Robin’s monday – Piccole gemme: la presentazione di Al Pacino per l’AFI Life Achievement Award

Un piccolo esempio di quando Robin apparentemente prendeva in giro qualcuno, in realtà per esaltare i suoi meriti in maniera più memorabile di quanto qualunque premio, e qualunque discorso paludato di elogio, avrebbero mai potuto fare. Chissà se ad Al Pacino ha fatto più piacere il premio, o il fatto che a presentarlo fosse l’uomo che ai tempi di Insomnia aveva saputo tirargli fuori tutto il lato più antiaccademico che c’era in lui, ridimensionando la stanislavskizzazione e dimostrando a lui e al mondo che si può impersonare con estrema efficacia un efferato assassino (così come un detective insonne e perseguitato dai suoi demoni) senza per questo smettere di divertirsi in quello che si fa.

Sole, mare, relax, cibo squisito, i figli tutto il giorno in giro e generalmente felici, libri stupendi, tutto per vivere l’attimo, sentire l’intensità del presente e dimenticare le inquietudini. Cosa che faccio, a momenti alterni, almeno. Il portatile mi ha lasciato a piedi, per così dire, e questo potrebbe spiegare in parte il fatto che il senso di oppressione tenda a non scomparire.  Scrivo a mano, ma, paradossalmente forse, questo mi fa sentire meno libera per varie ragioni. La scrittura è strettamente legata alla libertà, come di recente mi hanno confermato due libri di Bjorn Larsson, un autore che già aveva un posto essenziale nel mio cuore, e di cui mi sentirete parlare prestissimo. Alcuni già sanno del profondo amore che mi lega al Pirata Long John Silver,  Ci sono forse tre o quattro scrittori, classici a parte, di cui voglio leggere tutto e di cui appena finito un libro, mi viene immediatamente voglia di ricominciarlo da capo. Larsson è uno di loro. I suoi libri mi inquietano, mi trascinano, mi incantano, mi scavano dentro. Ve li racconterò, ne ho bisogno.

Un’altra piccola grande soddisfazione

Il mio racconto Il figlio dell’ombra è stato segnalato in un altro concorso, il premio Cavallari di Pizzoli, per la pubblicazione in un’antologia. Ho partecipato e sto partecipando a parecchi negli ultimi mesi, l’ho preso quasi come un lavoro, ma un lavoro che faccio per me e per quello che amo 😊

Sono contenta di essere arrivata due

Al concorso “Premio Città di Livorno” alla fine sono arrivata seconda ma è stato un ottimo risultato perché c’erano moltissimi lavori e sono stati premiati anche quelli dal quarto al decimo, ma solo i primi tre sono stati letti, e solo quelli ricevevano la medaglia d’oro, per cui è una bella soddisfazione 🙂

La poesia era Fino al mare , al link la trovate con una (brevissima, giuro) introduzione narrativa che non ho inviato al Premio. Le motivazioni della giuria sono queste:

Con estrema dolcezza la poesia tratteggia il tema del mare, quale teatro dell’amore.

“Il cuore è un gatto”, l’espressione figurata risulta estremamente efficace e rende l’idea di un sentimento che non trova pace, sempre vivo, sempre puntuale nel suo naturale pulsare, nel cercare un mare sfuggente. Lo stesso gatto non teme le stelle e di notte riposa, in sintonia con il corpo che lo contiene.

Il cuore, il gatto, corre verso il mare e guarda al futuro.

Domani sarà di nuovo protagonista, correrà, proprio come deve fare ogni cuore, pronto al nutrimento, alla ricerca di sentimento, fino al mare.

Mi piace, hanno compreso gran parte dei temi che mi stavano e mi stanno a cuore, l’inquietudine e la mancanza come motivo di ricerca e di vita, non di resa, mai di resa, la nostalgia può diventare anche un modo diverso di guardare al futuro.

E comunque a Livorno ci sono cose che vale la pena di vedere e questa era un’ottima scusa. È stata nel complesso una gran bella giornata, anche se stancante, e adesso infatti vado a dormire! Ho fatto abbastanza la ruota, da domani parlerò d’altro! (Ma posterò le foto di Livorno se ci riesco, sono un po’ indietro con le immagini dei miei viaggi) 🙂

(Il titolo è una citazione/omaggio a Walter Chiari).

 

 

Pensieri random

La mia povera eroina è in attesa, sono esausta e non sono neanche riuscita a fare tutto quello che avrei dovuto, figuriamoci poi scrivere. La settimana prossima sono in ferie e conto di passare le giornate tra mare, libri e scrittura, con la mia dolce ma tosta protagonista 🙂

Sembra quasi che io abbia bisogno di pressione per fare le cose: pressione del tempo e delle urgenze, pressione delle emozioni… ma non può andare sempre così, non ho più vent’anni e dopo un po’ finisce che l’organismo mi dice “ahò, datti una calmata”. Ho bisogno di più equilibrio nelle mie giornate!

Un ritratto davvero eccezionale

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La prima cosa da dire di questo libro è che si rivolge principalmente ai fan di Robin. Non che sia rigorosamente riservato a loro, intendiamoci, ma è difficile che a qualcuno venga in mente anche solo di aprirlo, se non è (fortemente) incuriosito da lui. È costruito in gran parte sulle fotografie, dopotutto, e i testi sono, in apparenza almeno, testi di accompagnamento, quasi delle didascalie un po’ allungate, si potrebbe pensare.

Alcune caratteristiche, tuttavia, potrebbero renderlo interessante anche a chi abbia solo una vaga conoscenza e una blanda curiosità.

In primo luogo, Arthur Grace ha iniziato come fotografo incaricato di un servizio per un giornale, ma in brevissimo tempo, come quasi sempre accadeva con Robin, è diventato un amico, non tra quelli più stretti, come lui stesso dice subito, ma direi comunque tra quelli veri. È sicuramente una delle persone con cui mi piacerebbe parlare se dovessi integrare/scrivere una seconda parte / una seconda edizione del mio libro dedicato a Robin (e lo so, ancora non conosco il destino del primo e sto già pensando al secondo. Ma di scrivere di lui non smetterò mai e questo è un fatto).

In secondo luogo, e proprio per questa ragione, è un libro come speravo che fosse, intimo, personale, emotivamente coinvolto senza mai scadere nel gossip, nè nell’agiografico, anche se (e questo è un aspetto che me lo rende caro), conferma una per una le qualità che io ho sempre attribuito a Robin, dandone prova con fatti ed episodi molto specifici. In effetti, ho apprezzato molto la discrezione e la delicatezza con cui ha accennato a malapena, en passant, ai temi più spinosi della sua vita, ben consapevole del resto che chi lo ha amato, da vicino o da lontano, quegli aspetti li ha ben presenti (per averne sentito parlare da lui direttamente, in gran parte).

L’informalità delle foto e degli scritti mostrano quello che potrebbe definirsi un “Robin Williams inedito”, se non fosse che il Robin privato a quanto pare non era, negli aspetti più importanti, affatto diverso da quello pubblico. Grace ha potuto conoscere Robin da vicino, agli eventi familiari, nei fortunosi tour dei primi anni, con mezzi improbabili verso teatri altrettanto improbabili sperduti in luoghi remoti, quando coglieva poche ore di sonno dovunque fosse possibile (e Robin, abituato alle comodità fin da bambino, si adattava a tutto senza nessun problema), e nei grandiosi tour successivi alla memorabile serata al Met di New York; nel suo ranch, a cena, durante la preparazione dei film; nei momenti con i figli; in compagnia dei numerossimi amici, famosi e non; allo stadio…

Buona parte del fascino di Robin, o comunque una parte importante, stava nel fatto che in lui convivevano un’estrema complessità (di mente, soprattutto) e una grande semplicità, di modi e non solo. Un uomo capace di conciliare un profondo interesse per la storia, l’attualità, la cultura e l’ambiente con una stanza dei giochi (la famosa stanza segreta dietro la libreria girevole, o in cima alla torre) piena di soldatini, astronavi di Star Wars, videogiochi e modellini di mostri. Capace di leggere la realtà con occhio acutissimo, disincantato e ovviamente denso di humour, ma del tutto impreparato all’idea che qualcuno, persino nell’ambiente di Hollywood, potesse dirgli una cosa per l’altra (l’episodio del ruolo del Joker in Batman è indicativo). Sono sempre più convinta che sia un uomo interessante da conoscere, anche oltre e al di fuori degli aspetti più ovvi.

Being on tour with Robin in the spring of 1986 was as exhilarating and carefree an assignment as I ever had, and easily the most fun.

[…]

One part of the business side of my road trip was, of course, taking photographs of Robin before, during, and after his performances. I got to see beforehand what it took to do what he did so successfully – meticulous preparation, a superb memory, steady nerves, stockpiles of energy, love of being on stage, and the ability to recharge himself so every night was a new experience. Obviously, the prerequisite to all this was having a keen sense of humor, a sixth sense of what was funny, and the ability to deliver laughs to an audience in an engaging way.

[da: Robin Williams, A Singular Portrait, 1986 – 2002, di Arthur Grace, Ed. Counterpoint 2016)

Traduzione (mia)

Quello di seguire Robin durante il suo tour nella primavera del 1986 è stato uno degli incarichi più entusiasmanti e pìù spensierati che abbia mai avuto, e sicuramente quello in cui mi sono divertito di più.

Parte dei miei compiti di lavoro in quel viaggio on the road consisteva, naturalmente, nel fotografare Robin prima, durante e dopo gli spettacoli. Ho avuto modo di vedere in prima persona quello che gli serviva per fare quello che faceva con tanto successo – una preparazione meticolosa, una memoria incredibile, nervi saldissimi, scorte inesauribili di energia, amore per il palcoscenico, e la capacità di ricaricarsi, così che ogni serata era un’esperienza nuova. Ovviamente, il primo requisito era un acuto senso dell’umorismo, un sesto senso su quello che era divertente, e la capacità di far ridere le persone facendole sentire coinvolte. 

 

 

Ispirazioni

Da un po’ mi ronzava in testa una certa idea per un racconto, probabilmente lungo, forse un breve romanzo. Ronzava e ronzava, apparentemente a caso. Ieri sera guardando il cielo ho pensato e scritto una frase e poco dopo l’ho immaginata come parte di quel racconto, forse l’inizio stesso, una frase che avrebbe potuto  in qualche modo appartenere alla protagonista. Stamattina poi ho buttato giù ancora qualche riga e a un certo punto mi sono venute le lacrime agli occhi e mi è parso davvero che lei mi chiamasse e mi chiedesse di raccontarla. Non sarei la prima a farlo, e del resto potete tranquillamente pensare che io sia un po’ svitata (lo sono); forse è semplicemente una forma particolare di “ispirazione”, sta di fatto che l’idea si sta concretizzando, e adesso sono certa che sia quella giusta.

Citazioni da “Una storia della lettura”

Poi un giorno, dal finestrino di un’auto, durante un viaggio di cui ho dimenticato la meta, vidi un cartello pubblicitario sul lato della strada. Non mi pare di averlo fissato a lungo; forse la macchina si fermò per un momento, forse si limitò a rallentare abbastanza per permettermi di vedere, grandi e distinti, segni simili a quelli del mio libro; ma segni che non avevo mai visto prima. E d’un tratto capii cos’erano; li sentivo nella mia testa, mentre si trasformavano da linee nere e spazi bianchi in una realtà solida, sonora e piena di significato. Avevo fatto tutto questo da solo. Nessuno aveva compiuto la magia per me. Io e i segni eravamo soli l’uno di fronte agli altri; essi mi si rivelavano in silenzio. Da quando fui capace di trasformare semplici linee in una realtà vivente, divenni onnipotente. Sapevo leggere.

[..]

I lettori di libri, famiglia in cui stavo inconsapevolmente entrando (pensiamo sempre di essere soli in ogni scoperta, e che ogni esperienza, dalla morte alla nascita, sia assolutamente unica), estendono o concentrano una funzione comune a tutti noi. Leggere lettere su una pagina è solo una delle molte letture possibili. L’astronomo che legge sulla mappa del cielo la posizione di stelle che non esistono più; l’architetto giapponese che legge sul terreno la disposizione da dare alla casa per proteggerla dalle forze del male; lo zoologo che legge le tracce degli animali nella foresta; il giocatore che legge i gesti del compagno prima di giocare la carta vincente; il ballerino che legge le annotazioni del coreografo, e il pubblico che legge i movimenti del ballerino sul palcoscenico; il tessitore che legge l’intricato disegno del tappeto che sta eseguendo; l’organista che legge simultaneamente diversi brani di musica orchestrata sulla pagina; il genitore che legge la faccia del bimbo per scoprirvi i segni della gioia, della paura, della meraviglia; l’indovino cinese che legge gli antichi segni sul guscio di una tartaruga; l’amante che legge alla cieca il corpo dell’amata di notte, sotto le lenzuola; lo psichiatra che aiuta il paziente a leggere i suoi strani sogni; il pescatore hawaiano che legge le correnti dell’oceano mettendo una mano nell’acqua; il contadino che legge nel cielo che tempo farà; tutti costoro condividono con i lettori di libri l’arte di decifrare e tradurre segni. Alcune di queste letture sono influenzate dalla consapevolezza che la cosa letta è stata creata a questo scopo specifico da altri esseri umani – le notazioni musicali o i segnali stradali, per esempio – o dagli dèi – il guscio della tartaruga, il cielo stellato. Altre derivano dal caso.

È comunque il lettore a leggere il senso; è il lettore che garantisce o riconosce in un oggetto, luogo o evento una certa possibile leggibilità; è il lettore che deve attribuire significato a un sistema di segni, e poi decifrarlo. Noi tutti leggiamo noi stessi e il mondo intorno a noi per intravedere cosa e dove siamo. Leggiamo per capire, o per iniziare a capire. Non possiamo fare a meno di leggere. Leggere, quasi come respirare, è la nostra funzione essenziale.

[Alberto Manguel, Una storia della lettura, Oscar Mondadori, traduzione di Gianni Guadalupi)