Dopo tanto tempo, sono finalmente entrata di nuovo in una libreria, intesa come luogo “fisico” e non virtuale. Sapevo cosa stavo cercando. Alla poesia sono arrivata relativamente tardi, a parte il mio mito, Neruda, non conosco molto degli autori novecenteschi, e volevo cominciare a colmare la lacuna, per cui eccolo qui: “Dopo la lirica – Poeti italiani 1960-2000)”, Ed. Einaudi con prefazione del curatore, Enrico Testa, in cui ho trovato queste parole per me illuminanti:
Al momento questi poeti [ossia quelli della generazione post-lirica, negli anni 1960-2000, a cui si riferisce il libro] … paiono operare tutti secondo quel “procedimento accumulativo” che … si attua “inglobando e stratificando paesaggi e fatti reali, private inquietudini e minimi eventi quotidiani”. Spinti dall’esigenza primaria di dar conto della loro sorte ed esperienza individuale e guidati da una prensile mobilità interiore, irriducibile alla recensione cronachistica del “mondo” come al verticale e attrattivo distacco da esso, recuperano così alla poesia un senso che altri … davano per perduto o impossibile. E riescono a ciò proprio convertendo il “timore di evadere dal tessuto della storia in atto” (un limite anticlassico, secondo Montale, della poesia contemporanea) in una nuova forma del coraggio: l’adesione al doloroso e mutevole profilo dell’esistere e alle sue dimensioni capitali: lo scorrere del tempo, la realtà della natura, il modificarsi della società.
Questo, sto comprendendo, è il “mio” senso della poesia, quello che vorrei avesse. Mi rendo conto che è espresso in un linguaggio non semplicissimo da critica letteraria, ma mi sono immersa in queste parole come in quelle pagine di romanzo che ci appartengono fino in fondo. Posso dire che nella mia ricerca sto forse arrivando anch’io a unire gli stimoli che, nel bene e (purtroppo soprattutto) nel male mi vengono dal mondo esterno al privato, alle mie esperienze e al mio sentito personale.
Sono lontana dalla “cronaca”, non riesco quasi mai a scrivere di fatti singoli, anche drammatici e di grande importanza; ma cerco di combattere la tentazione di distaccco dal mondo, che provo eccome, con il tentativo di afferrare il senso generale di quello che cambia, che si muove, che resta, che si espande o si restringe, che proprio per questo carattere “generale” resta sfuggente, ma qualche volta può succedere di afferrarne un’ombra. Basta questo, un’ombra, un’illusione, a spingermi a continuare a scrivere, quando più sembra inutile. E inutile è quasi certamente, ma credo che niente sia indispensabile quanto le cose inutili.
Poi, certo, Walt Whitman. Non (per me) un mito come Neruda, ma un poeta con cui mi incontro e mi scontro da tempo, grazie a un altro amore, quello per Robin e i suoi poeti più cari. Perché la libertà la si trova quando si è disposti a morire non per un’idea, per un mondo migliore, e neppure per la libertà stessa, ma per la propria anima profonda, la luce e l’ombra del proprio sé.
E per chi crede nei segni, nelle coincidenze che sono altro, piccole benefiche cospirazioni dell’universo, sapete dove ha sede la Casa Editrice di questo secondo libro? A Boulder, Colorado, il piccolo, sperduto borgo della provincia americana dove era ambientato Mork&Mindy. Tutto si tiene, insomma. I fili formano trame imprevedibili.
Do I contradict myself?
Very well, then… I contradict myself;
I am large… I contain multitudes.
[…]
I too am not a bit tamed… I too am untranslatable,
I sound my barbaric yawp over the roofs of the world
[…]
I bequeath myself to the irt to grow from the grass I love
If you want me again, look for me under your bootsoles.
You will hardly know who I am or what I mean,
but I shall be good health to you nevertheless,
and filter and fibre your blood.
Failing to fetch me at first keep encouraged
Missing me one place search another,
I stop some where waiting for you
TRADUZIONE*
Mi contraddico?
Benissimo, allora… mi contraddico;
Sono ampio, contengo moltitudini.
[…]
Anch’io non sono affatto addomesticabile… anch’io sono intraducibile,
E risuona il mio barbarico yawp sopra i tetti del mondo.
[…]
Mi dono alla terra per ricrescere dall’erba che amo,
Se mi vuoi ancora, cercami sotto le suole dei tuoi stivali.
Non saprai chi sono, né il mio scopo,
eppure avrai, grazie a me, buona salute,
e io filtrerò e darò fibra al tuo sangue.
Se non mi trovi subito, non perdere il coraggio,
Se in un luogo non mi vedi, esplorane un altro,
Io sono fermo da qualche parte, ad aspettarti
Naturalmente, di entrambi i libri tornerò a parlare, ancora e ancora…