III
Forse era proprio perché tutto era stato così perfetto, che Elisa, una volta fuori dall’incantesimo dello sguardo e del sorriso di Andrea, cominciò a domandarsi se quella perfezione avrebbe mai potuto durare, se non stava mettendo tutto a rischio per qualcosa che poi chissà come sarebbe andato. Non che avesse propriamente dei dubbi su quello che provava per lui, questo no. Il suo amore per lui era l’unica salda certezza in quella cosa confusa che la sua vita stava diventando, però… Però non aveva più l’età dei “per sempre”. Non aveva più quell’assoluta sicurezza dell’eternità, dell’infinito.
Mentre ripercorreva all’indietro la stessa strada che aveva fatto qualche ora prima, non faceva che chiedersi se non sarebbe stato meglio lasciare tutto com’era, tenersi dentro il ricordo di quel giorno come qualcosa di irripetibile, non vedere più Andrea, e lasciare che quella perfezione rimanesse intatta, senza essere scalfita dai rubinetti che perdono, da un disaccordo su un particolare di importanza secondaria, da una sera storta o da qualcosa detto a voce troppo alta.
Il sole non si vedeva già più, anche se c’era luce, ancora, una luce smorta, un azzurro scolorito. Aveva lasciato Andrea solo da pochi minuti e già le mancava da toglierle il respiro, eppure non era difficile, in quell’aria sbiadita, pensare di poterne anche fare a meno, che bastasse il ricordo, che non le sarebbe tornata la voglia di essere ancora felice, o che quella voglia sarebbe stata addomesticabile, e comunque le sarebbe bastato, per rivivere la felicità, anche solo ricordare.
Luca sembrava particolarmente affettuoso, quella sera, volle essere salutato con il bacino e l’abbraccio e tutti i crismi, una cosa che rifiutava le volte in cui voleva sentirsi “grande”.
Roby le raccontò, indignato, che gli era stato dato un brutto voto di italiano perché aveva fatto delle domande che al professore non erano piaciute.
– Cosa gli hai chiesto?
– Ma niente, delle cose su una poesia che ci ha fatto leggere, a me non piaceva e gliel’ho detto, cercavo di capire che cosa c’era di tanto interessante, e continuavo a fargli domande, allora lui si è arrabbiato e mi ha messo un due. Tanto lo so che poi se vado bene nel tema me lo toglie. – Si strinse nelle spalle. Era proprio da lui, voleva andare sempre a fondo delle cose, ma gli insegnanti dicevano che era un po’ saccente, forse perché i suoi dodici anni non gli avevano ancora insegnato il confine della strafottenza. Sua madre lo chiamava un “bastian contrario”, perché non se ne stava mai di quello che gli si diceva.
Elisa guardò i suoi due ragazzi, il ribelle, generoso, estroverso Roby e il suo tenero, dolce Luca, che a volte sembrava perdersi in strani pensieri, e i cui lunghi silenzi erano interrotti da idee inaspettate. Una volta, da piccolo, dopo aver tirato sassi in mare per un po’, se ne era uscito con una domanda del tipo: “ma se colpisco un pesce sulla testa, gli fa male?”
Da quel momento, le sue rare domande erano diventate la leggenda della famiglia. Buffe, curiose, ma in qualche modo riflettevano una sua visione della realtà che sembrava non partire mai dal punto di vista più comune.
Quella volta le aveva anche chiesto se i pesci si innamorano, adesso che le veniva in mente. Doveva aver dato una di quelle risposte vaghe e un po’ sciocche che gli adulti danno quando una domanda li spiazza, qualcosa come “probabilmente sì, visto che fanno i figli”, e allora Roby, quello che voleva capire bene, le aveva chiesto che cosa voleva dire innamorarsi, come si faceva a capirlo, e se era vero che per fare dei figli bisognava amarsi per forza, e se l’amore durava per sempre, e un sacco di altre domande a cui non aveva certo risposto in modo né esaustivo né convincente.
Adesso il suo senso di colpa le faceva vedere negli occhi di Roby e di Luca uno sguardo di rimprovero che probabilmente era del tutto immaginario. Come avrebbero reagito se improvvisamente li avesse messi di fronte a una verità a cui non era stata capace di prepararli? Andrea la faceva stare bene, ma avrebbe fatto stare bene anche loro? Aveva diritto di stare bene, o avrebbe significato non prendersi la responsabilità legata alla famiglia? Perché se un giorno aveva scelto male, o comunque se le cose non erano andate come aveva sperato, restava il fatto che le sue decisioni avevano coinvolto altri, e soprattutto i suoi due bambini, che aveva il dovere di proteggere. Ma proteggerli… da che cosa? le avrebbe chiesto Roby. La paura che aveva per loro forse non era che il riflesso della paura che aveva per se stessa, per quella cosa travolgente a cui era lei, prima di tutto, a non essere preparata. Non avrebbe potuto proteggerli dal dolore per sempre. Se avesse rinunciato, rassegnandosi a trascinare quel rapporto stanco e senza amore, forse avrebbero imparato a fuggire dalle emozioni troppo intense e troppo pericolose. Era questo che voleva per loro? Era questo, proteggerli dalla sofferenza?
Sentiva ancora la passione con cui Andrea l’aveva esplorata, il modo in cui era andato alla scoperta del suo corpo, con dolcezza e prepotenza, senza lasciarle altra scelta che abbandonarsi nel modo più totale, senza prepararla a quello che sarebbe venuto dopo, a quell’infinita voglia che aveva di lui, che sembrava non lasciare spazio quasi a niente altro. Non poteva lasciare che lui entrasse nella sua vita in quel modo. Avrebbe avuto sempre più bisogno di lui, ogni giorno un po’ di più, fino a che, prima che lei se ne accorgesse, lui avrebbe cancellato tutto il resto, la passione avrebbe divorato tutto quello che aveva avuto importanza per lei fino a quel momento, l’avrebbe portata a tradire la sua famiglia, il suo lavoro, i suoi ideali, le sue certezze.
Sì, questo era la passione, diceva una voce dentro di lei, e credeva che fosse la voce della ragione. Qualcosa che ti acceca, un fuoco che brucia tutto intorno a sé, e una volta spenta la fiamma, non ti resterà niente. Era la voce delle persone sagge, quelle che non si lasciano mai trascinare da un’emozione troppo forte, quelle che non vogliono lasciarsi ferire, che non vogliono mettere il caos nella loro vita, che non vogliono sorprese né rischi. Elisa scambiò quella voce per la voce della ragione, e confuse la forza, l’intensità, il calore di quello che aveva vissuto con il mostro divoratore della sua fantasia.
Per questo telefonò ad Andrea, per dirgli che era meglio non vedersi più, per spegnere quel fuoco prima che fosse troppo tardi.
Quando sentì la sua voce esitò, la sua voce così calda e viva, con cui dolcemente la prendeva in giro, con cui aveva gridato il suo nome, solo ieri, e adesso stava pensando di non sentirla mai più. Ma “mai” è un concetto sfuggente, e Elisa aveva pensato solo che avrebbe preferito non vederlo “per qualche tempo”.
Non voleva pensare a quello che avrebbe significato per lui, dopo tutto il tempo in cui le era stato vicino in silenzio e l’aveva amata senza che lei potesse dargli in cambio niente. Aveva rifiutato allora di vedere quello che significavano i suoi sguardi e i suoi gesti, aveva rifiutato di capire quello che non voleva capire, di vedere quello che non voleva vedere, e adesso stava facendo la stessa cosa. Non perché non le importasse, al contrario, perché non voleva che quella decisione, che era convinta di prendere per amore dei figli, vacillasse sotto il peso del suo dolore, quando avrebbe dato giorni di vita per non vederlo soffrire.