Stephanie aveva seguito tutto il ciclo delle conferenze di Grenville, per quattro settimane, e ogni volta si era divertita. Ogni volta il pubblico aumentava, probabilmente per il passaparola di chi era rimasto affascinato dal suo modo di dire le cose. Le erano piaciute tanto che dopo era andata qualche volta a seguire i suoi corsi all’università, e aveva scoperto che era amatissimo dai suoi studenti. Le sue lezioni erano affollatissime. Adrien amava la sua materia – insegnava storia della letteratura moderna – e adorava insegnare. I ragazzi assorbivano la sua passione, e sembrava quasi che gli volessero bene. Lui li rispettava, scherzava con loro. Agli esami era serio e piuttosto severo, le avevano raccontato, ma durante i corsi non si stancava mai di rispondere alle domande o di spiegare qualcosa a chi glielo chiedeva. Dimenticava tutto, gli occhiali, i fogli con gli appunti della lezione, gli appuntamenti. Si sedeva sulla cattedra. Veniva alla lezione in blue jeans. Non aveva mai l’aria di sentirsi superiore agli studenti. Insomma, tutto il contrario di quei pomposi baroni che davano cattiva fama al mondo accademico.
Le piaceva e ne era consapevole.
Sempre più spesso si sorprendeva a pensare che probabilmente Matteo non si sarebbe più fatto vedere, benché avesse voluto credere il contrario. Forse non era giusto sentirsi tradita, ma questo era quello che provava.
Con Adrien presero a fare lunghe passeggiate, e discorsi molto intellettuali sull’università, la cultura, le lettere e la politica.
– E’ importante tenere viva la coscienza – diceva sempre lui. – Non bisogna pensare che la superficialità, lo scarso amore per lo studio, l’idea che sapere le cose sia inutile, siano un problema dei nostri tempi. Il potere ha sempre cercato di tenere le persone lontane dalla cultura. E’ importante diffondere la consapevolezza che più cose sai, più hai la possibilità di fare scelte autonome, di accorgerti dei condizionamenti anche quando sono subdoli, di non farti incantare da chi è bravo a comunicare, senza avere nessuna sostanza.
C’è troppa gente che crede che essere normali ed essere conformisti sia la stessa cosa, gente che ha paura di uscire dai binari, che cerca sempre il giusto mezzo. Sai cosa diceva André Gide? Che chi cerca sempre il giusto mezzo, rischia di sedersi tra due seggiole. E’ importante difendere l’unicità di ciascuno di noi, l’individualità, la differenza.
E poi però, una volta che ci riconosciamo tutti diversi, una volta che smettiamo di credere che i Francesi siano Francesi, tutti accomunati da una sorta di “normale-francesità” da uno standard che non esiste, ma che ognuno di noi ha qualcosa di diverso da dire, qualcosa di diverso da fare nel mondo e non esiste un’opinione comune, allora potremo riconoscere anche che siamo parte di una grande famiglia, e che non ha nessun senso dividere le persone in categorie. Francesi ed extracomunitari, Cristiani e Musulmani, o magari anche agnostici, tifosi del Marsiglia e del Paris Lyon. E’ tutto un “noi” e un “loro” che non dovrebbe esistere. La mentalità del “o sei con me o sei contro di me”.
Annullare le differenze individuali, creare le categorie, è quello che ha sempre portato alle guerre. Se “noi” siamo da una parte e “loro” sono dall’altra, allora “noi” non abbiamo niente da imparare da “loro”, e “loro” anzi sono dei nemici pericolosissimi, da distruggere. Smettono di essere padri, madri, figli, non ci preoccupiamo troppo della loro sorte perché non li consideriamo più persone.
E ci dimentichiamo che siamo tutti nati da un’unica ameba.
Stéphanie era quasi sempre d’accordo con lui, le piaceva vederlo così infiammato, la divertiva il suo senso dell’umorismo, e le piaceva molto ascoltarlo parlare, ma questo non le impediva di pensare che anche a lui piacesse molto ascoltarsi parlare. Più che delle discussioni, le loro erano delle conferenze, in cui lei aveva il ruolo del pubblico, e non le era facile dire qualche parola ogni tanto. Anche se scherzava con i suoi studenti, e sembrava trattarli da pari a pari, lui restava sempre il professore, e tutti gli altri, lei compresa, erano gli allievi. Non li trattava con superiorità, ma era, forse inconsapevolmente, molto preso dal suo ruolo di trasmettitore di conoscenze. Le sembrava anche che restasse tutto su un piano molto razionale, “libresco”. Una passione, una veemenza tutta cerebrale che derivava dallo studio e non dall’esperienza personale, “dalla pancia”, come diceva lei.
Quando non parlava dell’importanza della cultura, o di altri argomenti altrettanto socialmente impegnati, Adrien tornava a farle la corte. Ma anche lì, sempre in modo quasi scientifico. L’aveva già paragonata, per una ragione o per l’altra, alla fedele Penelope (qui il motivo era evidente), alla passionale Emma Bovary, alla protagonista di “Una donna spezzata” della Beauvoir, quella che usciva distrutta dall’abbandono del marito, perché aveva intuito quanto l’uomo che amava diventasse il perno unico della sua esistenza, senza il quale si sentiva persa. Le aveva anche detto che era “irraggiungibile come Beatrice per il povero vecchio Dante”. Le recitava poesie di Prévert e di Garcìa Lorca.
E l’affascinava, comunque.
Beh! totto sommato la sequneza di uscita delle puntate precedenti è piaciuta. L’alternarsi delle storie fa bene alla lettura.
Che dire di Stephanie? Lei pensa a Matteo ma Adrien l’affascina per la sua aria di intellkettuale senza metterlo in mostra. Che sia il colpo di fine della storia con Matteo. Io penso di sì.