Ieri ero in questo delizioso castello in stile “eclettico”, che pochi fuori da Genova conoscono. Museo delle Culture del Mondo, nello spirito del Capitano D’Albertis, viaggiatore, anche un po’ avventuriero, ma uomo di pace, curioso, ovviamente convinto della superiorità degli Europei (era uomo dell’Ottocento), ma non per questo meno sicuro che valesse la pena di conoscere le altre culture. Innamorato dell’arte araba e di quella medioevale europea, fece impazzire gli architetti, incluso il grande D’Andrade che ogni tanto lo consigliava, perché in ogni viaggio trovava qualcosa che gli piaceva e modificava il progetto di conseguenza. Nel costruire il castello aveva anche in mente di celebrare Cristoforo Colombo e l’epoca d’oro di Genova, in un periodo invece non felicissimo per la sua amata città, che aveva appena perso la propria secolare indipendenza. Decisionista, solitario, estremamente riservato nella propria vita privata quanto desideroso di far conoscere il suo modo di vedere il mondo, sicuro di sé e del proprio valore… un personaggio sfaccettato e affascinante che è stata una gioia conoscere grazie alla visita guidata. Al castello sono state poi aggiunte nuove ricche forme artistiche specie da culture minoritarie come gli Indiani Hopi. Se capitate da queste parti, cercate di non perdervi questo luogo ricco di storia e di bellezza!
Arte
Babele
… But the minds that had conceived the Tower of Babel could not build it. The task was too great. So they hired hands for wages.
But the hands that built the Tower of Babel knew nothing of the dream of the brain that had conceived it.
… Le menti che avevano concepito la Torre di Babele, tuttavia, non erano in grado di costruirla. Il compito era troppo gravoso, così si servirono delle mani di operai salariati.
Ma le mani che costruivano la Torre di Babele non sapevano nulla del sogno del cervello che l’aveva concepita.
(da “Metropolis” di Fritz Lang, 1927)
A proposito di mitezza
Orson: So, Mork, did you finally get that job you’ve been talking about?
Mork: Oh, not exactly, your bloatness. It seems here that on Earth, everyone finds a need to compete with each other. They compete in sports, in work, in everything.
Orson: What do they get if they win?
Mork: Something called an ulcer, sir. I don’t know what it is, but it must be wonderful because everyone who’s successful gets one.
Orson: I guess it’ll be a while before you put an ulcer on your mantelpiece.
Mork: Oh, noshu, chiefsmoke*. Although Mindy and I did have a competition.
Orson: Oh? Who won?
Mork: We both did, sir. We decided to stick together.
Orson: That’s very good, Mork. You’re learning about cooperation and maturity.
Mork: Oh, yes, your preachiness. I’ve learned that even though you win that ulcer, it’s no fun if you’ve lost the one that you wanted to share it with.
Orson: Allora, Mork, l’hai avuto alla fine quel lavoro di cui parlavi?
Mork: Non esattamente, vostra grassezza. Pare che qui sulla Terra tutti sentano il bisogno di competere gli uni con gli altri. Competono negli sport, nel lavoro, in tutto.
Orson: E cosa si vince?
Mork: Una cosa chiamata ulcera, signore. Non so bene cosa sia, ma dev’essere fantastica perché tutte le persone di successo ne hanno una.
Orson: Credo che ci vorrà un bel pezzo prima che tu riesca a mettere un’ulcera sulla mensola del tuo caminetto…
Mork: Sì, capo. Però anche Mindy e io siamo stati in competizione.
Orson: Ah sì? E chi ha vinto?
Mork: Tutti e due, signore. Abbiamo deciso di restare uniti.
Orson: Questa è un’ottima cosa, Mork. Stai imparando cosa significa cooperazione e maturità.
Mork: Sì, vostra predicozzitudine. Ho imparato che anche se vinci un’ulcera, non c’è divertimento se perdi la persona con cui avresti voluto condividerla.
(Mork & Mindy, Season 2 ep. 6, Mork vs. Mindy)
* Nota: Chief Smoke era un capo Sioux: non mi stupirebbe se combinando la sua inesauribile inventiva nel creare parole con l’amore viscerale (e decisamente ricambiato) per le lingue, di cui assimilava suoni e parole con estrema facilità, Robin si fosse ispirato alla lingua Sioux (Lakota) per inventare un termine che potesse essere inteso come un “probabile/sicuramente”, ma in maniera scherzosa. (Ogu in quella lingua significa forse, Oh hu significa sì). In quella sua meravigliosa testa bizzarra mondi alieni e sonorità russe, francesi, giapponesi, italiane e forse anche Nativo-Americane si mescolavano in qualcosa di unicamente suo, come suo era quell’impasto di tenerezza, spirito di osservazione, sentimento, ironia e comicità e voglia di una visione diversa del mondo.
* Nota 2: è ormai noto che moltissime delle battute di “Mork” del telefilm (forse quasi tutte, almeno in parte) erano frutto del talento di improvvisatore di Robin, che ne creava a getto continuo.
Ancora sulla mostra di Genova – Dagli Impressionisti a Picasso
Dagli impressionisti a Picasso
Ieri ho visto questa mostra, ne parlerò ancora con altre foto, ma per chi si trovasse a Genova, merita davvero! E finisce questa domenica!