LA LETTRICE DELLA DOMENICA 5 – Se consideri le colpe

Tra gli scrittori italiani Bajani è uno di quelli che amo di più sicuramente e questo quando l’ho letto, quasi una decina di anni fa ormai, ridendo e scherzando, l’ho trovato uno dei libri più belli usciti negli ultimi tempi e non solo. Un libro in cui hanno una voce forte i sogni, i sentimenti, la difficoltà di staccarsi da una madre lontana e idealizzata e di accettarne la figura reale, e nello stesso tempo hanno una voce forte certi aspetti della realtà del nostro tempo.
Un libro in cui mi sono immersa, “riconosciuta”, in un certo senso, non solo in certi aspetti che probabilmente appartengono in qualche misura a tutti, ma nello stesso modo in cui è scritto, compresa la forma della lingua usata.
Incantevole è il termine che mi viene alla mente.

«Hai cominciato a partire che ero piccolo. La prima volta è stato un viaggio di piacere, andare a trovare degli amici che avevano tentato la fortuna. Mi avevi disegnato il mondo sopra un foglio, la sera prima, e mi avevi fatto vedere dove andavi. Noi siamo qui, mi avevi detto, e domani io sarò in questo punto quaggiù. Avevi tracciato una riga con un pennarello rosso che partiva da casa e arrivava fin lì. È un ponte, dicevi, è come passare dall’altra parte del fiume. Così sotto il ponte avevamo colorato tutto di blu, avevamo riempito d’acqua l’Europa. Poi il foglio l’avevamo attaccato con lo scotch allo sportello del frigo, e lì è rimasto per gli anni a venire».

Andrea Bajani, Se consideri le colpe, Einaudi, 2007

SABATOBLOGGER 5 – I blog che seguo

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Diemme: Parlare di questo blog è complesso per me perché da molte cose che ho letto direi che abbiamo una visione molto diversa su tante cose. Il che non sarebbe un male, ma è un po’ come dicono riguardo ai social, no? Si tende ad “aggregarsi”, a cercare i profili a cui ci si sente più affini e loro lo sanno e se tu metti un like a qualcosa poi sta sicuro che ti proporranno pagine simili, persone che la pensano in modo simile, e via così. Sarebbe giusto uscirne ma non sempre è facile quando le differenze sembrano molto profonde. Comunque mi piace molto il suo “motto”, quelle citazioni che seguono il titolo e che costituiscono quasi una presentazione. Poi per esempio c’è questa riflessione e anche questo post con cui sento qualche punto di contatto. E allora ho pensato, per quante differenze possano esserci tra i punti di vista delle persone, su certi sentimenti e certi pensieri forse è sempre possibile incontrarsi.

La confraternita dell’uva (Ilbanditodelleoreundici) E’ un blog di racconti. Racconti bellissimi. Una di quelle non rare volte in cui non sarebbe giusto citarne uno solo perché si fa torto agli altri. Vi lascio il link di questo solo perché purtroppo è l’ultimo: Arrivederci amore ciao, ma ce ne sono altri precedenti anche più belli. A quanto ho visto, comunque, spesso è passato un intervallo di mesi tra un racconto e l’altro e il blog non è mai stato chiuso, il che mi fa sperare che magari ci sia un ritorno.

Tiferett Certo che sono proprio stupende queste foto! Come si fa a sceglierne una o due su tutte le altre? Indicherò questaquestaquesta e questa perché mi hanno colpito in modo particolare, ma non sono le uniche e insomma, se per caso ancora non lo conoscete, conoscetelo 🙂

Michele (Caliban)  Bellissima questa Alice, o guardatevi questo delizioso post sulle favole (fiabe), un altro blog aggiornato non abbastanza spesso, che non è una critica ma un complimento. In particolare sono contenta di aver trovato Alice che mi era sfuggita (forse inseguendo il Bianconiglio, mentre era a sua volta inseguita dal Cappellaio Matto), è un po’ il senso di questa rubrica, scovare piccole perle nascoste e questo girellare per i blog che per tante ragioni ho frequentato meno (e magari in tanti casi questo cambierà) mi piace sempre di più.

Vabbè, poi ci sarebbe il Time, ma che faccio, mi metto a spiegare perché seguo il Time? Diciamo che lascio a voi indovinarlo 😀

Alla prossima, see you next week 🙂

IL BOSCO – PARTE II – Capitolo IV – II

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II

– Accidenti a questa procedura che non vuole entrarmi in testa – si lamentò Elisa, al telefono con Matteo, un pomeriggio.
– Andiamo a fare una passeggiata – propose Matteo, e Elisa accettò, tanto sapeva che quando girava così non c’era verso di cavare un ragno da un buco.
Camminarono e camminarono ancora. Il forte Richelieu li guardava beffardo , apparentemente vicino, sempre appena un altro colle più in là, come un miraggio. Ma non importava. Non era necessario raggiungerlo. Bastava andare avanti, fino a che ne avessero avuto voglia. Matteo prese per lei qualche non-ti-scordar-di-me.
– Così non mi dimentichi – le disse.
Risero entrambi. Risero come si ride quando ci si innamora per la prima volta, senza ragione e senza confini. Quella risata li avrebbe accompagnati per un lungo tratto del loro cammino, perché il dolore di perdersi non fosse mai più grande dello stupore di essersi avuti, e perché la rabbia di ogni possibile fallimento lasciasse il posto alla malinconia dolce della perdita di qualcosa che si è stati pur sempre capaci di tenere con sé per un tempo lungo abbastanza da renderlo vivo.
– Non ti dimentico comunque, lo sai – disse Elisa, adesso tornata seria.
Allora, per la prima volta in tutti quegli anni, Matteo la baciò. Un bacio fuggevole e quasi casto, ma comunque pur sempre un bacio, e Elisa si accorse che non le dispiaceva affatto. Così gli si aggrappò al collo, e gli diede quella che era la sua idea di un bacio, niente affatto casto e tanto meno fuggevole.
– Spero di non averti offeso, Elisa. Non so se avrei dovuto baciarti, ma eri così bella…
Elisa scoppiò a ridere di nuovo.
– Sei proprio incorreggibile, Matteo, sempre così gentiluomo, anche quando non ce n’è proprio bisogno. Non ti preoccupare, non mi sono offesa per niente, anzi, a costo di sembrarti sfacciata ti dirò che l’ho trovato proprio piacevole, per cui spero proprio che mi bacerai ancora. A dire la verità credevo che te ne fossi accorto.
Lui sorrise, ma era in imbarazzo, e Elisa non poté mai fare a meno di provare, accanto alla tenerezza, un senso di irritazione. Possibile che dovesse essere sempre così rigido?
– Ti riporto a casa, si sarà fatto tardi – disse lui.
Quando arrivarono, Matteo l’accompagnò su come d’abitudine. Ormai conosceva anche le sue compagne di appartamento e spesso si fermava a fare quattro chiacchiere. Quella sera, però, era tutto buio, e Elisa vide quasi subito il bigliettino attaccato al frigorifero in cui l’avvertivano che erano andate fuori con degli amici e avrebbero fatto tardi.
– Allora io vado – disse Matteo.
– Beh, ormai che ci sei, fermati almeno a bere qualcosa.
– D’accordo, solo un momento – acconsentì lui, quasi a malincuore.
– Hai così paura di restare solo con me? Non credo di poter essere considerata una mangia-uomini.
– No, ma io ti amo troppo, Elisa, e restare solo con te è una tentazione troppo forte.
A questa dichiarazione così insolitamente appassionata, Elisa sentì qualcosa di nuovo. Forse a darle quel brivido lungo la schiena era stata solo la gioia di vedere che quando voleva poteva essere anche un po’ meno pacato e razionale. Certo è che a quel punto cominciò la sua opera di seduzione, anche se, forse, rendendosene conto solo a metà. All’inizio era solo un gioco, un gioco un po’ crudele, forse, per un uomo tanto innamorato e di principi così saldi, ma lei stessa ne era rimasta presa. Le era venuto spontaneo accoccolarsi tra le sue braccia, e poi, essendogli così vicino, le prime carezze erano state del tutto naturali.
Forse a quel punto aveva cominciato a capire dove questo l’avrebbe condotta. Cosa sto facendo? si chiese, ma subito dopo si abbandonò, mentre lui cominciava a slacciarle la camicetta e sfiorarle il seno. Anche lui se lo chiese, per un attimo, ma lei era troppo desiderabile, con quegli atteggiamenti a metà ingenui, a metà istintivamente sensuali. Quando cominciò a sfilarle la gonna, lei lo aiutò. In fondo era quello che voleva.
All’ultimo momento, però, chissà perché, le mancò il coraggio di spogliarlo a sua volta. La timidezza la prendeva in strani momenti. Fu lui a farlo, con movimenti insolitamente decisi e rapidi, e poi la raggiunse sul letto. Lei era rimasta in silenzio a guardarlo, aspettando, mentre il timore prendeva in parte il posto di quella incosciente spudoratezza di poco prima. Cosa sarebbe accaduto adesso? Come sarebbe stato?
Nessuno dei due riusciva più ad essere del tutto sciolto, per Elisa era la prima volta, e aveva paura di non muoversi come avrebbe dovuto, aveva paura del dolore, paura di non essere all’altezza, mille paure che si sovrapponevano, mentre lui… Beh, Matteo era sempre Matteo, il dolce, tenero Matteo che sembrava sempre chiedere scusa per tutto. Era ovvio che tutto fosse troppo veloce, troppo impacciato e non certo piacevole come avevano sperato. Ma nonostante la sua difficoltà a lasciarsi andare, Matteo era un uomo sensibile e tutt’altro che sciocco, e comprese immediatamente di che cosa Elisa aveva bisogno. L’accarezzò a lungo, fino a che la sentì gemere di nuovo, e allora la prese ancora, questa volta lentamente, lasciando che si perdesse a poco a poco, sempre di più, sentendola aprirsi tra le sue braccia, fino a che si abbandonò completamente.
Fu un momento bellissimo. Elisa avrebbe finalmente forse potuto dirgli quelle parole, “ti amo”, si sentiva sommersa dalla dolcezza. Ma subito dopo, lui spezzò l’incanto.
– Mi dispiace, Elisa, non volevo… te lo avevo detto. Perché non mi hai fermato?
– Accidenti a te, Matteo, è mai possibile che tu non capisca? Abbiamo fatto l’amore e credo che sia stato bello per tutti e due. Per me sicuramente lo è stato. Di che cosa ti devi dispiacere? Se non avessi voluto, te lo avrei detto. Non ti ho fermato perché non volevo fermarti. Volevo che tu fossi esattamente come sei stato, che dimenticassi per una volta di essere un gentiluomo e perdessi la testa.
– Oh, Lily, mia piccola dolce Lily, ti amo così tanto.
– Sì, io… credo di amarti anch’io – disse Elisa, e forse la fatica con cui vennero fuori quelle parole era dovuta, adesso, più all’emozione che all’incertezza.
Il giorno dopo andò a trovare sua madre e Fabrizio, senza sapere bene che cosa avrebbe detto, ma sicura che sarebbe stato qualcosa di risolutivo.
Loro l’accolsero con l’abituale gioia di vederla e uno sguardo leggermente interrogativo. Ancora praticamente sulla porta fece un bel sorriso, gli occhi che luccicavano, le braccia tese in avanti come per iniziare un ballo, o afferrare qualcosa.
– Sapete? – disse. – Mi sposo.

L’amore in movimento

E’ che vivo tutto molto, sai? Questo brivido prolungato, intenso e dolce, che mi prende per una parola, un pensiero, uno sguardo. E c’è calore dentro, fuoco anche, se vuoi, ma non di quello cattivo, che incendia e brucia. No, è quel fuoco che dà luce, quel bel colore rosso aranciato e giallo, e persino qualche tocco di blu, di tanto in tanto, il fuoco che scalda e protegge, una passione gentile che a volte diventa un po’ feroce, un entusiasmo forte e dirompente che certo, a tratti scatena tempeste infuriate, l’acqua delle lacrime, lampi e tuoni, e il soffio dell’uragano. Perché se le emozioni le vivi, le vivi tutte intere. Ma forse non è un male che io stia imparando adesso a viverle, così a fondo, adesso che sembra tardi, ma c’è quel tanto di… saggezza? Ma sì, chiamiamolo quel tanto di saggezza in più che impedisce che l’uragano porti via tutto. Passa e scompiglia e rovescia e scalcia e qualcosa forse viene anche giù, ma sono solo le cose fragili, quelle già un po’ in rovina, che dovevano comunque in qualche modo essere “lasciate andare”.
Le cose forti restano, amore mio.
Adesso ho bisogno anche di mondo, sai, di persone e di oggetti da toccare, con cui parlare, da ascoltare e raccontare. E poi si sa che di amori ce n’è di ogni specie e per tutti i gusti. E’ per questo che è impossibile definire l’amore, non credi? Perché non c’è un amore uguale all’altro, perché gli amori di ognuno di noi sono diversi e perché ognuno di noi ne vive più di uno, e anche quelli sono tutti diversi. Non più grandi, o più piccoli, o più importanti, o meno. Diversi. Quindi credo che davvero l’amore coincida con la vita, anzi, gli amori coincidono con la vita, quei particolari amori con quella vita, quell’unica, personalissima vita che ognuno di noi si porta dietro e porta avanti, che a volte sembra una sacca pesante da caricarsi sulla schiena e altre volte invece fa il cavallo selvaggio e andarle dietro e difficile e fantastico, avventuroso ed eccitante; e altre volte ancora è solo un manto di stelle che copre la notte come una coperta calda di luce e tu non hai da fare altro che guardare, disteso a pancia in su, pensando pensieri che non sai, pensieri vaghi, leggeri come le stelle.
E tutti gli amori potrebbero essere magnifici, è solo che non sempre lo sappiamo prima, e qualche volta neanche dopo, qualche volta crediamo di dover difendere l’amore da qualche nemico, ma l’amore non ha nemici. L’amore è una splendida cavalcata dove non c’è strada né sentiero, ed è anche il riposo di quando ci si ferma, la sella sotto la testa a far da cuscino, e al di sopra, gli astri e i pianeti a far da testimoni perché la memoria non cancelli niente. L’amore è l’oceano, come tu sai molto bene, la calma apparente e poi la risacca, e l’alta marea, le onde lunghe, quelle che cambiano il paesaggio ad ogni ritorno, quelle che danno e che tolgono, che vanno e che vengono, che distruggono e costruiscono. Ed io qui ad aspettare, amore mio, qualche volta a cercarti, in sella a quel cavallo, qualche volta sdraiata con la sella sotto la testa e il cielo sopra, qualche volta sulla riva dell’oceano, a guardare il paesaggio che cambia e pensare come sarebbe stato diverso, se non ci fossi stato tu, come sarebbe piatto il mare, e monotono il cielo, e distratto il vento.
Forse è proprio questo l’amore, che ne dici? Questo cambiamento di panorama, questo spostamento di visuale, il riconoscimento improvviso di qualcosa che prima non c’era, che esiste solo quando viene riconosciuto, eppure, da quel momento è come se fosse sempre stato lì, sotto i nostri occhi, bastava vederlo, bastava guardare… Tuttavia, bisogna guardare nel modo giusto, al momento giusto, altrimenti nessun cambiamento si produce, il paesaggio resta immobile e immutato. Ma se guardiamo bene, allora… allora nascono dune e città di sabbia, il deserto prende vita, la città si riempie sotto i nostri occhi di luoghi che credevamo esistessero solo nella nostra fantasia. Le parole diventano oggetti, corpi, persone. E ogni sguardo diventa trasformazione, rinnovamento, metamorfosi.
Bisogna guardare con occhi attenti ma aperti all’insolito, all’infantile, all’eccentrico. No, l’amore non è saggio. Qualunque cosa sia, non è saggio. Non è la saggezza che fa crescere gli anemoni di mare, non c’è negli uccelli migratori, ma nemmeno in quelli stanziali, negli scoiattoli volanti o nel frenetico e cieco scavare delle talpe, né tantomeno nella luna.
La luna, poi. Va bene tutto, tutto quello di cui parlano i poeti. La tenerezza, la luna, l’immenso, l’uragano, la guerra, la quiete, il silenzio, la musica. Forse è questo il contenuto comune di tutti gli amori, la ragione per cui ne possiamo parlare e comprenderci. Forse è la ragione per cui sappiamo riconoscerlo, l’amore, benché sia così difficile raccontarlo. La luna però… No, non è la luna. E’ che la luce della luna è diversa a seconda di dove cade, del punto in cui tu stai guardando, della posizione della terra. Perché serve, la luna. E la notte. Ma serve anche la terra. O almeno, qualcosa che le somigli. L’amore rinasce ad ogni luce e ad ogni ombra, ad ogni onda e ad ogni soffio di vento che sposta la sabbia, ad ogni giro che un qualunque satellite compie intorno a qualunque pianeta in qualunque universo. E dovunque ci sia anche la più minuscola variazione, uno spostamento millimetrico, l’infinitesimale muoversi in un tempo diverso che richiede milioni di anni per un passo, anche là ti riconoscerò, amore mio.

UN LEONE A COLAZIONE – Storie intorno all’adozione 6

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Stasera puntata un po’ particolare. Siamo stati a un gruppo per genitori adottivi e abbiamo parlato di diverse cose interessanti, una su tutte: che cosa comporta, per i genitori, il fatto che ci sia un tempo, a volte anche relativamente lungo, in cui non erano “insieme” ai loro figli? Potremmo pensare a un vuoto, ma è un vuoto che in realtà era pieno di cose, sia per loro che per noi. I nostri bambini non sono nati il giorno in cui li abbiamo visti. Sono nati prima e hanno una storia di cui noi non siamo parte. E noi abbiamo una storia di cui loro non fanno parte.

Qualche volta i bambini sembrano voler dimenticare del tutto, addirittura rifiutare qualunque cosa che ricordi il loro paese di origine o la loro vita di “prima”. E allora può sembrare anche naturale chiedersi, se loro vogliono dimenticare, perché noi adulti dovremmo ricordare? Forse davvero sono “nati con noi”.

Ma non è così.

Perché poi, quei momenti di separazione ci sono, e sono dolorosi. E il dolore qualche volta diventa feroce, come un leone. Un leone a colazione.

Il giorno in cui ci siamo sposati loro non erano con noi e questo potrebbe apparire normale, ma di fatto non lo è, perché comunque “c’erano”. Erano solo altrove. E un giorno mio figlio mi ha chiesto “ma perché non avete lasciato una fetta di torta per me?”. Però un’altra volta mi ha fatto la vera domanda: perché non eravamo lì? Perché eravamo da un’altra parte? Non potreste risposarvi di nuovo, così questa volta potremmo esserci anche noi?

Ci sono anche altre cose che abbiamo fatto noi due. Siamo stati in tanti posti. Loro non amano particolarmente viaggiare (spero che questo cambierà prima o poi, lo spero tanto), però ogni tanto guardano e chiedono, qui dove eravate? E noi? Noi dove eravamo allora? Eravamo nati? Quanti anni avevamo?

Lo sappiamo noi, che questi pezzi di storia separata ci sono, e soprattutto lo sanno loro. E ogni tanto, quando lo desiderano, è importante che possano portarci piccoli frammenti o grandi pezzi di quella loro storia precedente e metterceli in grembo. Poi fermarsi lì, oppure andare avanti. Un cartone animato che guardano adesso qui, e che c’era anche quando erano piccoli, che guardavano anche “prima”. In fondo è un legame. Potrebbe essere una piccola cosa preziosa che permette di pensare che c’è un “prima” e un “dopo” ma che non sono proprio due parti del tutto scisse, due cose che non c’entrano niente una con l’altra. Sono entrambe vita. Vita importante. La loro vita. Una vita che è cominciata in un modo e proseguita in modo diverso ma che comunque ha una sua continuità. E soprattutto, appartiene a loro, tutta.

Poesia nelle scarpe

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Ho un po’ di poesia nelle scarpe,
sento il suo rumore d’argento
dietro i miei passi, se cammino.
Un rumore d’argento, via,
non è una cosa seria, ma
è una cosa dolce, un sassolino
di poesia che s’acciottola tranquillo
e passeggia con me per le vie del centro
s’inquieta un poco se sbaglio strada
oppure, qualche volta, se piove
sento il suo cik ciak d’argento,
il suo piccolo suono musicale,
e non lo tolgo mai da lì, perché
ci vuole qualcosa, a volte, che
mi ricordi dei miei piedi, quando
dimentico dove mi portano e loro
sembrano andare da soli, ma
lì da qualche parte, nascosto,
li accompagna quel minuscolo
sassolino di poesia, che fa cik-ciak
quando serve, il piccolo, dolce
suono del lato azzurro del mondo.

IL BOSCO – Parte II – Capitolo IV – I

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I

Elisa aveva continuato a dedicarsi ai suoi esami, come aveva fatto brillantemente nei due anni precedenti, ma la ferita ci aveva messo un po’ a rimarginarsi, nonostante l’affettuosa vicinanza dei suoi amici e le premurose attenzioni di Matteo, a cui d’altra parte si era aggrappata come a un’ancora di salvezza.
Matteo si era assunto tutto sommato volentieri il suo compito di consolatore, e sopportava con paziente tenerezza gli sbalzi d’umore della ragazza. Ormai passavano insieme quasi tutto il tempo libero, spesso con qualche altro amico ma non di rado da soli. “Mi sono quasi abituata ad averti sempre intorno”, gli aveva detto una volta Elisa. Non era certo una dichiarazione, ma era quanto di più vicino Matteo potesse sperare di ottenere da lei in quel momento. Lui lo sapeva, e aveva cominciato a sperare più di quanto avesse mai osato prima.
Del suo sogno di cambiare il mondo Elisa aveva conservato una piccola parte, quella che l’aveva fatta iscrivere a giurisprudenza con l’idea di diventare giudice – adesso che finalmente anche le donne potevano! – e di applicare nella pratica quel poco che aveva imparato e che avrebbe ancora imparato sulla durezza e sull’indulgenza, sulla responsabilità e sulle scelte obbligate e sulla complessità dell’uomo.
Fabrizio l’aveva messa in guardia, conoscendo quel suo carattere così idealista. Neanche così riuscirai a cambiare il mondo, le aveva detto. Dovrai accontentarti di fare il tuo lavoro al meglio, soffrendo le pene dell’inferno quando vedrai tornare davanti a te qualcuno che speravi non ricapitasse mai più in un tribunale, infuriandoti per ogni ingiustizia, non dormendo la notte quando non saprai cosa decidere, e ogni volta che la legge sarà in conflitto con quello in cui tu credi.
Ma non le aveva fatto cambiare idea, Né le aveva fatto cambiare idea il sequestro del giudice Sossi, anche se aveva sentito come mai prima la paura, l’angoscia. Perché, che cosa aveva trasformato il sogno di un mondo più giusto, più allegro e più creativo in un incubo, ormai in mano a persone che consideravano gli uomini come simboli, invece che come esseri di carne e sangue? E non le aveva fatto cambiare idea neanche il Giudice di De André, anche se si era fatta delle domande. Forse c’era nel cuore di tutti un nano che diventava adulto senza crescere, e chissà se lei sarebbe mai cresciuta abbastanza da decidere, se non del bene e del male, certo di una parte non secondaria della vita di qualcuno. Aveva pensato allora, curiosamente, che doveva cercare di fare il giudice senza perdere la tenerezza. Ma non aveva espresso ad alta voce questa idea guevariana, aveva detto soltanto:
– Posso solo cercare di fare il mio lavoro al meglio – aggiungendo, in un soffio appena percettibile – e sperare che basti.
Anche Matteo era poco convinto della sua scelta, in parte per le stesse ragioni di Fabrizio, in parte per motivazioni molto più personali.
– Conoscendoti, credo che passerai più tempo a lavorare che in famiglia. Per una donna è un lavoro molto impegnativo. Non hai paura di mettere in crisi la tua vita privata?
Elisa si irritava ogni volta, quando gli sentiva fare questi discorsi.
– Perché nessuno chiede mai queste cose a un uomo, quando lavora dieci ore al giorno e pensa di essere un bravo marito e un buon padre solo perché porta più soldi a casa?
Ma le idee di Matteo sui ruoli dell’uomo e della donna erano rimaste le stesse di sempre, le stesse probabilmente dei suoi genitori. Elisa aveva conosciuto sua madre, la rappresentazione vivente della perfetta donna di casa, che cucina divinamente, manda il marito in giro vestito in modo impeccabile e ha uno splendido salotto in cui non si può entrare perché si rischierebbe di sporcare i pavimenti lucidati fino a specchiarcisi dentro. Elisa sapeva che non sarebbe mai stata così, e non sapeva se Matteo, che aveva sempre l’aria di venerarla come una cosa preziosa, sarebbe riuscito vivendo con lei giorno per giorno a sopportare il suo disordine, la sua distrazione, l’attenzione che metteva solo in quello che le interessava, mentre in tutto il resto era un disastro di disorganizzazione.
Non che lo facesse proprio apposta, anzi, avrebbe anche voluto, qualche volta, trovare le sue cose senza dover girare tutti i cassetti di casa, uscire senza dimenticarsi le chiavi, il portafoglio o qualche altra cosa altrettanto importante, e anche riuscire a concentrarsi su una cosa alla volta. Qualche volta ci si arrabbiava, ma alla fine sapeva che non sarebbe mai cambiata, non ci teneva poi tanto ad essere un modello di perfezione. La sua mente era sempre in movimento, aveva sempre nella testa cinque cose contemporaneamente, e probabilmente il problema era proprio questo: mentre ne faceva una, la sua mente era già lontano, rivolta alle altre quattro che avrebbe dovuto fare dopo.
Non si era neppure resa conto che quei pensieri sul vivere con Matteo giorno per giorno, sull’essere o meno idonea al ruolo di moglie e madre si erano impossessati della sua mente con una certa naturalezza, ma implicavano un’idea pericolosa, che non aveva mai accettato prima d’allora.
Da quando aveva iniziato l’università, aveva preso in affitto una stanza con altre due studentesse e ci si trovava bene, ma appunto, dover fare da sé quello che in gran parte prima si trovava già fatto le pesava parecchio.
Anche questo desiderio di indipendenza non era stato visto benissimo da Matteo, che aveva in diverse occasioni cercato di dissuaderla.
– Ma non ti trovi bene con i tuoi? – Le aveva chiesto più di una volta.
– Mi trovo benissimo, e probabilmente mi mancheranno anche, ma ho bisogno di stare per conto mio, di provare cosa vuol dire vivere da sola, senza avere sempre la pappa fatta. – rispondeva lei E comunque sapeva bene che se si fosse stancata, la porta di casa l’avrebbe trovata sempre aperta, come gli aveva fatto osservare, senza riuscire a convincerlo del tutto.
Un giorno, dopo un’ennesima discussione sull’argomento del lavoro, quando Elisa ribadì quanto era importante per lei, Matteo sbottò all’improvviso:
– Sai bene che se mi sposassi non ne avresti bisogno. Voglio dire, io farei in modo da guadagnare abbastanza per tutti e due. Vorrei sapere cosa hai intenzione di fare, non so se è solo per i tuoi studi, il tuo lavoro, oppure se non potrai mai considerarmi niente più che un amico.
Elisa non rispose subito. Matteo non aveva mai parlato di matrimonio, e lei aveva rimandato ogni più profonda riflessione su quella loro amicizia così stretta. Ma gli voleva molto bene. Come si sarebbe sentita se lui fosse all’improvviso scomparso dalla sua vita? Non c’erano dubbi che le sarebbe mancato molto, ma bastava questo? A dire la verità era quasi certa di non amarlo, per quanto affetto provasse nei suoi confronti, ma non si sentiva più sicura di niente.
Ne aveva parlato una volta con Gianna, e l’amica aveva espresso quella che sembrava essere un’idea piuttosto diffusa:
– Secondo me confondi l’amore con l’attrazione fisica. La passione non può che finire, non è per questo che tutti gli scrittori fanno sempre morire i grandi amanti dei loro romanzi e delle loro poesie? Cosa penseresti se Anna Karenina dopo aver sposato il suo amante si mettesse a protestare perché il marito non l’aiuta nei lavori di casa? E cosa succederebbe a Rossella O ‘Hara se Rhett si mettesse a contarle i soldi per la spesa? Oppure non so, potresti amare appassionatamente un Kirk Douglas con la pancetta, stravaccato sul divano a leggere il giornale? Però voglio dire, la vita di coppia è fatta anche di queste cose. Credo che l’affetto e la tenerezza possano durare molto di più della passione.
Elisa era rimasta a lungo a riflettere su quelle parole. Stava cercando ancora il principe azzurro? Beh, sicuramente esiste anche il sesso senza amore, si era detta, ma si può amare qualcuno che quando lo hai vicino non ti fa venire nessuna voglia di baciarlo e di toccarlo?
– Io… non lo so – disse infine a Matteo. – Può darsi che un giorno ti sposerò, ma devi aspettare. Io ti voglio molto bene, questo sì. Pensi che possa bastarti, per ora?
Matteo sorrise.
– Per ora – disse.

I miei no e i miei sì

Bene, è venuto il momento di riprendere a scriverti. Perché tu sei “anche” una parte di me, forse la curiosità e l’immaginazione di cui parlava un’amica ieri, forse la gentilezza e il rispetto, forse la parte giocosa, sicuramente una parte molto profonda, con cui mi fa bene dialogare. Quando riesco a tirarle fuori, tutte queste parti, s’intende. Ma sei anche, spero, quell’uomo così tanto diverso da me, quello che cerco di conoscere sempre meglio per avere qualche risposta che non sia la mia risposta, trovare parole che non siano le mie parole, vedere quello che da sola non saprei vedere. Non c’è altro modo per me di trovare la neve che chiedevo, che poi è l’amore incontaminato, lo sguardo lieve sulle cose, l’allegria di ripercorrere le orme lasciate prima e di crearne di nuove, la perfezione dei cristalli leggeri che restano sul davanzale e danno al mondo un aspetto nuovo senza che neppure ce ne accorgiamo.

In questi ultimi giorni, dietro tutta quella frustrazione rabbiosa che era anche e soprattutto un dolore lancinante, c’era una domanda che in alcuni momenti sovrastava le altre, ed era questa: che cosa volete da me? Perché io ho dato, ho dato tanto e voglio continuare a dare perché prendermi cura è una delle mie parole chiave di questo periodo. Però prendermi cura anche di me stessa. E questo significa due cose: fare quello che sogno, quello che mi piace (e non un compromesso sbiadito) e dire dei ‘no’. Ecco, questo del saper dire no, per esempio, è una difficoltà che tu conoscevi forse meglio di quanto credessi. Quante cose dietro questa semplice parolina. Di recente ho letto qualche retroscena di quella famosa “intervista”, che era finzione, perché fatta in un telefilm da uno dei personaggi, ma era vera perché era fatta a te. L’intervista di Mindy a Robin Williams con Mork a cui tutti dicevano quanto somigliasse a Robin e Mork che continuava a dire che non gli somigliava per niente. Quanto ti sarà piaciuta questa cosa? Un sacco, credo. Ma dicono che quando parlavi, in quella “finta vera intervista”, della tua difficoltà a dire di no, tu fossi andato più in là di quanto volevi, ti fossi scoperto troppo. Beh, per come ti conosco, non era certo scoprirti troppo che avrebbe potuto farti paura. Comunque, con quella parolina anche tu avevi un rapporto difficile, a quanto pare.

No. No, non voglio un sogno a metà. No. No, non voglio compromessi. No. No, non voglio fermarmi a causa dei miei limiti. No. No, non voglio essere quello che qualcun altro vuole che io sia. Voglio che i miei siano morbidi e decisi, gentili e netti quanto i no. Sì, voglio avere coraggio. Sì, voglio fare quello in cui credo. Sì, voglio avere fiducia nelle mie capacità e in quelle degli altri. Sì, voglio essere me stessa. Me stessa, sempre. Sì, voglio di nuovo la neve. E te…

24. In Search of Dr. Seuss

 

Mi sono un po’ innamorata, io, delle storie del Dr. Seuss, le ho scoperte quando cercavo materiale per i miei bimbi, per l’inglese e le consiglio caldamente se qualcuno volesse iniziare presto, si può cominciare quando si leggono insieme i primi libri cartonati, le prime storielle magari in rima, sono fatte proprio per i bimbi piccini ma sono divertenti anche per i genitori, garantisco.

Sono rime come queste, ad esempio, la storia del Gatto nel Cappello (The Cat in the Hat) :

The sun did not shine. It was too wet to play / So we sat in the house / All that cold, cold, wet day…

So all we could do was to

Sit!

Sit!

Sit!

Sit!

And we did not like it. Not one little bit.

And then

Something went BUMP!

How that bump made us jump!

We looked! Then we saw him step in on the mat!

We looked! And we saw him! The Cat in The Hat!

And he said to us, “Why do you sit there like that?”

Poi ci sono i libri delle lettere, dei numeri, il libro dei pensieri (“Oh, the thinks you can think!” e quello dei luoghi (“Oh, the Places You’ll Go“) e Horton Hears a Who, un amore, uno per l’altro.

Così quando, poco dopo aver incontrato queste storie, ho scoperto anche che Robin Williams aveva partecipato a un film che raccontava del Dr. Seuss, chi era lui, chi erano i suoi personaggi, da dove erano nati, da dove venivano le sue storie, bè, ovvio che non potevo perdermelo. In realtà il dvd ancora non mi è arrivato (ma sono fiduciosa), però c’è un link, qui, film in inglese sottotitolato in portoghese:

In Search of Dr. Seuss

La parte di Robin Williams è proprio la lettura di The Cat in the Hat, parte molto (troppo) piccola (dal minuto 51:20 al minuto 56:20) ma importante. E la biografia del “dottore” è interessante ed è raccontata dai suoi stessi personaggi per incuriosire anche i bambini. A un certo punto si dice che, lasciata Oxford (senza laurearsi), si mette in viaggio per l’Europa e acquista “una nuova filosofia di vita”, decidendo che “la maggior parte degli adulti prende la vita troppo seriamente” e giurando di “mantenere una visione infantile sulla vita”, guardare il mondo senza tararlo sulla base delle pressioni sociali, lasciare piena libertà all’immaginazione, reagire spontaneamente, farsi delle belle risate. Si dice anche che quando si trattava del Dr. Seuss “niente poteva essere qualunque cosa, o qualcosa, o tutto”. E naturalmente si usano le risate per parlare di cose importanti, per scompigliare le carte, per ribadire la libertà individuale anche nelle situazioni più difficili, per far scintille. Ma quanto avevano in comune questo Dr. Seuss e Robin Williams?!!!

🙂

Ci sono

Un tempo in pianura, piatto e liscio come una tavola piallata,
un tempo che non conta niente, potrei non esserci nemmeno,
ma fa male la terra nelle scarpe, il freddo nelle ossa e questo nascondersi
dietro le macchie del cielo, sgorbi d’istanti e d’istinti immagini
che mi turbinano intorno senza pace le mani sprofondate
nelle tasche o sul fondo fangoso di un mare impervio, stropicciate
le dita agli angoli freddi l’irrequietudine di cui so tutto e nulla
mi si agita dentro come uno sciame di api impazzite un ronzio
che diventa frastuono e non trovo il silenzio. Non trovo quiete
sento ascolto sbatto è buio è buio non riesco a uscire ho freddo
voci parole dolore dolore dolore lampi e tuoni e tempeste cristalli
di ghiaccio acuminati il freddo brucia l’acqua brucia non c’è ritorno
ho paura sono a terra e urlo e grido e scalpito e scalcio e lancio
pugni all’aria e non ho ali e neanche piedi, non cammino, sono
un grumo di angoscia, metallo immobile un vetro ho l’anima sulle spalle e pesa
e domande e domande ma il metallo non piange e neanche il ghiaccio
ma scalcio scalcio e non so chi è il mio nemico, voglio voglio
tutto e niente uscire dalla sabbia dal fango putrido e tremo tremo
Io ci sono, ci sono, ci sono, sono qui, il vetro s’incrina, lo spacco
Spacco tutto, odio, odio, rabbia, grigio, ma l’amore, l’amore,
la luce, la neve, la neve leggera e pulita, la mia neve, dov’è
la mia neve? Dov’è il mio cuore, il sangue, la carne viva, rossa
d’amore, guarita, amo, amo e volo, cado, mi rialzo e sbatto, sbatto
le braccia, ma le ali, ci sono le ali? Ricrescono dalla ferita, la cicatrice
brucia, brucia, è un fiume di lava, corro, urlo, vivo, amo e ferisco, graffio,
graffio il cielo, il cielo graffia, dove vado? C’è il vetro, il muro
s’incrina, spacco, rompo tutto ci sono, ci sono, mi senti? Tremo
ancora, di nuovo, mi tremano le labbra, forse è l’anima o il vento.
Ci sono.
Mi senti?