I ladri del tempo

Parole. Parole scagliate, schiantate come una cascata verso la valle. Come stalagmiti di ghiaccio, bellissime e fredde, scintillanti e feroci. Le parole hanno inventato i sentimenti. Le parole hanno inventato l’uomo, e non il contrario. Le parole disegnano i nostri contorni, sono un seme piantato nella terra, e il grano che cresce, il vento che piega le spighe, la grandine che le schiaccia, il sole che le matura e la falce che le taglia. Oggi non avevo più parole, le avevo finite tutte. E per un istante, quell’istante in cui sono rimasto senza parole, ho smesso di esistere.

E non sono solo le parole. Anche il corpo mi sta abbandonando. I colori, per esempio. Ho già perso il rosso, il giallo, l’arancio. Il sole all’alba, al pomeriggio e al tramonto ha un unico non-colore. C’era tra il verde e l’azzurro una differenza nitida, evidente, incontrovertibile, come tra il cielo e il mare, o tra il cielo e la terra. Ora non più, e forse questo vuol dire che anche la differenza tra il cielo e il mare va svanendo, la stessa differenza tra il cielo e la terra è più sfumata, più presente nei miei ricordi, qualcosa che prendo per scontato, più che sperimentarlo con scientifica obiettività nel tempo della mia vita attuale. Forse stiamo tornando a quel tempo primordiale in cui non c’era separazione tra i continenti, le acque e la volta celeste. Forse stiamo tornando al Caos.

I sapori invece li ho perduti tanto tempo fa. E gli odori. C’era un tempo, lo so, in cui potevo riconoscere, dal gusto o dal profumo, tanto un frutto da un altro, quanto una donna da un’altra. Oggi non più. Vedo una pesca, so che è una pesca, ma in che cosa differisce da una mela o da un’arancia? Sanno di acqua, tutte allo stesso modo. E la mia donna… so che è la mia donna, ma in qualche modo è come se anche lei fosse diventata d’acqua. L’universo è solo una massa d’acqua insipida e inodore. Neanche toccare con le mani, mi aiuta, perché le mie mani non toccano che acqua, sfuggevole, evasiva, né fredda né calda, né dura né morbida. Inesistente. Trasparente. Inutile.

E le mie orecchie… le mie orecchie sono cambiate? Qualche volta penso di no. Le sento, le loro voci che parlano, alla radio, alla televisione, dalle piazze con gli altoparlanti. Non si fermano mai, e coprono ogni altro suono. Non c’è più musica, non ci sono più i chiacchiericci dei crocchi agli angoli delle strada, gli urli dei bambini, sempre sul confine tra la paura e il divertimento. Neanche il rumore delle frese, dei trapani, dei martelli pneumatici, degli allarmi che attaccavano il loro lamento d’improvviso nelle notti di temporale. Nulla più, solo le loro voci. E non so se è perché io riesco a sentire solo quelle, o se perché proprio i suoni sono scomparsi dalla faccia della terra, appiattiti e schiantati da quelle voci nefaste.

Chi è quella gente? Da quale abisso dello spazio e del tempo è arrivata qui?
Mio padre, lettore accanito di miti greci, mi diede nome Nestore, perché di tutti gli eroi dell’Iliade era stato Nestore l’unico a giungere a tarda età, audace in gioventù, saggio in vecchiaia. Questo sperava per me. Non un destino particolarmente glorioso, non la morte in battaglia o i viaggi nell’impossibile, ma l’orgoglio di rappresentare la memoria di un popolo. E la memoria, quella, mi è rimasta. Mnemosine, tra tutti gli dèi, non mi ha ancora abbandonato. E’ la mia fortuna o la mia disgrazia? Forse, la chiarezza delle percezioni che ho perduto è diventata perfezione del ricordo. Date, avvenimenti, persone, cose, sono tutti lì, nella mia mente, senza sbavature, senza ripensamenti, senza la nebbia che di solito li confonde, rendendoli vaghi quanto più sono remoti nel tempo. Ricordi di ieri o ricordi di trentasei anni fa, non c’è differenza per me.

L’urlo di quando sono nato paura libertà fame orgoglio immenso dolore di aver perso il mio nascondiglio smisurata dolcezza di vivere. Ogni nuovo segno sul viso di mia madre che invecchia, la forma delle unghie sulle mani di mio padre, la casa e tutti gli oggetti che conteneva, fino all’ultimo straccio nell’angolo più nascosto della dispensa, le foglie dell’albero su cui mi arrampicavo, le loro nervature, i cambiamenti di luce con le ore del giorno.

Non solo quello che appartiene a me. La nostalgia mi prende a volte per ciò che non è mai stato mio. Un giardino che scivola da un pendio della riviera, il bosco dietro, e davanti forse il mare che non vedo, ma c’è, so che c’è. E ogni fiore del campo, le radici, la terra, i calabroni, il bruco che smuove le zolle, il ragnetto dell’orto tra i vigneti che sale sul letto la notte. E le navi. Vele, sartie, alberi, ponti, cabine, senza misteri, senza lacune nella mia memoria di uomo della terra che mai ha messo piede sul mare. E le sale dei castelli, di cui conosco ogni arazzo, ogni disegno del pavimento, la forma della punta di ogni lancia nella sala delle armi. E aerei, e treni, e carovane di cammelli, e la sella dura sulla schiena di un cavallo. I miei antenati avevano forse abitato le case della mia nostalgia, percorso quelle strade, quei deserti, quelle acque. Sono stato mille volte cacciatore, prima che oggi mi costringessero a questa caccia, e mille volte contadino, e principe, marinaio, fabbro, calzolaio, esploratore.

Non ho mai fatto nessuno di questi mestieri.

Sono sempre stato solo un venditore di parole, le vendevo per nascondermi e confondermi in chi le leggeva le ascoltava le ripeteva le recitava le ricordava parole di luce parole d’ombra parole di follia parole di saggezza. E mai il silenzio.
Perché l’avevo capito, che il giorno del silenzio sarebbe stato il giorno della nostra resa e della nostra morte. L’avevo capito, che se avessi smesso di ricordare, se avessi perso le parole che avevo accumulato per tutti i giorni i minuti e gli istanti della mia vita, il mio popolo avrebbe perso la memoria. Avremmo perso tutto. Per sempre. Le parole, tutte le parole hanno un colore, un sapore, una consistenza, una forma. E questo è il mio colore, il mio sapore, la mia consistenza, la mia forma. Questo sono io, e devo scrivere prima di dimenticare. Il mondo buio, senza sapore, senza odore, senza forma o consistenza che mi siano visibili, posso ricostruirlo con le parole, ma senza le parole tutto sarà finito.

Loro lo sanno.

Sento le loro voci, di nuovo. Ogni volta che sento quelle voci sparisce un colore, non trovo più un suono, perdo un sapore. Le loro voci che ripetono, ossessionanti, sempre le stesse parole. Una lunga fila di orrori, di paure, di pericoli mortali.

“Si ricorda alla cittadinanza che è fatto obbligo di chiudere ogni casa con un muro dell’altezza di metri dieci che circondi interamente l’abitazione, chiuso da un cancello con corrente ad alto voltaggio; si ricorda altresì che porte e finestre dell’abitazione dovranno essere blindate. In mancanza di queste precauzioni, il Consiglio dei Saggi vi riterrà responsabili nel caso restiate vittima dei reati di furto, rapina, stupro, rapimento ed ogni altro delitto che venga commesso a causa della vostra negligenza.

Alla cittadinanza è vietato viaggiare oltre il confine del Regno della Saggezza, ogni viaggio comporta un rischio per la vostra sicurezza. Lo Stato non può difendervi. Incidenti, banditi, malintenzionati. Oggi le città del mondo sono ricettacoli di criminalità e il pericolo si annida ovunque.

I cittadini al di sotto dei quindici anni non potranno uscire se non accompagnati da un adulto armato o in grado di utilizzare tecniche di autodifesa. Ogni cittadino dovrà imparare ad usare mezzi di autodifesa a partire dai sei anni di età.
Si ricorda che sono vietati gli assembramenti di cittadini di qualsiasi età, poiché possono portare a disordini, litigi e contrasti che il Consiglio dei Saggi intende evitare perché la popolazione viva nella più grande pace e tranquillità. In nessun luogo, di qualsiasi natura, potranno essere presenti più di due persone per volta le quali si conoscano e possano avere reciproco contatto.

Si ricorda che è assolutamente vietato sotto pena di morte accogliere sotto il proprio tetto o avere comunque contatti di qualsiasi natura con persone di luoghi diversi dal Territorio dei Saggi.

Si ricorda che è fatto divieto di parlare con chicchessia di politica, religione, storia, geografia, letteratura, argomenti tutti i quali possono suscitare pensieri di malinconia, insoddisfazione, e dar luogo a conflitti di opinione che il nostro saggio governo intende in ogni modo evitare. Si ricorda che controlli casuali verranno effettuati sulla vostra corrispondenza e su ogni mezzo di comunicazione, e che sarà in ogni tempo facoltà del governo entrare nelle vostre abitazioni per ricercarvi mezzi clandestini che nella illuminata, benevola e insindacabile opinione del nostro Consiglio dei Saggi abbiano o possano avere come conseguenza l’insinuazione di idee pericolose nella mente dei nostri beneamati cittadini.

Si ricorda che, benché l’uso del primitivo rito della nomina dei rappresentanti dei cittadini per via elettiva sia stato mantenuto per rispetto delle antiche tradizioni, il Consiglio dei Saggi suggerisce che i cittadini non hanno sufficiente consapevolezza e maturità per una funzione così delicata come la scelta dei propri governanti. Chi ritenesse nondimeno di avere i requisiti necessari, potrà richiedere la scheda elettorale, che verrà concessa dal Consiglio previa verifica dell’effettiva sussistenza di tali requisiti. Che ne fosse trovato sprovvisto, decadrà dalla possibilità di presentare una nuova richiesta per un tempo minimo di cinque anni, estendibile a discrezione del Consiglio. Si ricorda che chiunque abbia in passato manifestato opinioni non conciliabili con la politica di pace, serenità e sicurezza che il nostro illuminato governo porta avanti, sarà automaticamente ritenuto inidoneo al voto per un periodo di almeno cinque anni, estendibile a discrezione del Consiglio.

Ricordate di non affacciarvi alla finestra, esistono i proiettili vaganti. Ricordate di non uscire di casa senza esservi debitamente provvisti di giubbotto e cappuccio antiproiettile. Ricordate di dotare ogni vostro oggetto personale dei dispositivi di sicurezza di volta in volta specificati dal Consiglio dei Saggi.

Ricordate. Una vita sicura è una vita felice.
Adesso la mia compagna è qui. Non dovrebbe esserci, perché l’amore è proibito più di ogni altra cosa, in quanto mette a rischio la serenità del popolo. La cosa buffa è che la mia compagna si chiama Serena. E lei è davvero così. Nonostante questo nostro mondo paradossale, dove la vita si è persa nell’incubo del dover morire, e ogni cosa ha perso il senso della sua bellezza. Il sangue è vita ma è anche morte, un fiore può contenere un veleno mortale. Ma anche la saggezza, portata all’estremo, diventa follia.

All’improvviso so cosa devo fare, e lo sa anche lei. La guardo, cercando di compensare con la memoria quello che i miei occhi non riescono più a vedere, e le mie mani non sentono più. So che è bella. So che ha capelli e occhi scuri, e nel ricordo il suo corpo è ancora morbido, caldo e dolce, anche se non me ne accorgo più.

Non ho avuto nemmeno bisogno di parlare. Quando è arrivata, non ho richiuso la porta col catenaccio e la tripla mandata, come faccio sempre. L’ho lasciata aperta, spalancata, anzi. E lei si è messa a volare intorno come una farfalla, aprendo finestre, spegnendo la luce artificiale man mano che entra quella del sole, mettendo sul piatto del clandestino impianto stereo un disco proibito. Tutta la musica è proibita, alla radio si ascolta un solo canale, la Voce della Saggezza.

Questa casa ha un vantaggio. E’ vecchia. Vecchia e piena di anfratti, porte che sembrano aperte e invece sono chiuse, pareti che sembrano ininterrotte e contengono invece scomparti insospettati.

Prima di aprire porte e finestre abbiamo tirato fuori da ogni angolo segreto i miei libri, il mio tesoro accumulato negli anni, accuditi con amore, spolverati, sfogliati, letti e riletti perché le parole non mi abbandonassero, e Mnemosine continuasse a proteggermi. Una volta che la mia casa è tornata ad essere aperta al mondo, abbiamo aperto anche i libri al mondo. Là fuori, esposti a qualcosa che so essere più forte persino della saggezza: la curiosità umana. Non più un interlocutore alla volta, scelto con cura, per affinità e comunanza di emozioni. Non più quella cauta, furtiva trasmissione di conoscenze scambiate al buio, ma un fiume, un mare indistinto di persone non studiate, non selezionate, se non in base al loro stesso desiderio. L’uso che ne faranno non importa. Una parola può essere abusata, maltrattata, trascurata, ma non muore mai.

Adesso che i muri non mi proteggono più dai suoni esterni, ricomincio a sentire di nuovo. Non più solo le loro voci, ma l’angoscia della gente che nella certezza della sua tranquillità inalterabile ha scoperto una prigione molto più difficile da evadere di un edificio di acciaio e cemento.

La curiosità è donna, dicevano, molto tempo fa. Ed è proprio una donna a fermarsi per prima sotto casa nostra. Prende un libro con mani a un tempo titubanti e frettolose. Non sa se portarlo via. Vorrebbe sfogliarlo, ma sa di non avere molto tempo. I libri sono la cosa più vietata di tutte, la più pericolosa. Leggere il delitto più grave. E scrivere… scrivere è inconcepibile. Per questo lo faccio.

Vedo che la donna sta per andarsene, ha lasciato andare il libro, e mi prende lo sconforto. Ma quando già si è voltata, arriva un uomo con un bambino, le dice qualcosa. Lo sento parlare! Sta dicendo che conosceva anche lui quegli oggetti, un tempo, quando leggere non era ancora vietato, e sta spiegando qualcosa a suo figlio che lo riempie di domande a mitraglia. E ne arrivano altri. Si fermano e parlano, con aria di sfida.

Loro, i Saggi, si stanno organizzando, questo è certo. Ma ci mettono molto tempo, troppo. Non è trascorso neanche un quarto d’ora, e i libri sono spariti. La mia gente sa essere molto veloce, molto risoluta, e molto coraggiosa, se vuole.
Ma cosa succederà dopo? Non credo che lo saprò mai. Probabilmente non vivrò a lungo quanto Nestore. Non credo che racconterò ai figli dei miei figli la storia di questa strana guerra. Adesso che vedo e sento molte cose, adesso che sanno della mia memoria e delle parole che ho conservato e sparso con tanta disinvoltura per la nostra terra martoriata. Sarà forse una pallottola vagante a prendermi, presto o tardi, e spero ma non mi illudo che non ne abbiano abbastanza per prendere anche lei, Serena che mi dorme accanto e non so come non ha mai paura o forse ce l’ha e la nasconde per me o per se stessa o per tutti e due. Sento il suo corpo rannicchiato tra le mie braccia. Posso toccarla, seguire il suo profilo, e non più con la memoria soltanto, ma in questo presente. Come il sapore asprodolce, il rosso fresco e succoso delle fragole che abbiamo mangiato questa sera.

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