Robin’s Monday – Piccole gemme: l’intervista con Michael Parkinson

La prima volta che trovai notizia di questa intervista, nella mia ignoranza, pensai alla malattia, ricordo il timore che Robin avesse scoperto di averla e il sollievo di rendermi conto che si trattava in realtà del presentatore, che amplificò le mie risate quando guardai lo show. Parkinson del resto è una leggenda televisiva e sa bene quando e come intervenire e quando e come lasciar spazio.

La lettrice della domenica – citazione dal Pittore di Battaglie

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Ho già recensito questo libro, e come dicevo allora, qualcosa mi attrae molto, soprattutto a livello cerebrale, qualcosa mi respinge, a livello del cuore. È un libro freddo in maniera per me quasi insopportabile, eppure ci torno e ritorno sopra. Credo sia proprio la distanza rispetto a un punto di vista così diverso dal mio, che lo rende interessante ma anche ostico. Comunque, vi presento un’altra citazione, uno dei frammenti che più mi hanno colpito e che sono andata a ricercarmi, forse uno dei pochi in cui una certa emozione si percepisce:

A proposito di posti, commentò Markovic, non so se la pensa come me. In guerra sopravvivi grazie agli accidenti del terreno. E la cosa lascia un senso speciale del paesaggio. Non le sembra?  Il ricordo del posto da cui sei passato non si cancella mai, anche se si dimenticano altri particolari. Parlo del prato che osservi sperando di vedere apparire il nemico, della forma della collina che risali sotto il fuoco, del fondo del fossato che protegge da un bombardamento… Capisce quello che dico, signor Falques?

“Perfettamente.”

Il croato rimase un momento in silenzio. La brace della sigaretta brillò per l’ultima volta prima che lui la spegnesse.

“Ci sono posti” aggiunse “da cui non si torna mai.” 

(Arturo Pérez-Reverte, Il pittore di battaglie, Tropea, traduzione di Roberta Bovaia)

La sostanza dei sogni

Forse è naturale che i rari sogni in cui entri – che sono anche i pochissimi di cui conservo almeno qualche sfocata immagine, qualche parola, ombre quasi impalpabili ma persistenti – non vengano nei momenti in cui più lo desidero, ma quando ne ho davvero, davvero necessità, un bisogno fisico, quasi per sopravvivere. Proprio allora, quando la fatica sarebbe davvero insopportabile senza qualcosa o qualcuno che porti un vento di leggerezza, sei sempre tu a ricordarmi quello che so, con ironia gentile, con quel sorriso che mi lascia senza difese. “Alla stessa destinazione si può arrivare da tante strade diverse”. Questa, più o meno, l’idea che il te del mio sogno ha espresso la scorsa notte. Certo che sono d’accordo, sono parole mie, almeno per metà. Sono certa che tu non solo le hai pensate, ma avresti saputo renderle molto più belle, ci avresti sperimentato sopra, costruito materiale per riderne, le avresti rese rotonde, perfette, indimenticabili, con quel rigore che mettevi nelle improvvisazioni, e no, lo so che non è affatto una contraddizione, credimi.

Sarà un caso, ma oggi sembra tutto diverso. Tutto quello che ieri era insormontabile, oggi appare ridimensionato. Oggi sono stata contenta di quello che è successo, delle parole e dei silenzi, della complicità e del rispetto degli spazi. Oggi sono stata me stessa.

Comunque sì, è ancora così, parto da te per riflettere, picchiarmi con le mie incoerenze, immaginare altri scenari, recitare, a volte, perché lo sanno, i poeti e gli artisti, che attraverso la finzione è più facile arrivare alle verità più lontane, dense e profonde. Parto da te per rimestare i pensieri, che serve sempre. Alla fine, quello che rimane di ciò che ho forse solo creduto di vedere e sentire, è che tu in quel momento non eri una semplice figura, ma vita e presenza. Un’impressione notturna, ma se noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, allora anche questo fa parte della mia sostanza, di quello che sono.

Film 1924 – The Marriage Circle (Matrimonio a quattro) di E. Lubitsch

Lubitsch qui ha decisamente imboccato la strada della commedia, in parte romantica, in parte di costume, e prende di mira le croci e le delizie della vita matrimoniale. L storia in sé non è particolarmente originale. In più, ha formato oggetto di una delle più famose dispute della storia del cinema. Il film venne infatti accusato di essere, in pratica, una copia (un “facsimile”) di A Woman of Paris (La donna di Parigi) di Chaplin. È peraltro anche un tipico esempio di quello che viene chiamato the Lubitsch touch, il tocco di Lubitsch, quella commedia sofisticata ma non priva di tratti di cinismo e persino una certa cattiveria, pur celata in parte sotto strati di quel savoir vivre europeo che gli Americani pare amassero molto. Lubitsch gioca con le espressioni degli attori, con le porte e i cassetti, con i tempi dilatati o accelerati di alcune riprese, e sfrutta moltissimo l’aspetto visivo del mezzo cinematografico. Eppure, di tutti i grandi registi del muto della sua epoca, sarà quello che con minor disagio saprà passare al sonoro, regalandoci alcuni tra i massimi capolavori di tutti i tempi, da La Vedova AllegraNinotchka, da Il cielo può attendereVogliamo vivere, dimostrando tra l’altro di sapersi muovere agevolmente in generi molto diversi.

In The Marriage Circle viene esposta in maniera scanzonata e disinvolta ma come dicevo, anche un po’ spietata, la comunissima situazione di molte coppie in cui la noia e l’insofferenza man mano sostituiscono l’affetto e l’erotismo. Mizzi, moglie del professor Stock e amica di Charlotte, non si fa nessuno scrupolo di tradire entrambi contemporaneamente, cercando di sedurre il marito di Charlotte. Completamente egocentrica, interessata solo al proprio esclusivo tornaconto, Mizzi è un personaggio davvero sgradevolissimo, ma neanche gli altri fanno una gran figura. Non per niente il film in francese si intitolava Comédiennes (e avrebbe benissimo potuto aggiungere et Comédiens). Era solo il 1927 quando Lubitsch disse che questo era il suo film preferito, quello su cui non aveva alcun rimpianto. È probabile che dieci, quindici anni dopo avrebbe dato una risposta diversa. In ogni caso, quello che lui amava restava appunto il fatto di aver lavorato sulla creazione di una storia che rispecchiasse la vita di migliaia di coppie sposate, persone qualunque che si possono incontrare nella vita di tutti i giorni – per quanto, mi viene anche da dire, almeno per alcune di loro, speriamo proprio di no!

Qualche foto di Pistoia – premiazione del concorso di Racconti Brevi Il Torrente

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Qualche foto di Pistoia, dove siamo arrivati ieri per la premiazione del concorso di racconti brevi “Il Torrente”. La premiazione è stata questa mattina, e dopo abbiamo mangiato (molto bene) alla Casa del Popolo di Bonelle.

Questa la motivazione della Giuria che ha assegnato il primo premio al mio racconto “Accidia”:

Il racconto trasporta il lettore, con un incipit potente, nella totale indifferenza della protagonista, spiazzando talvolta per il contrasto tra gli aggettivi fortemente negativi legati in modo originale a sostantivi che di solito sono sinonimo di allegria, serenità e pace (il sole, disperatamente luminoso, i silenzi, letali da svegliare).

In maniera sempre più claustrofobica, la protagonista si concentra sul non sentire con una scrittura che segue un ritmo sempre più centripeto compiendo la metamorfosi finale, in un mondo che finalmente la ingloba, la pietrifica, congela il suo sentire al pari dello sguardo di Medusa.

Ponte tra terra e fuoco

Ahi mia amata, mia città giardino,
ponte sulle mie lacrime,
ponte tra terra e fuoco, tra cenere e sole;
chiudo il dolore in una tana di parole,
rifugio inadeguato e inquieto,
ma sono le mie stelle a bruciare,
i miei piccoli fari notturni, inariditi,
soffocati da un vento desertico e maligno,
dal prosciugarsi delle piogge e delle speranze,
quando il profumo dei tuoi fiori diventa
fumo acre di campi in fiamme.
Il mare vigilerà sulla tua rinascita,
ti amerà di nuovo, come ha sempre fatto.
Io verrò, anima mia, ti porterò
i semi di altre foreste ignote,
alberi lontani, dai rami ingemmati di galaverna,
illacrimati dall’acqua delle mie sorgenti.
Non più al divampare degli incendi
il vento dedicherà il suo volo, 
ma al rifiorire della nostra casa.

E’ una poesia un po’ così, forse non era nemmeno una poesia, parole scritte di getto per la mia casa d’elezione, che in questo momento combatte col fuoco, ma ha un cuore fiorito, capace di rinascere dal fuoco, dall’acqua e dalle ferite della terra.

Vie di mezzo

Ci sono momenti in cui niente mi sembra abbastanza, altri in cui tutto mi sembra troppo, momenti in cui non riuscirei a spostare uno spillo, altri in cui datemi una leva e vi solleverò il mondo. C’è stato un tempo in cui credevo di essere tra quelli che si trovano sempre a scegliere la via di mezzo, e non ne ero troppo felice. In realtà comincio a pensare che forse la mia via di mezzo è la media tra due estremi…

Incipit

Qui di notte il cielo è più grande e più scuro, non puoi chiedergli niente. La volta stellata è magnifica, ma il suo manto nero, lucido e scintillante, la luce pura degli astri, non hanno niente da spartire con le nostre vite confuse, con le nostre penombre intricate. La mappa del suo territorio è perfettamente uniforme, senza sbavature. L’ha creata il Grande Spirito all’inizio del mondo, e nessuna guida ha dovuto disegnarla con i suoi passi, volgendo il naso all’aria in cerca di odori lontani e l’orecchio a terra per incontrare il passato di tutti gli uomini e gli animali che l’hanno percorsa. Gli uomini sbagliano: per quanto abili siano le nostre guide, ogni generazione dovrà correggere qualche piccolo o grande errore di quelle che l’hanno preceduta. Il cielo non ha errori, non ha odore né tracce, da cui nascano intuizioni improvvise su ciò che è stato e ciò che potrebbe essere. Le stelle non sognano. Non hanno una lingua che un interprete possa decifrare per far da tramite tra i loro pensieri e i nostri. Mi chiamavano Donna Uccello, tuttavia, che il Grande Spirito mi perdoni, io ho sempre preferito camminare che volare, e ho scelto quello che potevo capire coi miei piedi, il mio naso, gli occhi, le orecchie, la bocca e le mani. Ho scelto l’incontro e l’esplorazione, il corpo e le parole, la terra di cui potevo imparare a leggere i segni, perché se impariamo a leggere i segni della terra possiamo forgiarla, dare senso a ogni albero, sasso o corso d’acqua, ma non potremo mai forgiare il cielo. Il cielo non ci appartiene, e noi non gli apparteniamo.

Così inizia la mia prossima storia, e questa è in un certo senso la primissima presentazione della mia protagonista, chissà se qualcuno, sulla base di queste scarne informazioni, capirà di chi si tratta (è realmente esistita, questo va detto).