Un augurio di qualche tempo fa, che va sempre bene da fare a me stessa e a chi lo sente suo. Aggiungo (sempre per me e per chiunque lo consideri importante) l’augurio di un anno pieno di parole importanti e preziose, di poesia e di scrittura, e prima di tutto di affetto e di luce e di quelle altre poche cose che ci aiutano a vivere meglio.
E adesso vado a farmi una tisana allo zenzero, che dopo l’ultima settimana di batoste, tra cui (anche se non è la peggiore) una bella influenza con febbre e tosse, la bocca dello stomaco grida vendetta e io non vedo l’ora che sia domani.

Immagine presa da qui
LASCIO CHE LE PAROLE MI SCORRANO DENTRO
Lascio che le parole mi scorrano dentro come sangue,
sa essere crudele il suono del velluto, ma le stelle
scintillano sui tasti del pianoforte, e il sassofono
insegue la traccia di una storia.
Il canto dell’ombra mi riempie la bocca di notte,
presenze immaginarie affollano le note, le scale
s’illuminano di una musica imperfetta di uccelli.
Io sono seduta e mi chiedo di quale volo dovrò vivere
e morire la prossima volta, perché il profumo non mi basta,
il mare io lo voglio dentro, il mare e la terra
e i rami di rosa canina malvoluti, i loro selvatici
ostinati fiori un po’ felini, perché la pelle, sai, si graffia
a volte anche di troppa bellezza improvvisa
che non t’appartiene e che non cogli in tempo,
anche se puoi vederla. Più di tutto mi graffia il cuore
l’ombra delle farfalle, e mi ferisce la tua terra,
per l’amore stesso che le porti. Brucia
nei miei occhi un cielo di sale, che va facendo
tremare nel mio sguardo l’indomita acqua
di una lacrima sottile tra le braci accese
annidate nel mio petto. Voltati, guardati indietro,
che il viaggio è breve, ma un augurio serve sempre
a togliersi se non altro di dosso la polvere e la sabbia.
Ti auguro una via leggera, e un’onda piccola di vento
a sostenerti per ogni sorriso che hai lasciato.
Ti accompagnino gli alberi, ti sia amica la brina,
i suoi disegni di ghiaccio effimero e fatato;
si fermino da te i passi dei viandanti, a consolarsi
delle salite e di tutta la strada sulle spalle, ci sia sole
a riscaldare le ossa dell’inverno, e rugiada
a bagnarti le labbra e pioggia per la sete dei tuoi campi,
t’addolcisca ogni confine il passo ornato delle siepi
che ogni fiume abbia un guado ed ogni muro un varco
o un punto basso per arrampicarti, e cadere
poi tra le viole, e ti sia morbido il prato,
per sdraiarti a contemplare da un unico punto
tutti gli angoli e le vite e gli anni; ti sia benigno
ogni cielo possibile e impossibile, e si fermino
le nuvole e il vento per farsi materia di teatro
e gioco. Possa tu ricordare ogni risata
ed ogni amore, passo dopo passo si ricomponga
il quadro di ciò che s’era perso. Non ti auguro
una terra lieve, o un pacifico riposo,
ma il peso delle scelte, perché non riesco
a immaginarti prigioniero di una certezza,
qualunque sia, e anche la verità, credo,
deve avere qualche contraddizione,
per piacerti, qualcosa che si possa sovvertire.
Possa tu riprendere da dove hai lasciato
e fare errori nuovi, per cercare ancora
l’oceano sotto i sassi e l’ago nel pagliaio.
L’amore, però, ti auguro d’immaginarlo
così forte, di sognarlo così nitido, così
ferocemente bello da non sbagliare niente,
costruirlo con le tue mani e tenerlo stretto
e portarlo con te, dovunque vada, e che
sia più tuo di tutto il resto.
E per ultimo
un augurio a me, che possa incontrarti
un giorno a un crocevia, uno di quei nodi
di traffico e passaggio, uno scambio di binari,
un luogo qualunque, e tra mille tu mi veda
perché sono la stessa, sai, da sempre,
intagliata dalle tue mani, scolpita
d’infinito dai tuoi occhi, viva
tra le tue dita e nel tuo cuore,
e il mio cielo è respirarti accanto.