Accidia (un esperimento)

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Lentamente lascio che la strada mi porti. Non ho meta né desiderio di guardarmi intorno. L’indifferenza ti salva, ti preserva. Lascio che i pensieri mi scivolino via dalla mente, perché anche i pensieri possono far male. Per vivere bisogna cercare e io non voglio cercare niente. Ah, poter scomparire, così, semplicemente, senza uccidersi né morire, perché anche quella, dopotutto, sarebbe un’azione. Io vorrei solo non esserci. Esserci è dolore, così fingo di essere già scomparsa, dissolta nella sabbia, avvolta in una sciarpa di foglie cadute, confusa in mezzo all’eco delle voci, senza sangue né linfa. Il nulla.

C’è stato un tempo in cui le cose potevano farmi male, i piedi portavano i segni del cammino, veri e propri tagli, a volte, e io ero capace addirittura di amarli, quei tagli, tanto quanto amavo il primo raggio di sole tra le querce del giardino all’alba, le rotaie della piccola stazione in cui passavano due treni al giorno, che da bambina sognavo di prendere senza leggere la destinazione, il colore blu in tutte le sue sfumature, le valigie, i gelati, respirare nella pioggia. La vita, allora, mi camminava dentro. Oggi la guardo passarmi accanto, la osservo con distacco, non provo più niente per lei.

Tra quella che tanti anni fa era la mia casa e le altre quattro o cinque vicine si era creato un minuscolo triangolo, una specie di cortiletto, che ad ogni temporale si impregnava d’acqua, e anche dopo che le pozzanghere si erano fatte via via meno profonde, fino a divenire semplici chiazze umide, per molti mesi tutto il fondo manteneva l’aspetto lucido e scuro del cemento bagnato. Era riparato sui quattro lati dagli alti muri delle case intorno e la luce diretta non lo colpiva mai, né era mai battuto dal vento, o esposto al caldo o al freddo.

Adesso le case intorno non esistono più. Il pavimento del triangolo è asciutto, senza una goccia d’acqua, e luminoso, luminoso in maniera totale, assoluta, non un filo d’ombra, una sfumatura. Uniformemente, disperatamente asciutto e luminoso. Una colonia di formiche si è appropriata degli spazi, vanno avanti e indietro, talvolta in file ordinate, altre volte invece si spandono un po’ dappertutto. Non ci sono briciole da raccogliere, né insetti, o piante, o persone. Niente. Non le vedo portare cibo da qualche parte, non so cosa cerchino, né se cerchino qualcosa. Sto per ore distesa sui gomiti, a guardare i loro piccolissimi corpi neri che coprono zone sempre più vaste. Quella luce disperata in alto, e guardando in basso, invece, quel nero che si estende. Non ho altro da fare. Quelle formiche sono come le persone che un tempo conoscevo. Cercano una linea retta, una geometria che dia senso al loro movimento, poi rinunciano. Nel loro agitarsi torna il caso. Il caos. Questione di anagrammi. Quante saranno? Centinaia? Migliaia forse.

Dopo i tre, quattro zeri qualunque cosa diventa statistica, anche le persone. Non siamo veramente in grado di concepire, con la nostra mente, la reale differenza tra mille, centomila o cento milioni. Prima li contavamo, i bambini in agonia, anche quelli lontani, che passavano attraverso le immagini e non entravano davvero in casa nostra, ma in qualche misura ci appartenevano. Ho smesso di contare, ormai. Tanto tutto è morto, intorno a me e dentro di me.

Non di rado la notte tremavo, con una violenza che mi spaccava il sonno, quel po’ di sonno che riuscivo a rubare, a volte pochi istanti soltanto, interrotti da un silenzio cosi letale da svegliarmi. Un silenzio che mi entrava nei timpani a tradimento, più doloroso di qualunque suono. Dicono che non potrai mai più liberarti dell’ombra di tutto ciò che rifiuti. Se allontani la pena, se nascondi la paura, la tua vita non sarà che dolore e paura. Io so che non è vero. Quei bambini dilaniati nel mio giardino non erano i miei figli, perché dovrei curarmi di loro? L’uomo che hanno trascinato per i piedi, umiliato e sconfitto, non era niente per me. Ho rinunciato a tutto, perché non c’è niente di peggio dei sentimenti. Uno dipende dall’altro. Se ami, hai paura della perdita. La felicità non può esistere senza l’abisso, né la serenità senza il vortice e l’uragano. Infinitamente meglio il nulla. È meglio non cercare un significato.

L’insensibilità ha la grazia del vuoto, di un’assenza che non diventa mancanza. Non c’è nessuno a cui vorrei mancare, nessuno che mi manca. Come un cecchino contemplo la morte dall’alto, con l’esperta cura dei dettagli di chi conosce il mestiere. A quale angolatura sarà puntata l’arma? A chi toccherà questa volta? Fotografo la morte con lo sguardo, senza che possa toccarmi in alcun modo, vedo soltanto la tecnica inimitabile dell’orrore, il suo tempismo perfetto, ma non mi riguarda, non sono vittima né carnefice, né tantomeno intendo mettermi contro qualcosa o qualcuno. È facile affrontare il pericolo, quando ti importa di qualcosa; ma quando tutto è indifferente, non esiste più un pericolo da affrontare, né una speranza. Non c’è più inizio, né fine. Tutto è spento, dimenticato; qui non c’è più nessuno, nemmeno io. Le formiche si appropriano anche del mio spazio, mi camminano addosso, non m’importa, ho smesso anche di tremare di notte. Sono libera. Ero carne, oggi sono pietra.

49 Pensieri su &Idquo;Accidia (un esperimento)

    • Vorrei precisare: sicuramente c’è qualcosa di me qui dentro, C’è in tutto ciò che si scrive, credo. Però è strettamente un’opera di narrativa. In realtà l’esperimento stava proprio nell’entrare nei panni di una persona che sia davvero indifferente a tutto. Non credo di esserci riuscita fino nin fondo, Avrei addirittura voluto tentare una scrittura “fredda”, quasi chirurgica, ma ho capito che questo è un mio limite: non ce la faccio. Ho “dovuto” inventarmi una ragione per quell’indifferenza, perché credo di amare le emozioni sopra ogni cosa al mondo. E’ anche vero che c’è stato un periodo in cui ero “anestetizzata”, e in effetti forse riesco a concepire l’assenza di emozioni solo come una “morte interiore”, o quanto meno una difesa (terribile) conseguente a dolori difficilmente sopportabili. Come mi è capitato di dire, l’atarassia è una cosa che proprio non fa per me e credo che nessuno di coloro che “pensano” di essere freddi lo sia davvero, anzi, sono persone più capaci degli altri di essere ferite. chi è davbvero freddo non ci pensa minimamente, non sa di esserlo, non si pone il problema (penso io).
      Ricambio l’abbraccio di cuore, comunque (e non trattenere mai un commento, se ti viene, io ne sono sempre felice!)

      • Che non parlassi di te, ma che fosse un “racconto” lo avevo capito!
        Però ci sono dei passaggi in cui c’è molto della tua interiorità è molto del mio vissuto, per questo il tuo post mi piace tanto.
        La scrittura fredda e distaccata è un limite anche per me. Forse perché non riesco a scrivere di testa senza metterci anche un po’ di pancia e un po’ di cuore.
        Buona giornata 🤗😘

      • Meno male, l’abbraccio mi aveva fatto venire il dubbio 😀
        Sì, è proprio quello che succede anche a me. Era un racconto destinato a un concorso sul tema dell’indifferenza a cui non ho poi fatto in tempo a partecipare, però mi interessava. Cos’è che ci rende indifferenti? Possiamo esserlo davvero del tutto? E qui s’insinua l’interiorità… 🙂

      • Per quanto mi riguarda, ogni volta che ho adottato la strategia dell’indifferenza, ho sempre sperato che il destinatario se ne accorgesse.
        E ti ho detto tutto.
        Quindi forse è possibile essere indifferenti quando la cosa non ci tocca o non ci tocca più. Ma quando ci sono di mezzo le emozioni e i sentimenti so che generalizzare è sempre sbagliato (e forse anche inutile). 🙂

      • Finché è una “strategia” non è vera indifferenza. Eppure ci sono persone che riescono davvero a non essere toccate dalla sorte altrui, e mi chiedo se sia anche in quel caso una difesa, o se esista una freddezza caratteriale.Chissà. E’ vero sicuramente che in questa materia non si può generalizzare. Buon pomeriggio a te 🙂 :*

    • Grazie. Eh sì, da quel punto di vista l’esperimento non è riuscito. Credo di non essere pronta a spogliarmi del tutto delle emozioni, anche quando parlo di accidia. Grazie comunque, mi è molto piaciuto quel “entri ed eci dalle pareti della materia e del pensiero”, è stato in buona parte inconsapevole, ma non del tutto 🙂

      • la cosa più accidiosa e indifferente che abbia mai letto è la Trilogia della città di K., di Agota Kristof. mi ha fatto schifo. il problema è che se l’autore crea il vuoto (ed è difficilissimo farlo), il fruitore dell’opera trova il vuoto. per carità, c’è chi pensa che il libro della Kristof sia eccezionale, così come nelle arti visive c’è chi considera Lucio Fontana un genio. io penso che di vuoto siamo già pieni, l’arte può fare di meglio.

      • Credo che in questo forse la nostra visione sia simile. Scrivevo “non sono pronta”, “non riesco”, e dentro di me pensavo “non voglio”. Non voglio davvero scrivere in modo “chirurgico” o creare il vuoto (ammesso e non concesso che ci riuscirei, se volessi). Mi capita molto spesso di leggere, nella recensione di un libro che voglia farlo sembrare “importante” o addirittura “necessario”, della capacità di mostrare “il mostro che è in noi”, di descrivere il male o la disperata condizione dell’umanità, l’inutile affannarsi… con quel che segue. Naturalmente c’è chi riesce a farlo con molta partecipazione umana, e allora va bene, Ma il cinismo, il disincanto, mi respingono profondamente. Credo siano un cliché. Amo chi cerca il buono, il sentimento (non il sentimentalismo!), ciò che riscatta e redime. Trovo che sia molto più “convenzionale” vedere il brutto ovunque, e che l’umanità (intesa nel suo senso positivo, o comunque più completo) sia molto più interessante. Forse è questa la vera ragione per cui non amo i film e i libri dell’orrore. Ecco, sì, come dici tu, penso che l’arte possa “fare di meglio”, e questo meglio, per me, rispetto a tante cose vuote e negative che certamente ci circondano, è andare a cercare ciò che “riempie”.

  1. È una splendida prova anche se si sente tutta la tua anima dietro. Alcune immagini sono potenti, stordiscono con la loro nettezza.
    La tua è una scrittura buona, si sente che vuoi bene ai personaggi che crei. Questo può essere un limite, forse, sicuramente per me un grande pregio.

    • Hai compreso perfettamente (non che ne dubitassi) che non riesco scrivere di un personaggio a cui non possa essere in qualche modo affezionata. Non mi dispiace quasi mai, questo, scrivo di ciò che amo ed è quello che mi interessa fare, però a volte… Stavo pensando a Harry Potter, una saga che mi ha coinvolta a vari livelli devo dire, e all’unico personaggio interamente, irredimibilmente negativo di tutta l’opera (a parte Voldermort, ovviamente). Parlo della Umbridge, non so se l’hai presente. Ecco, un personaggio così mi piacerebbe saperlo inventare. Non uguale, ma uno che ti lasci dentro quella sensazione di immensa sgradevolezza, che addirittura tu possa detestare con tutto il cuore (che quindi ti colpisca nel profondo) proprio per la sua distanza abissale da qualunque forma di affetto, sentimento o comprensione umana, per il quale conta solo lui bstesso, incapace di vedere nient’altro. E’ vero che la “bontà” (e tu sai bene come la intendo) mi sembra infinitamente più interessante, però d’altra parte mi sembra che manchino alcuni colori della tavolozza, alcuni aspetti che comunque della vita fanno parte, Imparerò. Forse. 🙂

    • Non ne sono certa. Conosco persone autistiche che sono tutt’altro che accidiose e indifferenti, mentre poi penso a certe persone capaci di uccidere davvero a sangue freddo, o anche senza arrivare a quegli estremi, persone che hanno una grandissima difficoltà a sentirsi solidali verso i loro simili, a immedesimarsi nelle emozioni altrui, e in alcuni casi più che una difesa contro gli insulti precoci del mondo mi sembra proprio una mancanza assoluta di empatia. L’empatia si impara per imitazione, credo, però ci sono persone che la apprendono, altre no. Però non riesco a immaginare e descrivere una persona del tutto priva di empatia, anche se credo che ne esistano.

  2. Scusa mi è partito il dito sul telefono….
    La frase di prima per sdrammatizzare un racconto impersonificato talmente bene nei dettagli
    Tu hai sempre una cura e un’attenzione molto particolari!

  3. A volte nella vita si aspira all’indifferenza e all’immobilità ma vivere contraddice questi concetti e, a meno di essere catatonici a livello psichiatrico, il varco resta sempre aperto. In letteratura si può fare, non per niente l’arte è espressione e rifugio per eccellenza… anche quando si tratta di esperimenti 😉

    • Dici bene, l’indifferenza e l’immobilità sono il contrario della vita. Anche nelle loro manifestazioni più comuni e meno psichiatriche, secondo me. Più “vedi” gli altri e riesci a metterti nei loro panni, più sei vivo. La letteratura, l’arte, sono esplorazione e scoperta, ricerca di ogni possibile lato umano, Ognuno inevitabilmente esprime se stesso, ma è importante cercare comunque entro certi limiti di “uscire da sé”, osservando il mondo esterno ci si conosce sempre di più, perché pur magari in parti minuscole, dentro di noi c’è tutto, credo.

    • Grazie. Forse non c’entra niente, ma sono stata molto male (psicologicamente intendo) per un paio di giorni, subito dopo aver scritto questo racconto. D’altra parte scrivere significa spesso affondare allo stesso modo in ciò che amiamo di più e in ciò che amiamo di meno, ma che comunque, che ci piaccia o no, in qualche misura ci appartiene.

  4. Io non trovo le parole per commentare la tua bravura nello scrivere.Esperimenti riusciti o no, scrivi in modo stupendo. E vorrei essere capace anch’io così, ma non penso proprio di avere le tue qualità. ❤

    • Che posso fare se non mandarti un abbraccio? E’ un periodo che sono un po’ giù, ma le vostre parole sono un balsamo. A me piace anche molto come scrivi tu, ma poi hai quel talento per raccontare storie con le immagini che sono io, invece, a invidiarti, sono sempre una più bella dell’altra, bella nel senso anche di intensa, significativa, importante

      • Ti ringrazio. Anch’io non sono nel mio momento migliore ( e quando mai?). Vorrà dire che semmai illustrerò i tuoi libri con le mie foto, se vuoi. Avrei alcune cose che ho scritto, ma un po’ mi vergogno a postarle.

  5. Pingback: Primo premio al mio racconto “Accidia” | intempestivoviandante's Blog

  6. Un premio meritato. Credo che chiunque legga questo pezzo non possa non provare sensazioni forti. Nel mio caso ho finito per compatire il personaggio, ho provato dispiacere per quella sorta di “rassegnazione” finale, quel diventare di pietra. Credo che la potenza delle immagini sia arrivata a tutti e che ti abbiano premiata per questo. Davvero complimenti sinceri. :*

  7. Un racconto che merita ampiamente il premio. Fa venire i brividi. Una vita, una unica vita, quella che abbiamo avuto in dono, non può ridursi così, divenire pietra per trovare pace.
    Bravissima!
    Non è semplice scrivere su questi argomenti se non si sono almeno sfiorati personalmente o vissuti strettamente su persone care. Eppure hai saputo evocare immagini nitide e potenti. Da brividi. Appunto.

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