Sto pensando che è una fatica, ma non priva di bellezza, accettare il tempo che passa, i segni che lascia. Il corpo che cambia lo vivi come un tradimento, a volte, ma c’è anche quell’altro aspetto, quello del tempo che diventa ad ogni istante più prezioso, e ogni cosa bella ha una dolcezza tutta sua. Credo di amarla forse anche più delle altre, questa età fragile e forte, più nostalgica e più rivolta al futuro di ogni altra che l’ha preceduta. Ogni passo riparte da quello che lo precede, il rimpianto fa parte del desiderio, della curiosità, di quell’aspettativa un po’ timorosa e un po’ appassionata per quello che mi aspetta, senza quell’ansia di divorare il mondo che hai sempre a vent’anni, anche quando non lo sai, senza quel terrore di “non fare in tempo”, perché ogni tempo che vivi ti appartiene di più, ogni cosa che fai o non fai è strettamente tua, ed è sempre “in tempo”.
Un momento davvero intensissimo sotto ogni punto di vista. Tippete ancora manca, specialmente in certi momenti, quando gli avrei preparato da mangiare, o quando si sentono certi rumori e ci voltiamo di scatto, quasi aspettandoci davvero di vederlo saltar giù da una sedia, o saltarci sopra, muovendo nel processo tutto quello che può esserci intorno.
I premi letterari sono soddisfazioni enormi, viaggi bellissimi e sfiancanti, desideri che si realizzano e desideri nuovi.
Col figlio “piccolo” si parla, lo si tiene tra le braccia, si sta a distanza quando è il caso, si protegge e si lascia andare, si culla quando sembra davvero più “bambino” e si accompagnano i momenti in cui la crescita diventa evidente tutt’a un tratto e intravedi l’uomo che speri diventerà, difficile, inquieto e splendido.
Col figlio grande si parla, si ascoltano soprattutto i suoi silenzi, il non detto, si guardano i gesti, le cose pratiche che per lui sostituiscono quasi sempre le parole, si cerca un raro sorriso, la traccia di un dolore che forse non c’è, o forse tiene dentro.
Negli ultimi dieci giorni ho stralavorato, a compensare il lavoro che era mancato per quasi un mese, tra ricoveri e altro. Aspetto quella piccola operazione, e l’attesa, si sa, è snervante. Mi sento spesso più debole, come se l’età che prima non contava, se non molto poco, adesso si prendesse il suo spazio, ho meno energia, giornate meno lunghe.
Però scrivo, in questi due ultimi giorni, perché per una settimana è stato impossibile, non riuscivo neanche a vedere dieci minuti di film, niente. Ma adesso scrivo, tanto, e in questi momenti c’è una magnifica sensazione di fluidità, come se tutto andasse come deve andare, tutto si trovasse nel posto dove deve essere, almeno interiormente, che poi il mondo è un casino ma questo lo sappiamo.
E poi ci sei tu, che racchiudi ogni assenza e ogni presenza, ogni poesia e ogni piccolo passo, ogni stanchezza e ogni parola, ogni paura e ogni momento felice, la felicità dell’inizio e l’addio di un amico e di tutto quello che si lascia indietro, tutto in un unico sguardo, e in quel brivido che era quasi scomparso dalle mie labbra, e che ho ritrovato stasera. Un tuo sguardo, e io mi sento come se mi fossi persa e ritrovata nello stesso momento. Com’è bello guardarti. Perché a volte vorrei avere il coraggio di non farlo? Lo so, a volte costa fatica, ma il mio piccolo universo è tutto nel tuo sguardo.
Posto di nuovo questa poesia di un po’ di tempo fa, perché ha ricevuto una menzione speciale al Premio Teatro Aurelio di Roma, con una motivazione che ho trovato particolarmente bella:
Appassionante, struggente poesia di un amore totale, tenero e violento, denso di passione e sentimento che sembra esplodere da ogni verso “lacerando la fragile stoffa usata per nascondere l’osceno” facendo partecipe il lettore di emozioni sublimi e carnali. Il linguaggio elegante accompagna questa autentica esplosione di meravigliose sensazioni veramente fino al “risveglio, poco prima del caffè”
Ascolta la mia pelle, amore, il petalo leggero
che si posa sulle mie labbra, qualche volta,
il cristallo di neve a cui rabbrividisco appena.
Il mio corpo ti respira, nell’onda calda
che con spietata, struggente lentezza
dà forma al mio desiderio, e tremo
al pensiero dei solchi brucianti che sfiorandomi
lascerai con le tue dita e gli occhi
che entrano dentro i miei segreti
offerti e nudi, caduta ogni mia difesa
sì che canta di te ogni goccia del mio sangue
e mormora un suono di ventre, cuore e labbra
che si raccoglie in sé prima di schiudersi
all’universo in quella felicità dolente
che per un attimo conosci, e subito scompare.
Suona per me, graffiami il silenzio addosso, regalami
una delle tue improvvisazioni, un assolo
di fiati, ch’io sia l’unico spartito alle tue note,
cantami di ciò che è quiete e di quello
che è uragano e lacera la fragile
stoffa usata per nascondere l’osceno.
Niente più vestiti, maschere o vergogne.
Dipingimi con colori d’acquerello
un cielo intenso e quella terra
che si lascia esplorare alla tua musica
e che ti viene incontro, riboccante
di ogni seme, fiore e frutto e di sottili
trame di brividi e voglie e sogni d’infinito.
Ti darò il sapore sfacciato e pieno
delle arance nascoste nel cioccolato amaro;
sarò come l’impasto soffice del pane sotto le tue mani;
scorrerò come metallo fuso, docile fiamma nelle vene:
temprami con ghiaccio e fuoco
forgiami con la tenerezza attenta dell’artista,
fammi conca, vaso, calice a contenerti tutto.
Non senti il mio respiro farsi più veloce
e il tuo canto sciogliermisi in gola?
Sarò per te l’istante prima del risveglio,
l’insenatura in cui riparare dal naufragio
lo sconosciuto rifugio che esplori
prima che l’illumini appieno il nuovo giorno
il segreto che si svela alla tua sapienza antica,
le tue colonne d’ercole, l’ignoto passaggio
che s’apre a te come a nessun altro prima
l’invisibile filo che ti lega alla terra,
la cattiveria feroce con cui t’amo, e passo
senza guardare altri fiori e stelle, altri ricordi.
Sarò un cielo multiforme, nuvole aggrovigliate
Intente a cogliere il passo del vento,
un cielo di ardesia e lapislazzuli,
sarò l’inchiostro per scrivere l’incontro
e saprò raccontare la tua poesia e l’incanto:
mi basterà perdermi tra i tuoi fiumi di parole
e gli intervalli di silenzio luminoso e assorto
ritrovarmi in quel sorriso incerto e denso
che sembra ritrarsi ma gioca coi tuoi occhi,
così triste e allegro che l’anima si spezza,
per ricomporsi in quella malinconia
ch’è pure gusto della vita e che conosco bene.
E vorrei riaprendo gli occhi trovare
che sei dentro me, o accanto, o là nei pressi.
Mai più così lontano, che non mi basta il cuore
e vorrei che tu mi sorseggiassi piano,
soffermandoti un poco a guardarmi mentre dormo
e al risveglio, poco prima del caffè, dirti soltanto
“eccomi”
lasciando al mare tutto il resto.
Il nostro meraviglioso Tippete, che amava rintanarsi nelle scatole (e più ci stava stretto, meglio era) e “arrotolarsi in improbabili pose nella cesta”, ho scritto di lui più di una volta, ha fatto parte della nostra vita per diciassette anni, resterà parte del nostro cuore per sempre. Da tre giorni ci ha lasciati e la casa al mattino sembra troppo silenziosa, e le nostre ginocchia sono troppo vuote, senza di lui che ci si accoccolava nei momenti più inopportuni, o chiedeva a gran voce che lo prendessimo in braccio, e non accettava un no come risposta. Ci manchi immensamente, piccolo.