lo sguardo di Fabrizio, implicitamente gli consentì di frugarci dentro, di capire. Perché sapeva fin da subito che lui aveva capito tutto. 

    Era stata quella una delle volte in cui aveva avuto paura. Forse, se avesse saputo come farlo, avrebbe chiesto a Marco di non invitarlo più. Ma Fabrizio veniva da uno studio importante e Marco aveva accarezzato l’idea di entrare in società con lui. Seguirono altre cene, altri incontri, e poi non ci fu più modo di negare il loro desiderio di vedersi da soli. Teatro, cinema, mostre, concerti. Fabrizio le spalancò un mondo che aveva sempre solo sbirciato dallo spiraglio di una porta socchiusa. Non che fosse digiuna di cultura, tutt’altro: aveva fatto parte della sua educazione borghese per tutta la prima parte della sua vita. Eppure le si rivelava solo adesso per la prima volta l’inatteso erotismo della bellezza, quell’inesplicabile incantamento dei sensi, il corpo sedotto non solo da un altro corpo, ma dalle parole. Con allegria, passione e infinita pazienza egli districò per lei il segreto per imprimersi nell’anima tutto ciò che vedeva- E lei lasciò che insieme le si imprimesse dentro anche lui.

    Così anche la leggenda di Viviana, la dama del lago che aveva imprigionato Merlino per sempre in un cerchio magico, legata a lei se non altro dal nome, era diventata un racconto di amore non ortodosso. “Non credo che Merlino sia stato ingannato, credo anzi che abbia insegnato a Viviana la forza segreta dell’irrazionale proprio perché aveva capito ciò che lei voleva fare e l’aveva accettato, in piena consapevolezza. Questa sarebbe la storia, se l’avessi scritta io. E se fosse la mia storia, ti direi che è così che ancora oggi Viviana tiene legato a sé il suo amore, perché non esiste nessun incantesimo che possa spezzare quel cerchio”.

   Non era stata la storia, semmai forse le parole che aveva usato, ma no, neanche quelle. I suoi occhi scuri, nella penombra dolce che entrava dalle persiane semichiuse, erano sembrati come trasparenti, quasi che il mondo ci si riflettesse attraverso, per poi restituire loro quella luce che illuminava tutto ciò che lui osservava, cose e persone. E quello sguardo di tranquilla sicurezza, lo sguardo di uno che mai avrebbe avuto paura di amare troppo.

   Pochi giorni dopo aveva affrontato Marco. Aveva messo a fuoco lei stessa, parlando con lui, tutto quello che inesorabilmente, in silenzio, si era portato via quelli che loro erano stati, e il loro matrimonio.

     “Vorrei che cambiassi idea”, aveva detto lui. Tipico.

     “Marco… non cambierò idea. Sai benissimo come sono fatta. O dovresti saperlo.”

   Lui aveva piegato la testa per guardarla di sbieco, con un sorriso anche quello sbieco.

     “Sì, hai ragione, dovrei saperlo, e invece mi accorgo che non lo so. Capisco che è molto grave accorgerti dopo quattordici anni che non sai niente di tua moglie.”

     Non aveva fatto scenate, non era nel suo stile. Il suo stile era chiudere tutto con qualche battuta, una stoccata in punta di fioretto, senza accorgersi che il veleno tenuto dentro stillava fuori subdolo comunque in quei finti dialoghi da radiodramma, e ancor peggio, nel modo in cui usava le bambine, del tutto inconsapevolmente senza dubbio, trasformando le fiabe di un tempo in un’arma con cui si vendicava senza provare nessuna soddisfazione, perché nemmeno se ne accorgeva.

      Era stata la rapidità di azione di Viviana ad aiutarla anche questa volta. Si era chiesta se Elisa e Cristina avrebbero sofferto molto e la risposta che si era data era stata sì, ma mai quanto a vederla, giorno per giorno, sopportare con crescente disillusione e amarezza il cinismo che Marco celava sotto quell’aria di uomo di mondo, quella sua espressione dolente e afflitta di martire compiaciuto di sé che non sapeva più perdonargli. Non si era data il tempo di considerare la situazione di una donna separata con due bambine, un nuovo compagno che sarebbe stato chiamato il suo amante, e lei una concubina, un’adultera. Non aveva considerato praticamente niente. Si era buttata e basta.

   Sperando che sotto ad accoglierla non ci fosse un burrone.