Una meraviglia appena scoperta
Mese: Maggio 2019
Sto leggendo…
Libro amaro, rabbioso, ribelle, commovente, umano, sarcastico. Dalle radici ebreo-ortodosse a una vera e propria battaglia con Dio, conflitto-riavvicinamento-messa in discussione costante che ha molti elementi in comune con il rapporto padre-figlio, o forse più ancora il rapporto di un uomo adulto con il sé stesso padre e il sé stesso bambino represso e oppresso. Dietro ogni ironia, ogni battuta c’è un senso di profonda ingiustizia che colpisce allo stomaco, la consapevolezza del rischio di perdersi, ma anche la consapevolezza della possibilità di trovarsi, anche usando la stessa rabbia in modo diverso, in mezzo a un labirinto di esperienze, immaginarie e reali, di letture e scritture, di incontri e di scontri che conducono a superare in qualche modo quel senso di ingiustizia, sapendo che ha lasciato segni ma anche che si può sempre andare oltre.
Cominciavo a sentirmi anch’io un po’ come un prepuzio. […] Reciso dal mio passato, incerto sul mio futuro, insanguinato, pestato, buttato via. Mi chiesi se esistesse un posto dove i prepuzi possono andare, un posto in cui possono vivere insieme in pace, amati, voluti, una nazione di prepuzi, fatta dai prepuzi, per i prepuzi. (Shalom Auslander, il lamento del prepuzio, Guanda).
Fiamma e metamorfosi
“Se vediamo da vicino questo pezzo di legno, come ci appare in queste pagine, poche righe, scopriamo subito che è titolare di un destino misto e drammatico. Viene definito legno da mettere nelle stufe e nei caminetti; più avanti, maestro Ciliegia lo dirà legno «da buttar sul fuoco», per «far bollire una pentola di fagioli». Dunque, legno da ardere, da consumare in fiamma, per sopravvivere agli inclementi inverni e per nutrirsi. Ma insieme un altro destino lo insegue: quello di essere lavorato: maestro Ciliegia vuol farne «una gamba di tavolino». E di altre metamorfosi presto sapremo. Ma quel che costantemente noteremo è che i due destini sono paralleli: quel legno è materia che chiama la distruzione e la cenere, e insieme vuole diventare e trasformarsi.
Se scrutiamo poi tra parola e parola vedremo dell’altro: che mai significa quel «capitò»? L’impressione è che il pezzo di legno abbia scelto di recarsi in quella bottega; e che un legno vada da un falegname ha certamente il suo significato. Possiamo suggerire che codesto legno si propone ad una trasformazione, una nascita? E donde viene? Non è verosimile che, a sbalzi e strattoni, bambinesco e cocciuto,ma fatalmente mosso, sia giunto fin qui per prati e sentieri, dopo essersi staccato dalla materia iniziale di una foresta materna? Presto lo sapremo capace di sgarbati strattoni, ed a quel modo si sarà staccato da una qualche madrepianta, e si sarà mosso in cerca di una bottega pervasa dall’odore fraterno di tutte le forme e i modi del legno.“
(Giorgio Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Adelphi)
Sto leggendo…
Libro preso un po’ per caso, vagando con lo sguardo e poi con la scala in recessi sempre meno a portata di mano, non so se vi succede, ne afferrate diversi, uno dopo l’altro, e vi sembra di non essere nel giusto mood per nessuno, finché alla fine ne scegliete uno, non convinti fino in fondo, ma perché ricordate che c’era stato un momento in cui averlo era sembrato imprescindibile e una ragione doveva pur esserci.
Una ragione c’era, infatti, e leggendo la sto riscoprendo. È un libro bellissimo, inquietante, dalla scrittura magnifica, severa, sicura e insieme aperta a mille altri dubbi, domande, possibilità, nuove interpretazioni, pensieri anche recalcitranti e ribelli, in disaccordo. Un libro fertile, ecco.
Volevo qualcosa che mi coinvolgesse profondamente, che anche senza rispecchiarmi del tutto, mi appartenesse al punto da rendere difficile staccarmi dalle sue pagine. L’ho trovato.
Il senso di scrivere
La scrittura è una fuga, un’ostinazione, un senso vietato, un frullar d’ali, un vuoto a perdere, un rifugio, un guscio, una ferita.
È stare in prima linea, è evitare la battaglia, è un modo indecente di esporsi, nudi e senza cornice, è un quadro, un nascondiglio, la ricerca di una platea, una smania incompiuta di silenzio.
Inizia dal basso, come una piccola scossa che sale su dai piedi, viene dal tuo corpo e lo ricostruisce ogni volta.
È una soluzione di ripiego, una ribellione meno scomoda, un cambiamento minuscolo e testardo. È un’utopia, un miraggio, la forza della realtà, prendersi la responsabilità con incoscienza, è spingersi al limite, è cancellare il limite per distrazione e leggerezza, è immaginarsi un criterio diverso, un’irriverenza rispettosa, senza senso come portar l’acqua con le orecchie, perché l’amore implica sempre una contraddizione.
O Captain, My Captain
Che in italiano non si potrebbe più dire, a poco a poco mi ruberebbero tutte le parole più amate, ma no, io non me le lascio rubare, e per me il Capitano – la voce interiore, il modello di riferimento, il daimon – è e sarà sempre solo uno, e non parlo tanto di John Keating, incantevole personaggio sia pure, ma dell’amato Robin. Uno che di muri ne parlava quindici anni fa, e non per dirne bene. Uno che di ambiente ne parlava oltre quarant’anni fa, e non aveva sedici anni, ma neanche poi tanti di più, e diceva attenzione, che la prossima guerra nel nostro pianeta rischia di non essere per il petrolio, ma per l’acqua (e no, nonostante tutto era un Genio sì, ma non un veggente. Solo uno che guardava e cercava di capire). Uno che odiava talmente tanto la guerra, da andare in Iraq e in Afghanistan, con una paura dell’inferno, ma bisognava farlo, fare spettacoli comici per i soldati “per ricordare che sono ancora lì e che stanno ancora morendo lì”. Uno, insomma, che non avrebbe mai cercato capri espiatori, che le sue responsabilità se le prendeva tutte e se ne assumeva anche qualcuna che non era nemmeno sua. Non esiste, per me, nessun altro modo di essere Capitani (nel senso di uomini. E aggiungerei: veri).
Merlin
Stasera una bella puntata di Merlin non me la toglie nessuno. Ho iniziato per fare qualcosa insieme ai figli (soprattutto uno) ed è diventato una droga, non riesco più a staccarmene, proprio io che di solito disapprovo film e fiction che si discostano dai miti e dalle storie originali – o almeno, dai miti e dalle storie come me li ricordavo io dai miei anni verdi… ma qui tutto è concesso perché mi piace davvero molto. E tenete d’occhio Colin Morgan, ha già avuto considerevoli riconoscimenti fin da giovanissimo, e secondo me è una spanna sopra anche rispetto ad attori affermati.
Prima classificata al Premio “Artisti” per Peppino Impastato con la poesia “Non taccio”
Un premio, quello intitolato a Peppino Impastato, di cui sono orgogliosissima e che come scrivevo stamattina, in qualche modo mi riconcilia con l’idea dell’utilità delle parole, di cui qualche volta dubito.
NON TACCIO
Le mie parole sono rosse,
urlo di fuoco e sangue,
d’albero tagliato, di dolore incolto
nella gola stretta da una voglia di morte
vissuta ogni giorno, da una pretesa
immorale di vita data o tolta
per capriccio, da chi decide
se merito il mio tempo, le cure
o le ferite ricevute, le tacche sui muri
affamati di ragnatele, o i cerchi
sui tronchi nudi del frassino abbattuto
perché fa paura la fecondità del mondo.
Ho l’anima schiacciata sotto il corpo altrui,
ma non taccio. Parlerò dai rami
protesi verso il cielo, dalle radici
scavate fino agli inferi; avrò voce
d’uccello implacato, il nitrito
di un’interferenza nel segnale radio
che attraverserà le pareti
e vi verrà a cercare. Non avrete
il mio silenzio, la sopportazione
della ferocia, l’angolo chiuso
di una paura sottomessa e schiva:
parlerò da viva e da morta, dalla terra
e dal mare, non ci sarà luce né ombra
dove non voli il bianco uccello
della mia voce di tempesta.
Le mie braccia di luna solleveranno
il mare, la mia bocca si farà vulcano;
sono marea, grazia indomabile,
la forza dell’oceano che si fa seme.
Sono arma e musica, violino
e arco teso e freccia tra le stelle.
La mia voce la porterò in volo
viva, infinita presenza
rifranta sugli ormeggi tra le navi
moltiplicata in milioni di gocce,
piccoli corpi d’acqua che spezzeranno
le corde alla mia gola
e il vostro silenzio, rotto
dallo scroscio assordante
di un giardino che nasce.
Prima classificata e Premio della Giuria Popolare al Giotto di Vespignano
Una giornata fuori dall’ordinario, davvero. Nel Mugello mi trovo sempre molto bene, e un weekend in luoghi che amo varrebbe comunque la pena, ma certo non mi aspettavo di vincere non solo il primo premio, ma anche il premio della giuria popolare.
Un viaggio bellissimo, in cui persino la pioggia è stata dalla nostra parte!
L’ULTIMA COSA NON DETTA
Le prime a invecchiare, dicono, sono le mani,
le prime a mostrare i segni del tempo,
a confondere le carezze con l’amore
e il sale con il mare, a scrivere di cielo e stelle
quando dire d’altro non si è più capaci,
a usare gli utensili sbagliati, come i coltelli sacri
per il sacrificio della tenerezza.
Dopo tocca alle gambe
tradire il senso del cammino
quando ti tremano le stelle ad una ad una, e le ginocchia,
sotto il peso del tempo e dello spazio,
dei piccoli odi quotidiani e degli amori eterni,
e s’apre una piccola stonatura nel passaggio
da una strada aperta ad una chiusa.
Quanto agli occhi, i miei brucerebbero
per sedere sui docks a guardare le navi passare
prendere il mare su una chiatta, un postale
con l’odore di merluzzo e aringhe e d’avventura;
vedere la bellezza nascosta tra le nebbie del nord;
abbassare lo sguardo, velato dagli incerti pomeriggi
che sfilano come passeri sopra i tetti di Parigi.
Infine, ti chiude la gola una lisca di parole.
Ah, non esserti voce in questo silenzio di granito,
non esserti presenza quando a tua assenza si fa scura;
ancora qualche giorno e sarà inverno,
svanirà anche quest’ultima luce
dietro i tetti delle ultime case in fondo al viale,
e ci resterà sulla lingua l’ultima cosa non detta.
Tre dei premi che ho vinto
E la motivazione della Giuria.
Motivazione Di Liegro
La motivazione della medaglia d’onore assegnata dal Premio Internazionale Di Liegro alla mia poesia “Lo stupore dei corpi”.
Anche questa fa parte del libro “Il canto del Pettirosso” (ed. Helicon).