Non è forse per trovare un senso a un’esistenza altrimenti inspiegabile che tanta gente cade vittima di ogni genere di guru, di astrologi, di capi di sette, di veggenti e di profeti, di dei veri e fasulli?
Un tempo, molto prima dell’invenzione dei sofisticati strumenti di navigazione elettronici del giorno d’oggi, con i quali si può stabilire la propria posizione con pochi metri di approssimazione, si navigava a stima, ovvero senza altro aiuto che la rotta e la velocità.
A quei tempi, i bravi navigatori sapevano che una posizione calcolata in quel modo diventava sempre meno affidabile man mano che ci si allontanava dal punto di partenza. (…) Una posizione stimata viene dunque sempre rappresentata come un cerchio. E più a lungo si naviga, più il cerchio si allarga. Il navigatore avveduto tiene sempre conto di questa incertezza, allarga in continuazione il suo cerchio, senza illudersi che la sua nave si trovi al sicuro, al centro del cerchio, invece che esposta ai pericoli, alla sua periferia.
In mare si era dunque obbligati a vivere nell’incertezza. In mare era più pericoloso credere di sapere troppo che troppo poco. In mare si era obbligati a mettere l’inspiegabile tra parentesi, a sospendere la propria ricerca di significato, a lasciare che l’inspiegabile restasse inspiegato senza che per questo occupasse tutti i propri pensieri.
(…) Paradossalmente, proprio adesso che le nostre conoscenze sembrano aumentare sempre più, si direbbe che abbiamo un bisogno di fede sempre maggiore. (…)
Quello che si ha tutte le ragioni di chiedersi è perché mai dovremmo credere qualcosa di cui non sappiamo niente. Perché facciamo così fatica a vivere nell’incertezza? Perché sono così pochi quelli che osano vivere a navigazione stimata?
(Björn Larsson, La saggezza del mare, Iperborea, traduzione di Katia De Marco, p. 67)
Perché forse, molti, desiderano navigare in sicurezza. Tracciando le rotte sulla carta. Col supporto dei satelliti.
Perché vivere a navigazione stimata, necessita la capacità di “partire” e buttarsi in un viaggio dove l’unica garanzia è la propria fede.
Che dev’essere forte, superiore ad ogni tempesta. Dev’essere tenace, anche se l’ago della bussola va in avaria. Dev’essere costante, sempre all’erta e vigile, le sirene, potrebbero distrarre…
E mettersi in viaggio,con alcune incognite, desta sempre molto perplessità.
Probabilmente, perché sperare in una meta, migliore di qualsiasi approdo, una mente umana possa mai concepire, è ancora lontano dal cuore di chi fatìca a buttarsi in mare.
Conoscendo un po ‘ le idee di Larsson, credo che più che alla fede faccia riferimento alla difficoltà di mettersi in gioco, di vivere fino in fondo il sogno di libertà che molti hanno e pochi hanno il coraggio di seguire, preferendo una vita tranquilla. Mi viene in mente la vita di quieta disperazione di cui si parlava nell’Attimo Fuggente. Penso che manchi una sana, equilibrata fede in se stessi, senza la quale tutte le altre diventano un motivo di dare a qualcun altro tutta la responsabilità della propria vita e delle proprie idee. Fino al punto magari di diventare ciechi al valore della propria vita e di quella altrui.
Nel leggere mi viene in mente la consapevolezza…e anche la comfort zone in cui tanti preferiscono rimanere….🙂
Sì, in effetti ☺
🙂🌷