Libertà, solitudine e lati segreti

Il buffo è che a vent’anni quasi sicuramente non ti avrei potuto sopportare, se avessi avuto il privilegio di conoscerti personalmente. Parlo dei tuoi vent’anni di casanova sboccato ed esibizionista, alla costante ricerca di attenzione, sia pure “in a very endearing way“; e più ancora dei miei vent’anni, di ragazzina alla disperata ricerca di libertà, ma senza la capacità non dico di conquistarsela, ma neanche di riconoscerla.

Eppure, chissà. Nel gioco che ho fatto recentemente, dei dieci libri della vita, mi sono resa conto che un filo conduttore comune c’è, anche se non ne ero consapevole, ed è proprio questo: voler imparare la libertà. Da Mark Twain a Salgari, da Larsson (Björn) a Calvino, dalla Yourcenar a Fosco Maraini, a Giordano Bruno, a Pippi Calzelunghe, per dire. E fino a concludere, inevitabilmente, con un libro in cui si parli di te. Realizzando che ci sono privilegi che rischiano di costare davvero moltissimo, ma per i quali vale la pena di pagare qualunque prezzo. Qualunque.

Sono stata insofferente, in questi giorni, irrequieta, spesso silenziosa, travolta da parole caotiche che non volevano saperne di riordinarsi in qualsiasi modo. Tanto che mi pareva di avere la mente vuota, e in realtà era colma fino all’orlo. Così ho capito meglio alcune cose che già sapevo, ma non si finisce mai di conoscere qualcuno, anche se quel qualcuno siamo noi stessi. Ho capito, tra l’altro, che più invecchio, meno riesco ad adattarmi; che, ad esempio, non sopporto i villaggi vacanze (anche se per i figli faccio un sacrificio), e avrei voluto, sai, partecipare di più, sapendo che se avessi dimenticato per un momento l’antipatia per le attività organizzate e tutte quelle che richiedono di compiere gli stessi movimenti nello stesso tempo, probabilmente mi sarei anche divertita. Ma non ce l’ho fatta proprio, e questa difficoltà a lasciarmi andare mi pesa ancora, benché abbia imparato a perdonarmela e, grazie a te, a comprenderla meglio.

Soprattutto, ho capito di avere un bisogno assoluto di solitudine, non dico per la mia sopravvivenza, ma quanto meno per essere poi in grado di stare con gli altri. Perché non è che non mi piaccia stare con gli altri, tu capisci. Tutt’altro. È che ci sono parti di noi che neppure con chi ci conosce più da vicino possiamo condividere.

Sono riuscita a leggere un po’, non tanto quanto avrei voluto, ma ho ripreso in mano Huckleberry Finn, perché cercavo una voce, potrei dire così; e il giorno del tuo compleanno l’ho trascorso leggendo la tua biografia, scritta da Dave Itzkoff, a ripassare  le tue meravigliose contraddizioni, quella qualità che ti rendeva, nell’attraversare esperienze tutto sommato ordinarie, così fuori dall’ordinario.

Allora ho capito meglio anche altre cose. Quell’essere uno “sportivo atipico”, un “ribelle atipico”, un “lettore atipico”, insieme agli altri spesso, individualista sempre. Narcisismo e riservatezza, cuore in mano e quel lato segreto, che poi è quello che ti permette di dire “sono forse così, solo perché è così che tu mi definisci”?

Mascherarsi e disvelarsi in un continuo gioco che, come il teatro, del resto, ti consente di andare “oltre” ben più di quanto lo potrebbe una pretesa totale sincerità; presentandoti, poniamo, come uno straniero, parlando una lingua non tua, che, si sa, è uno dei modi migliori per abbattere le barriere della timidezza e dell’abitudine, di mettere a nudo ogni aspetto anche solitamente nascosto della propria personalità, lasciandosi al tempo stesso una via di fuga, perché non si sa mai.

Il desiderio – e la capacità – di esserci sempre, di esserci per tutti, di immedesimarsi profondamente, eppure mantenendo quella distanza che a volte è salvezza, e in altri casi ti soffoca, ti annega in quella strana tentazione di allontanare le persone che ami, di creare il deserto intorno a te, che poi, se approfondisci, non è altro che l’umana e comprensibilissima esigenza di starsene un po’ per conto nostro ad assimilare pensieri ed emozioni di particolare intensità.

La solitudine come rifugio, paura e desiderio, la solitudine sfuggita e cercata, da cui nascono le tue risate e le mie parole. La solitudine, culla della meraviglia, del capovolgimento, del caos primordiale senza il quale nulla di vitale può nascere. La solitudine che ti scava dentro, per arrivare sempre più vicino al nucleo centrale, in una ricerca dolorosa e preziosissima.

E adesso (non intendendo rigorosamente adesso, ma anche, eventualmente, da domani) dovrò tornare a prendermi cura del mio libro su di te, e rimaneggiarlo un bel po’. Non snaturarlo, certo che no. Ma provare comunque a cambiare punto di vista, perché del resto tu continui a farmi ridere, ed è il modo più bello, per me, di cercare la verità, quella più profonda, quella a cui ci si può avvicinare, che si può amare profondamente, ma senza conoscerla mai del tutto. Visto che di biografie ce ne sono già, e anche molto belle, vale forse più la pena di provare a raccontare me, e arrivare alla ragione per cui possa succedere a persona normale (sia pure tra virgolette) di sceglierti come punto di riferimento in modo quasi casuale, e come da qui possa nascere uno degli incontri più magici e meravigliosi che possa capitare di fare nella vita: quello con un’anima che ti mette di fronte alla tua, e te la fa amare.

 

 

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