Effimero

Sto pensando al mio amato Oscar Wilde, all’apparente superficialità che nasconde una visione profonda, al senso morale contrapposto al moralismo, all’eccesso e all’eccentrico che diventano chiave di lettura di una realtà sfuggente, mostrando l’ovvio che altrimenti rischiamo di non vedere più.

In questo momento sento di nuovo fortemente, dopo momenti di sconforto, la pienezza della vita, che si colma di amore per la conoscenza, per l’arte (in senso lato), per la bellezza, e da qui trae linfa per amare gli abitanti del mio piccolo mondo e nei limiti di quanto ci è concesso, quelli del mondo più grande. So che in questi giorni tutti dispensano consigli “sentendosi come Gesù nel tempio”, con quel che segue. Io vorrei solo dire, e temo che anche questo sia banale, ma per me è importante: non lasciamoci spegnere; perché è quando siamo spenti che sentiamo più forte il bisogno di colpevolizzare qualcuno o di lasciarci colpevolizzare. Che è molto diverso dal prenderci le nostre responsabilità – e costringere gli altri a prendersi le proprie. Non lasciamoci fuorviare dai capri espiatori, non lasciamo spegnere il nostro cuore, il nostro pensiero, la nostra capacità di capire, di metterci nei panni, di continuare ininterrottamente a farci domande, di non prendere niente per scontato.

L’emergenza finirà, e sarà per il dopo che ci servirà unirci, resistere, ricostruire insieme. Insieme non perché siamo tutti uguali, ma perché siamo tutti diversi, e ognuno ha le sue fragilità e debolezze e i suoi punti di forza, il suo pezzettino di talento, di ragione, di oscurità e di luce, di paura e di coraggio, la sua storia e la sua strada. Da soli siamo troppo poco; insieme siamo moltissimo. Non tutto, mai tutto, ma moltissimo.

GEOGRAFIA DOMESTICA

La coltre tiepida nasconde la ferita,
cicatrizza lo sguardo ammutolito,
vagante da una parete all’altra.
Io ci parlo, vedi, con i muri,
i quadri appesi, lo specchio che riflette
sulla forma e sul senso delle cose,
sulla loro posizione nella stanza.
Parlo con le finestre, con la loro visione
del cielo e delle finestre di fronte;
col loro angolo di ringhiera, il vaso
che guardano di sbieco, da quella
inquadratura in soggettiva che mostra
al mondo il campo visivo di una finestra.
Parlo con la lampada, dopotutto
mi somiglia, dà il suo meglio quando
fuori è buio, come i rapaci notturni,
come gli occhi dei gatti o le increspature
dei fiumi alla luce della luna.
Parlo con i libri, quello, sai, l’ho
sempre fatto, prima che tu m’insegnassi
che i libri risplendono
e rispondono, con
una voce che somiglia, sì, a quella
di chi legge, ma non è la stessa, e va
ascoltata attentamente, più volte e
in solitudine, fino a rinascere daccapo.
Parlo con il letto, e mi sorride, con
le giunchiglie sul lenzuolo, in
questa primavera prigioniera; parlo
con l’armadio semiaperto, bocca socchiusa,
uno sguardo indulgente sulla penombra dei vestiti.
Parlo con me stessa, più di tutto:
col rincorrersi di pensieri amari e altri
più dolci, con le parole dei fogli
che s’accatastano in un disordine testardo;
con la penna, ch’è una spada, e con te,
la mia lingua ribelle:
perché
se non la vita,
l’anima, almeno,
bisogna pur salvarsela,
in qualche modo.

Siamo così piccoli, così piccoli… e così grandi, quando la consapevolezza del limite si accompagna al senso di infinito. Così grandi, quando accogliamo e condividiamo il dolore della finitezza, e lo facciamo diventare pensiero e domanda, musica e poesia, parola e scoperta, fratellanza e tenerezza. Così grandi, quando smettiamo di voler essere tutto.

Pensieri in ordine sparso e una poesia

Torna a scorrermi dentro il sangue della scrittura. Mi sanguina la voce, il cuore, mi sanguinano i pensieri, le parole. Mi sanguina la parte di anima in cui ti tengo, e finché sanguina quella, all is well, thank you, vuol dire che sono viva, accoccolata sulla tua stella. Le stelle sono fiocchi di cristalli fragili e preziosi e quando si sfiorano forse è pericoloso, ma fanno un suono incredibilmente bello.

La casa è un pezzo di me e io forse sono un pezzo di casa per qualcuno. La casa resta punto di partenza e, volendo, di ritorno, non altro. Non sono mai stata patriottica, di certo non lo diventerò adesso. Siamo i fragili, imperfetti, incazzosi, spaventati, precari abitanti di una minuscola pallina che sta da qualche parte nell’universo o negli universi esistenti (su o giù, è difficile a dirsi, nell’iperspazio… [cit.]), e il nostro viaggio è come l’itinerario segreto delle farfalle, ma anche come le impronte pazienti e grevi di un elefante su una stella di cristallo leggero.

Alla mia gatta sono rimaste solo le scatolette di cibo che odia e dovrà adattarsi, come tutti noi, per qualche giorno. Senza la mia gatta, comunque, le cose andrebbero peggio. I miei figli – il piccolo in particolare – hanno saputo inventarsi un loro equilibrio e reggono e quasi sostengono noi; ma se tutto questo fosse successo due o tre anni fa, quando potevamo uscire di casa per non uscire di testa…. no, meglio non pensarci.

Non dovrebbero esserci eroi, ma persone messe in condizione di fare il loro lavoro in sicurezza e con le risorse necessarie e forse se questo non succede è, sì, in parte responsabilità nostra, e dovremo ricordarcelo anche dopo, quando il tempo degli eroismi passerà. Penso che vorrei scrivere d’altro e non ci riesco.

Vorrei leggere e trovo libri bellissimi, ma ogni volta li inizio, li metto via, ne prendo altri senza finire quelli che avevo cominciato prima, e via così. Il nostro giardino è senza cure, In questo momento nessuno di noi ci si può neanche avvicinare. Dovrei fare un mucchio di cose, ma il tempo comunque continua a scorrere troppo in fretta e alcune, poi, mi sembrano avere così poco senso, in questo momento, anche se so che poi, una volta che la situazione sarà tornata alla normalità, rimpiangerò di non averle fatte, ma del resto al cervello non si comanda più di quanto si comandi al cuore. Pitturo pareti, faccio il pane, ma in fondo sono cose che avevo cominciato a fare anche prima, e meno male. Così non le identificherò con un tempo malinconico, ma resterà un pensiero (e un fare) felice.

Del resto io sono sempre in viaggio, anche ora. Credo che staserà andro su Ork. O in un qualche teatro di San Francisco (Ahi! la California! Ma a quello che vedo, Newsom è all’altezza del compito. Lo spero tanto, perché della California avrò, avremo, ancora bisogno) ad assistere a uno spettacolo del Genio del mio cuore, anche se li ho già visti tutti, ma repetita iuvant (e iuvant un sacco, in questo caso).

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Immagine dal web, presa da qui

Ho in mente il vetro e il cristallo, immagino siano simboli di fragilità, e ho scritto questo:

RESPIRO

I respiri prendono forma,
accadono
passano
come le nuvole sui campi
come l’incrocio dei venti che traccia
l’itinerario segreto delle farfalle.
Io sono di vetro:
quando il mio respiro si offusca
ci scrivo sopra qualche suono,
qualche nome.
Quando il mio respiro tornerà limpido
resterà il tuo nome inciso
sul vetro della finestra,
la tua voce sul davanzale,
come minuscole zampette d’uccello
impresse per sempre nel cemento fresco
di una casa in costruzione.