Passioni nerd

So che sono diversi giorni che non vado avanti col romanzo sulla Spedizione di Lewis e Clark… è quasi pronta la prossima puntata, solo che nel frattempo mi sto dedicando a un mucchio di altre cose. Come molti di voi sanno, sono una nerd – ho passioni strane, tipo la letteratura, le lingue… cose da nerd, via.

Naturalmente, considerando l’enorme quantità di argomenti stupendamente nerd che esistono, c’è davvero un mucchio di cose divertenti che aspettano soltanto di essere imparate o fatte. E così, in un blog specificamente dedicato all’inglese (che è la più nerd di tutte le mie passioni nerd, e la più passione di tutte), sto cercando di soddisfare la mia parte “geek” e condividere il divertimento nello stesso tempo. Uccidere due uccelli con una pietra sola, kill two birds with one stone, dicevano gli inglesi un tempo. Oggi, come in italiano, si preferisce nutrirli. Due piccioni con uno scone!

Da tempo, raccolgo persino le frasi idiomatiche e le espressioni più curiose tratte dai film e dalle mie serie TV preferite, chissà, potreste trovarle utili se state imparando o volete / avete necessità di migliorare il vostro inglese. Ho cominciato finalmente stasera a scriverle sul mio altro blog, quello specificamente dedicato all’inglese, appunto. E ho cominciato col botto: le frasi idiomatiche (accompagnate da qualche commento personale), di Supernatural, una serie TV che mi piace davvero molto. Il primo episodio della prima stagione, in questo caso.

Quindi, più in generale: io scrivo e parlo (altre due che amo molto fare, e in inglese, per giunta) delle mie passioni: parole, libri, cinema, libri, musica, teatro, giardinaggio, cucina, e più o meno qualunque altra cosa vi venga in mente; e se, come spero, anche voi siete nerd tipi tosti, temerari avventurieri della mente, e condividete qualcuna di queste passioni, potremo scambiarci opinioni e idee.

Vi aspetto!

My friends know I’m a nerd – A lit-nerd, movie-nerd, language-nerd, a full-on nerd-nerd, in a nutshell. Of course, if you consider the huge quantity of amazingly nerdy topics, I think there’s tons of fun stuff just waiting to be learnt and done. So, I’ve been thinking I can satisfy my geeky side and share the fun at the same time (“feed two birds with one scone”, as the new version of an old saying goes).

I’ve even been collecting idioms and curious expressions from my favorite films and TV series and who knows, you might find them useful if you are learning /wish/need to speak English more fluently. From tonight, we are on the road at last, I’ve started writing them on my other blog, the one specially devoted to English. And I’ve started off with a bang: idioms (accompanied by a few very personal comments) taken from Supernatural, a TV series I’m very much into. First episode of the first season, for now.

More generally, I’ll write and talk (again, something I really love to do) about my passions for words, books, cinema, music, theater, gardening, cooking, you name it; and if, as I hope, you are nerds intellectual badasses too, and share all or some of these passions, we can exchange views and ideas.

Can’t wait!

Sepùlveda

No, non c’è un senso, è inutile cercarlo. Se c’è, sta semplicemente nel fatto che ci sia data, forse per caso, forse no, una possibilità su un fantastiliardo di avere una coscienza e farne qualcosa. Ecco, Sepùlveda di questa coscienza ne ha fatto più di qualcosa. L’ha usata a fondo, l’ha spremuta, tenuta costantemente sotto pressione, interrogata, amata, se ne è preso cura, l’ha ascoltata e usata fino all’ultima briciola. Questo, almeno, è quello che a me a sempre fatto pensare. Uno che vedeva chiaramente il valore della bontà e dell’allegria, perché la crudeltà e il dolore li aveva vissuti senza risparmiarsi mai. Uno che poteva permettersi di parlare di sogni, perché della realtà conosceva ogni aspetto, e che non ha mai parlato di coraggio perché non ne aveva bisogno, il coraggio gli respirava dentro. Ecco, Sepùlveda è un altro per cui, che ci sia o meno un significato più profondo, di questa possibilità su un fantastiliardo che è stata data anche a me e che mi permette di leggere, ascoltare musica e venire a contatto con certe persone, sono profondamente grata.

DECIMA TESTIMONIANZA
《Quando riposa il lungo treno si riuniscono gli amici…》 Questo treno, don Pablo, si è fermato già da troppo tempo, eppure il presagio della poesia si è compiuto ugualmente. Eccoci qua, noi amici, i Dodici della Fama, i dodici apostoli che tentano la resurrezione di un arrugginito drago britannico. Come tutti gli uomini, vogliamo realizzare un piccolo, minuscolo ma evidente miracolo, e lassù, sopra la macchina, c’è Juan Riquelme, il fuligginoso, uno di quei tanti modesti Juan, illustri sconosciuti, ma sicuri di riuscire a pulirsi le mani sporche di grasso in un pezzo di stoffa o di storia, di accendersi una sigaretta e, senza dare troppa importanza a quanto hanno realizzato, di dire al miracolo, come a Lazzaro, alzati e cammina!
Forse, don Pablo, stiamo scrivendo con ferri vecchi un nuovo verso che tirerà fuori per qualche istante il “lungo treno” dal suo giusto letargo.
E deve farcela. Se riusciamo a smuoverlo anche solo di un centimetro, sarà la vittoria, il trionfo dell’allegria sullo sputo dell’odio. E in questo mare di sabbia, sole, vento e sottile pioggerellina, questi Dodici Argonauti si preparano, perché come ha detto lei, don Pablo, “il ferroviere è marinaio in terra e nei piccoli porti senza mare”. (Da: Incontro d’amore in un paese in guerra).

Intanto guardo film – Interstellar

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E’ dai tempi di Insomnia che volevo vedere un altro film di Christopher Nolan. Mi ero innamorata di quel cinema d’atmosfera, inquietante e denso di emozioni forti, direi primordiali. E di quella versione per me del tutto inedita di un grandissimo Robin Williams che a quel film aveva dato anche troppo, pagandone il prezzo. Ma in Interstellar ho ritrovato interamente quello stesso cinema.

Mi era stato consigliato da mio figlio, tra l’altro, con queste parole: “c’è dentro tutto: amore, rabbia, delusione, paura, dolore, felicità. E’ un po’ come quello che stiamo vivendo, ma è anche diverso”. Ed è un po’ così, in effetti. C’è dentro tutto, eppure riesce a non essere troppo, riesce a essere perfettamente “quello che deve esserci”.

In una ambientazione, e con una fotografia, che come in Insomnia non sono semplice contorno, ma protagoniste del film, veicoli e fonti primarie della storia e dei sentimenti che la accompagnano e la compongono. Storia di una terra ormai morente, di un viaggio interstellare che era un errore, ma comunque un errore che era necessario compiere; di un rapporto tra padre e figlia; del legame tra scienza, libertà, amore, buchi neri, amicizia, gravità e vita.

Un film per nulla facile e, tra parentesi, lentissimo rispetto ai tempi a cui siamo abituati. Che mi ha lasciata, sul momento, piena di perplessità, spaesata, con qualche brivido freddo. E poi di nuovo, come l’altra volta e in gran parte per la stessa ragione (Robin a parte), in ammirata, trepidante attesa di vedere un altro film di Nolan.

Cast: Mattew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine

Film Anni ’30 – My Man Godfrey

Una deliziosa commedia (uscita in Italia col titolo L’impareggiabile Godfrey), candidata a tutti e quattro gli Oscar per la recitazione (William Powell e Carole Lombard come attori protagonisti, Mischa Auer e Alice Brady come attori non protagonisti), oltre che per la regia (di Gregory La Cava) e la miglior sceneggiatura, benché non ne abbia poi vinto neanche uno.

William Powell, all’apice della fama per la serie amatissima dell’uomo ombra (tratti dai romanzi di Dashiell Hammett) in cui recitava a fianco di Myrna Loy, interpreta qui la parte di un gentiluomo caduto in disgrazia, che si trova a vivere in una discarica con altri disperati, quando la viziata e insensibile Cornelia Bullock (Gail Patrick) cerca di convincerlo a partecipare a una “caccia al tesoro” in cui uno degli “oggetti” da trovare è proprio un “uomo dimenticato”, un senzatetto. Godfrey rifiuta ma si fa convincere dalla sorella minore di Cornelia, Irene (Lombard), che in seguito lo fa assumere dai suoi come maggiordomo.

Così, Godfrey si trova invischiato in una famiglia piuttosto eccentrica: da Angelica (Brady), la madre svampita di Cornelia e Irene, al padre uomo d’affari sull’orlo di una crisi di nervi, a Carlo (Auer), preudo-artista ipersensibile e “protegé” di Angelica, alla stessa Irene, dotata di una invincibile tendenza al melodramma…

Big Fish, ovvero l’ultimo film che ho visto nel 2019

Big Fish, di Tim Burton (2003): allegro, tragico, spiazzante, gioioso, assurdo, poetico, irritante, malinconico. Con una bellissima storia. e attori del calibro di Albert Finney, Ewan McGregor, Billy Crudup, Helena Bonham Carter. Non grandi star, insomma, ma attori seri, che credono molto in quello che fanno e scelgono i ruoli con molta cura.

Nel suo modo Burtoniano, apparentemente leggero, un racconto molto profondo sul significato concreto, il più vero, non sempre facilmente comprensibile dalle persone a noi più vicine, del condurre una “vita straordinaria” e “restare sé stessi”: ossia, prendere la vita come se fosse una storia, comune, dopotutto, ma al tempo stesso unica per il modo in cui la raccontiamo. E secondo me, è proprio raccontare, immaginare, sognare la vita, per Burton, (e io mi identifico e mi riconosco molto in questo), che, appunto nel renderla esagerata, larger than life, coincide con il viverla.

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Tempo di serie tv

Non sono mai stata tanto un tipo da serie tv. Da ragazzina, ho seguito saltuariamente alcuni telefilm, coe si chiamavano allora; e in modo costante solo due: Happy Days, e naturalmente Mork e Mindy, che forse ho amato a tal punto da farmi temere di non poterne amare altrettanto nessun altro. Il che è vero, ma non mi impedisce, oggi, di guardare qualche fiction con piacere.

L’altro giorno accennavo a Downton Abbey e alle sue atmosfere da Inghilterra degli anni ’20 (del Novecento, of course): le vicende della famiglia Crawley (conti di Grantham) e dei loro domestici mi hanno assorbita in maniera quasi inattesa. Ogni personaggio ha un carattere complesso, sfaccettato, tanto da sembrarmi a volte più reali (nel senso di concreti) delle persone in carne e ossa. È un rischio, temo, ma lo corro volentieri. Da Lady Mary, bellissima, aristocratica, attaccatissima alle tradizioni e agli agi della sua famiglia, e tuttavia dotata di dolcezza, generosità e di un senso di ironia che le fanno perdonare certi spigoli, alla sorella Edith, che risente moltissimo delle attenzioni riservate alla maggiore, fino a quando non riesce a “emanciparsi” e trovare un proprio spazio, ad Hannah, la cameriera personale di Mary, forse la donna più onesta, diretta, leale e dal carattere più forte dell’intera serie. Da Thomas, il valletto (e in seguito maggiordomo), astuto e calcolatore, morso dalla gelosia e dall’invidia, ma anche capace di gesti coraggiosi, e inoltre tormentato dalla solitudine e dall’amarezza, tanto da suscitare compassione in diverse occasioni; allo sfortunato Tom, l’autista che è riuscito a conquistare Sibyl, la sorella di Lady Mary, solo per perderla e ritrovarsi in bilico tra due mondi, a disagio in entrambi. Dal Signor Bates, taciturno, introverso e pronto a sacrificarsi in qualunque momento per evitare un male a chiunque altro, eppure non immune da un certo istinto vendicativo, a Lord e Lady Grantham, le rocce da cui dipende l’unità della famiglia nei momenti di tempesta. Da Mrs. Hughes, la governante, dura e severa, attaccatissima al dovere, ma dal cuore d’oro, all’inappuntabile Carson, con il suo passato sorprendente. E poi, certo, la fantastica Lady Violet (Maggie Smith) nonna cinica, sardonica, conservatrice di ferro, dalle convinzioni radicate e saldissime (anche se non incapace di ricredersi, quando ce n’è ragione), estremamente a disagio con le dimostrazioni di affetto, ma capace di sentimenti profondi, e che copre con l’apparente arroganza la fragilità di chi sente il proprio tempo inesorabilmente avviarsi verso la fine, in più di un senso. 

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Mi fermo qui, ma ognuno meriterebbe uno spazio, ognuno “ha” uno spazio e si ricordano tutti, e questa la trovo una prova di bravura, sia del creatore Julian Fellowes (che è anche il principale sceneggiatore), sia del regista e degli attori.

Di recente, per motivi diciamo linguistici, ossia per far pratica di inglese parlato “americano” (più specificamente newyorkese), ho iniziato a guardare un’altra serie, IThe Marvelous Mrs. Maisel, ambientato negli anni Cinquanta, su una ragazza ebrea di buona famiglia che, perduta da un giorno all’altro la sua vita apparentemente perfetta in seguito all’abbandono del marito, si scopre un talento per l’improvvisazione comica. Ho visto le prime tre puntate, non è male Io sono di gusti difficilissimi per quanto riguarda l’improvvisazione comica, essendomi affinata il palato con il più grande di tutti, ma comunque, per il momento non ho perso la voglia di continuare a guardarlo, nonostante, tra l’altro, non sia facile da capire.

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Oggi Book Pride

Da venerdì a Genova c’era il Book Pride, sono riuscita ad andarci solo oggi (forse è stata una fortuna, per il mio portafoglio), e ovviamente ho fatto incetta di libri. Vero, in questo momento i soldi sono pochi, ma per i libri non si spende, sui libri si investe, è un investimento su sé stessi e la propria gioia. Ne ho presi un bel po’ da Iperborea, tra cui soprattutto l’ultimo Björn Larsson, più un altro a cui ha scritto lui la postfazione, perché Larsson per me è sempre irrinunciabile, E poi un altro bel bottino da Exòrma, casa editrice di cui avevo sentito parlare, ma di cui non avevo ancora letto alcuna pubblicazione. Lacuna gravissima, da rimediare subito. E poi, so che qualcuno capirà perché, questo in particolare non potevo proprio lasciarmelo sfuggire!

 Quindi, i due della foto non sono che un piccolo campione dei miei acquisti, la maggior parte dei quali sono rimasti a Genova. E nonostante tutto, come sempre, ho lasciato un pezzo di cuore su quelli che non ho potuto comprare, ma che dovranno comunque entrare nella mia casa e nella mia biblioteca al più presto!

#Film 1935: I 39 scalini e Roberta

Era difficile trovare due film più diversi, ma è anche questo, dopotutto, il bello del cinema: nello stesso anno, puoi trovare pellicole che proprio sono distanti anni luce, eppure a loro modo entrambe con tanto da dire. Comunque, possiamo dire: un capolavoro del noir e un capolavoro del musical.

Hitchcock è Hitchcock: sceneggiatura, trama, luci, dialoghi, attori, inquadrature, tutto curato nei minimi dettagli per creare esattamente le atmosfere e l’altalena di emozioni che il maestro voleva ottenere. The 39 steps è un’acclamata spy story basata su un tema caro a Hitchcock: l’uomo comune che si trova invischiato in vicende più grandi di lui a causa di un equivoco o del caso: in questo caso Richard Hannay (Robert Donat), deve cercare di eludere da una parte la polizia che lo cerca credendolo l’autore di un omicidio, dall’altra i veri autori dell’omicidio, ossia i membri appunto della organizzazione dei 39 scalini, avente lo scopo di trasmettere importanti informazioni alla Germania. Il film è talmente ben costruito da far dimenticare la totale implausibilità di tutta la vicenda (una sospensione dell’incredulità perfettamente riuscita, insomma); e Madeleine Carroll, prima di una lunga serie di bionde apparentemente (ma solo apparentemente) glaciali contribuisce all’aspetto erotico del film, evidente e palpabile eppure mai volgare o esibito.

Ma Fred Astaire e Ginger Rogers ti riconciliano col mondo anche dopo la più faticosa delle giornate. Naturalmente, bisogna amare i musical, o almeno, accettare di lasciar da parte eventuali pregiudizi ostili (e trascurare qualche lungaggine di troppo); oppure, semplicemente, amare questi due, che è ancora più facile: sono di una simpatia trascinante, e con tutta evidenza si divertono un mondo loro per primi. Se ti diverti a fare quello che fai, per quanto mi riguarda hai già vinto a mani basse. Qualcuno insinua che lontano dal set si sopportassero a fatica; altri ipotizzano una relazione tenuta segreta per esigenze hollywoodiane. Sia come sia, sul palcoscenico la chimica funziona alla grande. Il loro carisma, la loro strepitosa bravura come ballerini, i dialoghi brillanti e il senso artistico di Fred Astaire, che spesso, come in questo caso, creava le sue coreografie, rendono il film godibile dall’inizio alla fine. Al di là della trama, che diventa quasi del tutto superflua. Randolph Scott (il giocatore di football John Kern nel film) fa la sua parte nel ruolo del belloccio svampito, Irene Dunne (Stephanie) è decisamente un’attrice (e una donna) di cui vale la pena approfondire biografia e lavori. Ma Ginger e Fred… La storia, in questo caso, vede gli amori di John e Stephanie e di Huck e Lizzie snodarsi tra disguidi e canzoni attorno alla casa di mode “Roberta”. Dal film sono tratti successi intramontabili come Lovely to look at, I won’t dance e soprattutto Smoke gets in your eyes (nella notevole interpretazione di Irene Dunne).

Prima presentazione, andata!

La prima presentazione del libro mi ha dato grandi soddisfazioni: sala bella piena, persone interessate e i libri presenti si sono rapidamente volatilizzati. Quello che temevo fosse un aspetto critico, ossia il fatto di non aver trovato un “facilitatore” che conoscevo per dialogare con me col libro, alla fine è stato un bene: mi ha introdotto la persona che aveva organizzato l’incontro per la Feltrinelli, competente e brillante, che ha contribuito a rendere la serata vivace. E insomma, il viaggio del Pettirosso continua, e lui canta sempre più forte.