
Il Natale quell’anno Andrea lo trascorse da solo, in un carcere militare. Custodia preventiva. Sapeva benissimo che il suo gesto avrebbe avuto un costo, e forse credeva anche di essere preparato a pagarlo, ma non lo era veramente, non avrebbe potuto esserlo. Nei mesi durissimi che seguirono dovette imparare, perdere gli ultimi scampoli di sbruffoneria da adolescente. Il ragazzo che si curava poco delle conseguenze stava diventando un adulto che consapevolmente le affrontava, passo dopo passo, stringendo i denti.
La vergogna dei suoi genitori, la compassione dei vicini per la famiglia rovinata da quel figlio degenere, il processo, la condanna, l’accusa che tentava di presentarlo come un mezzo uomo senza onore, un mollusco viscido e vile che, se non corretto in tempo, avrebbe potuto, per mancanza di scrupoli morali, essere capace di qualunque nefandezza. Tutto questo aveva creduto di averlo messo in conto, ma viverlo davvero era stato molto diverso, una serie di colpi allo stomaco che lo avevano fatto vacillare più di una volta.
Gli avevano dato la condizionale, e per il momento di carcere aveva fatto “solo” tre mesi. Ma i giudici erano stati chiari, la condanna non cancellava l’obbligo della leva, e se lui si fosse rifiutato ancora, avrebbe subito una pena più pesante, e questa volta non sospesa.
Eppure non rimpiangeva affatto di aver intrapreso, magari d’impulso e non troppo razionalmente, quel percorso di cui adesso non vedeva neanche più la fine. E comunque ormai doveva andare avanti. Gli era pur sempre necessario essere in mezzo alle cose, vivere fino in fondo qualunque scelta decidesse di fare.
Una delle cose che gli avevano dato più forza era stato il sostegno degli amici, anche di Matteo. Soprattutto di Matteo. Che non condivideva né la sua scelta di principio, né l’ostinazione di non voler cedere, ma era stato pronto a testimoniare – e in un tribunale militare, nonostante il sacro terrore che aveva dei tribunali in genere! – indignato profondamente per il ritratto di Andrea che avevano dipinto, così distante dalla realtà. Tutti sarebbero stati più che disposti a testimoniare. Andrea aveva rifiutato di coinvolgerli, ma la loro lealtà lo aveva commosso e inorgoglito a tal punto da rendergli molto meno difficile, da quel momento, continuare per la sua strada.
Quando uscì, a marzo inoltrato, era appena un po’ più magro – non che fosse mai stato sovrappeso – e aveva, nessuno avrebbe saputo dire dove, o come, qualche segno, non troppo marcato, ma comunque percettibile, che lo rendeva diverso da quello che era prima. La sua stessa irrequietezza, quella che forse l’aveva condotto fin lì, si era molto attenuata, quasi che non avesse più ragion d’essere, ora che era arrivato là dove doveva, e soprattutto voleva essere.
Tutti, nel gruppo, lo accolsero con un rispetto nuovo, tutti esprimevano nei suoi confronti, ognuno a modo suo, qualcosa che andava al di là dell’affetto di sempre. Persino Lorenzo, si capiva che gli costava, ma suo malgrado provava una sorta di riluttante ammirazione. Aveva fatto qualcosa, dopotutto, oltre a giocare alla lotta dalla poltrona della sua casa borghese. Marco esprimeva il suo stato d’animo con un fuoco d’artificio di scherzi e battute che, lungi dal ridimensionarlo, mettevano affettuosamente in luce le sue migliori qualità; in Matteo il desiderio di prenderlo a schiaffi, che lo coglieva di tanto in tanto, sembrava molto meno presente del solito; e quanto a Elisa… sì, il suo sguardo se l’era immaginato, ci leggeva, solo con più forza che negli altri, quelle stesse cose che lo avevano aiutato a tenere la testa alta, anche quando più forte era stata la tentazione di piegarla. Si sentiva più che mai, finalmente, forte della certezza di aver fatto la cosa giusta.
Alcune conseguenze, tuttavia, non se l’era neppure immaginate. Problemi che non avevano nulla a che vedere con tribunali, processi, testimonianze e conflitti familiari, ma con l’impossibilità di sottrarsi mai del tutto alla violenza del mondo.
Matteo non si era accorto che stavano arrivando. Come al solito. Vedeva sempre le cose un momento troppo tardi, imparava sempre dopo tutti gli altri, camminava sempre un passo indietro.
Tutta l’amarezza di una vita in ritardo gli arrivò addosso come un’ondata in quella frazione di secondo in cui si trovò nell’impossibilità di svicolare, eludere, cambiare strada pur di non essere coinvolto in uno scontro.
Matteo odiava gli scontri.
E quell’amarezza si riversò contro gli altri, Marco, Filippo, Lorenzo, Andrea. Andrea. Possibile che neanche lui li avesse visti? Non poteva crederlo. Tanto quanto lui era sempre in ritardo, Andrea era sempre un po’ più avanti, si accorgeva delle cose senza avere bisogno di pensarle, metterle a fuoco, elaborare strategie. Le interconnessioni, i nessi gli saltavano agli occhi senza che li cercasse. Eppure non aveva fatto niente per evitarli.
Non ci si poteva sbagliare, stavano venendo verso di loro. Giacconi di pelle, pantaloni neri, occhiali neri, capelli tagliati cortissimi e la faccia di chi non è lì per sbaglio, di chi non è mai distratto, non lascia mai niente al caso. Quanti erano? Cinque, sei? Loro erano solo in quattro e la preparazione atletica non era proprio il loro forte. Mentre “quelli” si facevano un vanto di essere degli arditi, gente d’azione, dove per azione si intendeva la preparazione costante alla battaglia di piazza, alla guerriglia urbana, allo scontro frontale e aperto con gli odiati bolscevichi.
“Ehi, ecco un po’ di feccia comunista” cominciò uno. Da una parte la feccia comunista. Dall’altra la gente da fogna. Senza sfumature, senza nessuna voglia di distinguere, di capire. Quello che aveva parlato sembrava piuttosto male in arnese, notò Matteo. Il naso pareva gli fosse stato deformato da un pugno, aveva una cicatrice sul collo e un’altra sull’attaccatura della mano. Chissà perché lui aveva sempre avuto l’idea che le avanguardie della destra, quelle che si dedicavano anima e corpo all’azione e al reclutamento, fossero in prevalenza gente dell’alta società, quelli che pensavano di avere diritto a mantenere privilegi secolari che gli venivano non dalla fatica, ma dal diritto di casta. Quelli però sembravano quasi tutti gente da case popolari, a parte forse uno o due che stavano davanti agli altri e davano il passo alla combriccola.
Quali erano più pericolosi? Non avrebbe saputo dirlo.
“Un bel gruppetto di amici dei gialli e dei negri, quelli che odiano l’Europa e i bianchi e vogliono mettere tutto il mondo in mano al baffone russo e a un branco di selvaggi che fino a ieri non sapevano neanche cos’era un fucile”.
“Meno male che siete arrivati voi a insegnarglielo” – commentò Andrea, sarcastico.
“Shh. – sibilò Matteo tra i denti. – Devi proprio provocarli?”
Era spaventato, e non solo a causa dei fascisti. Lo sguardo di Andrea era improvvisamente cambiato, aveva preso un’espressione che gli aveva visto solo un paio di volte, ma gli erano bastate per capire che in quell’umore era pericoloso. Era uno dei più convinti sostenitori della non-violenza che avesse mai conosciuto, eppure non lo aveva mai visto scappare e sapeva ferire parecchio con le parole. Che cosa pensava di fare? Quelli erano già decisi a fare a botte in ogni caso, ma se li sfidava…
“Era ora. Avevo proprio voglia di divertirmi un po’ – ridacchiò uno dei ‘loro’.
“Sì, non c’è niente di meglio che dare una lezioncina a questa canea rossa – incalzò un altro. – Questi… – sputò per terra – questi pacifisti vigliacchi, gente che si metterebbe la bandiera sotto i piedi, gente senza onore e senza valori. Gente senza fegato che rifiuta il servizio militare. Si meritano solo che qualcuno violenti le loro donne, ammazzi i loro padri e l’esercito non muova un dito per difenderli, tanto se li facessero fuori tutti non perderemmo granché. Così imparerebbero a rispettare i nostri soldati”. Quello che aveva parlato adesso era un biondino smilzo dagli occhi chiari e dalla parlantina più sciolta degli altri, era di quelli che usavano parole come patria, eroi, soldati, per armare di spranghe chiunque fosse abbastanza furioso e abbastanza confuso da seguirli, nella speranza di trovare uno sfogo alla frustrazione.
No, non erano lì per caso. Matteo improvvisamente capì. Erano venuti a cercarli apposta. Cercavano proprio Andrea, sapevano chi era e cosa aveva fatto, anche se loro ovviamente il carcere militare non lo avevano mai neanche visto da fuori. Neanche lui del resto, ma lui non avrebbe mai potuto mettere in dubbio il coraggio che c’era voluto, ad Andrea, per entrarci. Anche se all’inizio gli aveva dato del matto e dello stupido, segretamente glielo aveva anche invidiato, quel coraggio. Di certo, qualunque cosa si potesse pensare di Andrea, non era un vigliacco. Avrebbe voluto, dovuto difenderlo da gente che non era degna neanche di allacciargli le scarpe. Eppure, ancora una volta, si sentiva miseramente inadeguato a reagire. Non era in grado di difendere se stesso, tanto meno qualcun altro.
“Tutti voi rossi siete solo dei gran vigliacchi – disse quello con le cicatrici. – Capaci solo di nascondervi dietro i cespugli e strisciare, ma quando c’è da combattere a viso aperto scappate, come i vostri vietcong, come il vostro Che Guevara, che ha fatto la fine che si meritava, quella che farete anche voi.”
“Voi sognate la vita eroica, lui quella vita l’ha vissuta. – La voce di Andrea era perfettamente tranquilla, anche se lo sguardo la smentiva. Matteo ebbe per un istante la netta percezione del significato del termine calma mortale. – E’ molto più facile essere gli Eletti per nascita, che inseguire la giustizia e meritarsi il rispetto degli uguali – proseguì l’amico, sempre con quel sorriso beffardo negli occhi. – E sicuramente è più comodo cercare gloria affrontando un gruppetto di ragazzi disarmati che un esercito. Non potete amarlo perché lui è stato tutto quello che voi in fondo vorreste essere, senza esserne capaci”.
Un attimo dopo Matteo si trovò nella mischia. Cioè nella mischia non rende esattamente l’idea, perché implica un dare e un ricevere. Lui riceveva soltanto. Per un attimo non capì più niente, avrebbe voluto tirare pugni e calci dove capitava, senza neanche curarsi se avrebbe colpito i suoi amici o gli altri, li confondeva tutti e li odiava tutti. Ma naturalmente non fece niente del genere. Sentì la voce di Andrea, e quella non avrebbe potuto confonderla.
“Te li tengo buoni io, cerca di sgusciar via.” – Un sussurro complice, poi lo vide rigettarsi nella zuffa. Non se lo fece dire due volte, naturalmente. Lui lì non c’entrava. Se lo ripeté spesso in quei giorni. E spesso si ripeté che era molto grato ad Andrea di essere venuto in suo aiuto. Ma una vocina subdola continuava a insinuare un’altra verità: non credeva davvero fino in fondo a nessuna delle due cose.