Guardando The World’s Greatest Dad

Ieri sera l’ho guardato quasi tutto, questo famoso film, quello che temevo più di qualunque altro. No, non parlerò del film, non ancora. Solo delle emozioni che ho provato vedendolo per la prima volta (perché dovrò rivederlo, certo, per poterlo davvero raccontare).

I nodi allo stomaco sono arrivati puntuali, li aspettavo, sapevo che ci sarebbero stati e non ho fatto niente per evitarli, anzi. Ho capito che amo tutti gli anni della tua faccia, i primi e gli ultimi e tutti quelli in mezzo, tutti allo stesso modo, nessuno più dell’altro, ognuno con le sue ragioni. Lo sapevo, ma non del tutto. Credevo di saperlo.

Amo il fatto che ci siano ancora così tante sfumature, in questo amore che pensavo di conoscere e che continua a rivelarsi a poco a poco. La farfalla danzante che mostra la magia nascosta ovunque, lo strumento delle voci e dei suoni del mondo, l’anima dolce, il ragazzo capace di commuoversi per cose minuscole, lo spirito libero e critico, l’inventore di parole e pensieri fulminanti che ama la poesia e la lascia entrare, per renderla viva, nel suo personalissimo modo di descrivere quello che ci circonda; l’irriverente sbeffeggiatore del potere, l’uomo che vede e ascolta, l’uomo che ricorda e comprende, l’uomo che immagina e racconta, che entra nei dettagli di ciò che siamo e ne illumina le ombre, senza mai nascondere le luci. Il signore di mezz’età che non teme di mostrare né la propria felicità, né le proprie paure, che scherza allegramente sulla morte per scaramanzia, il suonatore di sassofono che vorrebbe rinascere musicista; l’appassionato di neuroscienze che indaga e scava l’umano, sempre rigorosamente a modo suo, curioso e discreto. L’intervistatore acuto che parla con i personaggi più interessanti del suo tempo e tira fuori conversazioni straordinarie. Il ciclista appassionato,l’uomo sensibile e sentimentale, tosto e resiliente, che cade e si rialza ogni volta e riprende a cercare.

E poi l’uomo che invecchia, con tenera consapevolezza, che sa cosa significa perdere qualche pezzo, che non ha paura di mostrarsi nudo coi propri difetti perché sa che invecchiare non è un peccato, anche se può essere una fatica. L’uomo che ha potuto, in questo film, farci sentire una per una tutte le componenti del dolore più devastante, la perdita di un figlio, che si ama anche se è la persona meno amabile che si possa immaginare, perché non si può farne a meno. L’uomo che conosce a fondo i meccanismi dell’amore, della morte e del lutto, compresi quelli più grotteschi, o semplicemente ironici e buffi. L’uomo che ha scelto di morire nel modo in cui il protagonista del film ha inscenato, per amore, il suicidio del figlio, morto in realtà in un incidente al tempo stesso drammatico e ridicolo. E dimmi tu se questo non è un messaggio, anche se io non sono sicura di saperlo interpretare.

L’uomo che davvero vecchio non lo è mai diventato, perché amare troppo e conoscere troppo presto il proprio destino è sempre un rischio, ma resta vero che i rischi bisogna anche andarseli a cercare, qualche volta.  E’ così difficile e così stranamente facile guardare questo film. Ho imparato a non trattenere le lacrime, né le risate. L’amore, qualche volta sì. Ho ancora una paura blu, sai. Ma non è vero che il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare. Posso  imparare, ho un buon Capitano a guidarmi. Il migliore di tutti.

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