#Film ’29: The Manxman, Blackmail e The Cocoanuts

Un altro Hitchcock degli esordi, dopo The Lodger, ma questo è brutto, tanto che non sembra neppure suo. Storia banale (due uomini innamorati della stessa donna), svolgimento estremamente fiacco, tutto molto inverosimile, lento e noiosissimo, forse anche perché nonostante certi elementi comuni, non è un giallo, e Hitchcock pare talmente a disagio nel dirigere la pellicola, che viene da pensare che possa aver accettato per qualunque ragione eccetto la voglia di farlo. L’ho incluso perché è una curiosità e perché, per amore di giustizia, devo dire che gli annunci pubblicitari che purtroppo tocca sorbirsi ogni cinque minuti sul sito dove l’ho trovato non lo aiutano di sicuro. Comunque, anche in caso di drastico calo di zuccheri, piuttosto un Harmony

Molto meglio, per ripercorrere un po’ di storia hitchcockiana, Blackmail, dello stesso anno, anche se in rete purtroppo lo si trova solo a pezzi e bocconi, ma già è chiaro da quei frammenti che si tratta di qualcosa di decisamente più interessante. Credo che lo ccomprerò, si trova facilmente e a prezzi molto ragionevoli.

Parlando di esordi, The Cocoanuts è il primo film dei Fratelli Marx, in questo caso bisogna proprio cliccare sul link, non c’è anteprima, ma delle varie versioni del film che si trovano in rete, questa è quella che si vede e si sente meglio. Dei fratelli Marx avevo solo sentito parlare, non avevo mai visto niente, e sapevo solo del loro lato comico. In realtà erano tutti musicisti di talento, soprattutto Harpo, cui avevo fatto un grosso torto pensando che non fosse lui a suonare nel film, mentre è proprio l’abilità con l’arpa che gli è valsa il soprannome, e inoltre suonava vari altri strumenti. Come clown, invece, non mi piace per niente, ma è un problema mio, detesto i clown. Chico invece era un eccellente pianista, e anche lui sfrutta questa dote nel film, mentre Groucho è evidentemente il più dotato di ironia. Il film è carino, devo ancora decidere se il loro tipo di comicità mi piace, ci sono un paio di capolavori negli anni successivi che sicuramente intendo guardare.

Sono comunque felicissima di essere arrivata all’epoca del sonoro, anche se il ,muto mi ha riservato alcune piacevolissime sorprese!

 

#Film 1928 – The Circus, The Cameraman, The Last Command

Uff! Mi ostino a riprovarci, ma la comicità di Buster Keaton proprio non mi diverte. Il film di Chaplin non è comico, anzi, direi notevolmente triste. Nessuno dei due film è brutto, intendiamoci. The Cameraman, poi, è considerato un capolavoro, e se vi diverte Keaton, è senz’altro più adatto a una serata di relax. Su Chaplin si può contare per una visione poetica, pur se malinconica, anche in questa pellicola ritenuta “minore”.

The Last Command di Sternberg invece mi è piaciuto molto. Emil Jannings ha vinto il primo Oscar come miglior attore protagonista per il ruolo del generale russo Sergej Alexander, cugino dello zar, la cui vita cambia radicalmente in peggio dopo essere miracolosamente sfuggito alla morte nel corso della Rivoluzione. Proprio le dolorose circostanze che hanno accompagnato quegli eventi lo hanno segnato nel fisico e nel morale. Quando un suo vecchio nemico rivoluzionario (interpretato da William Powell), nel frattempo diventato regista in America, scopre il suo nome nell’infinita lista di chi cerca lavoro come comparsa, decide di assumerlo con l’intenzione di umiliarlo…

Una storia senza buoni e cattivi, con un personaggio femminile (la rivoluzionaria/amante di Alexander) sufficientemente complesso da essere considerato di notevole modernità, in un film che non ha morali chiare da diffondere, ma parla di arroganza punita, di orgoglio e caduta, di dignità e di fortissime emozioni in un quadro storico più generale. Raccontare la Rivoluzione russa nella sua verità non era affatto l’intento di Sternberg, che sembra piuttosto usarla come sfondo e come esempio dei grandi eventi che possono in qualunque momento travolgere i singoli.

#Film anni 20 – The Wind

Un film notevole, del bravissimo Victor Sjöström, che aveva a cuore il tema del rapporto tra uomo e natura ed ebbe, pare, una profonda influenza su Ingmar Bergman. Gli effetti sonori straordinariamente sinistri, ossessivi, sono perfetti per sottolineare le devastanti conseguenze del vento, che inaridisce la terra e rende le emozioni brucianti, amplifica i desideri, le paure e le frustrazioni. Non conoscevo il film, era uno di quelli consigliati su Mymovies e devo dire, meritava. Protagonisti molto espressivi: Lillian Gish interpreta Letty, Virginiana sprovveduta ma assai determinata, che raggiunge il ranch del cugino pensando di trovarvi prosperità. In realtà si tratta di una terra arida e desertica, battuta da questo vento di tempesta che gli Indiani, nel momento della sua massima ferocia, identificano con un cavallo demoniaco. La gelosia della moglie del cugino (Dorothy Cummings) è tale da spingerla a cacciare Letty, constringendola a sposare il rozzo cowboy Lige (Lars Hanson). Letty in effetti è attratta da Lige – e non a torto – ma i suoi modi alquanto lontani da quelli a cui è abituata la spaventano al punto da pretendere un matrimonio “bianco”. Molto evocativa la scena in cui si vedono solo gli stivali di lui e le scarpe di lei, e tutte le emozioni stanno nel movimento dei piedi. La bufera rischia davvero di far impazzire Letty, ma quando un vicino, approfittando dello stato di prostrazione in cui si trova, la violenta (o tenta di), lei…

Cinema anni ’20 – Underworld

Ovvero Le Notti di Chicago, di Joseph Von Sternberg (1927), con Clive Brook (“Rolls-Royce”), Evelyn Brent (“Feathers”) e George Bancroft (“The Bull” Weed). Forse il primo gangster movie, all’epoca colpì sia per il soggetto, sia per il modo in cui era trattato, che avrebbe poi ispirato i vari film successivi dello stesso genere. Bello, bello, bello, era consigliatissimo su Mymovies ma mi è piaciuto molto al di là delle mie aspettative.

Ingredienti per noi forse scontati, il gangster, la pupa del gangster, un amore contrastato, il mondo del proibizionismo, mai citato ma ben presente, allora però dovevano essere davvero innovativi e questo secondo me si percepisce. L’ho trovato ironico, a tratti divertente, a tratti denso di suspence e la scena del ballo dei malavitosi è splendida.

Non sono quasi mai certa del mio intuito quando si tratta di recitazione, ma in questo caso ho avuto ragione. Non conoscevo Clive Brook, l’ho molto apprezzato e ho poi scoperto che era uno degli attori più importanti del muto, passato poi al sonoro con un ottimo successo e molti bei film all’attivo.

La carriera di George Bancroft è stata molto più breve, almeno nei ruoli principali, ma con alcune punte interessanti, e con un seguito da caratterista tutt’altro che trascurabile.

Evelyn Brent è davvero bella e il suo sguardo le ha fruttato alcuni bei ruoli, anche se non forse tanti quanti ci si sarebbe potuti aspettare. Consigliatissimo, per quel che vale, anche da me. E con questo spero di riprendere infine alcune delle rubriche da tempo trascurate, il cinema del martedì, i blog del sabato, i libri della domenica e chissà, forse anche il Robin’s Monday, ma devo vedere cosa riesco a fare. Almeno quelle del cinema e dei libri spero proprio di sì!

Babele

… But the minds that had conceived the Tower of Babel could not build it. The task was too great. So they hired hands for wages.

But the hands that built the Tower of Babel knew nothing of the dream of the brain that had conceived it.

… Le menti che avevano concepito la Torre di Babele, tuttavia, non erano in grado di costruirla. Il compito era troppo gravoso, così si servirono delle mani di operai salariati.

Ma le mani che costruivano la Torre di Babele non sapevano nulla del sogno del cervello che l’aveva concepita.

(da “Metropolis” di Fritz Lang, 1927)

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Prima o poi…

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Stavo guardando Metropolis quando la mia appendice ha iniziato a fare le bizze. In ospedale ho provato ad andare avanti, poi però ho convenuto con la mia compagna di sventura e di stanza che forse non era il momento giusto, e abbiamo ripiegato su qualcosa di meno impegnativo (a proposito, ho visto per intero il primo film di Woody Allen della mia vita e mi è pure piaciuto, ne parlerò; va detto però che non lo interpretava lui…). Stasera ci ho riprovato ma la palpebra ha cominciato a calare e la testa a ciondolare, mi sa che sono troppo stanca, del resto ho lavorato praticamente dodici ore (ma come mai sono così stanca? Mah!). Ormai è diventata una battaglia tra me e Fritz Lang, è stranissimo, non mi piace quel tipo di scenografie, non mi piace quel tipo di recitazione, però qualcosa mi spinge a proseguire. Ce la farò! E a proposito, credo che il prossimo acquisto Moleskine sarà un film journal. E anche un book journal!

Film 1926 (segue): The Lodger, The Winning of Barbara Worth, Beau Geste e altri

(la prima parte con gli altri film del 1926 che ho visto la trovate qui).

The Lodger – A story of the London fog: l’ho guardato più che altro perché è il secondo film di Hitchcock, all’epoca ventisettenne, ed ero curiosa. Dove si vede che la paranoia non è solo una caratteristica del nostro tempo, e non parliamo poi delle folle isteriche. Basato su un racconto di Marie Belloc Lowndes e sui delitti di Jack lo Squartatore, allora relativamente recenti, il film contiene già molti elementi cari al regista, come il macabro, l’acqua, l’uso di tutte le potenzialità della cinepresa (particolarmente celebrata la scena in cui  i Bunting guardano apprensivamente il soffitto, sentendo i passi del pensionante nella sua camera sopra di loro, e a poco  poco il soffitto diventa trasparente) e, su un piano più propriamente narrativo, l’incubo dell’innocente falsamente accusato. La nebbia simboleggia anche l’opacità morale di certe emozioni e di certi comportamenti. Jonathan Drew (Ivor Novello) affitta una camera presso una famiglia londinese. Il suo arrivo coincide con il periodo in cui un assassino che si fa chiamare The Avenger (il Vendicatore) commette i suoi misfatti contro fanciulle bionde come Daisy, la figlia degli affittacamere. Una serie di indizi punta contro il nuovo venuto, e il fatto che Daisy, legata sentimentalmente al poliziotto incaricato delle indagini, sia attratta da Jonathan complica le cose. Certo viene da dire che indipendentemente da tutto, i due spasimanti sono uno più insulso dell’altro. Però insomma, è pur sempre Hitchcock…

Sparrows, di William Beaudine “The devil’s share in the world’s creation was a certain southern swampland – a masterpiece of horror. And the Lord appreciating a good job, let it stand” (La parte del diavolo nella creazione del mondo fu una certa palude nel Sud. Un capolavoro dell’orrore, che il Signore, che apprezza sempre un lavoro ben fatto, decise di lasciar stare). Un film dalle recensioni controverse: talvolta considerato il miglior film di Mary Pickford (la famosa “Fidanzata d’America”, regina pressoché indiscussa del muto, e la donna più potente dell’epoca, nel mondo cinematografico, produttrice e membro costituente di quella che sarebbe diventata l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, ovverosia l’organizzazione che assegna il cosiddetto Oscar). In altri casi è stato stroncato come melodrammatico, opprimente e con trovate puerili.

La storia trae ispirazione da una realtà tristemente nota ai tempi, quella di certi “asili” privati, di fatto degli istituti per bambini abbandonati o figli di madri nubili ecc., che spesso venivano “venduti” alle coppie adottive. I passeri del titolo sono infatti i bambini di uno di questi asili, gestiti dal terribilmente truce e “dickensiano” Grimes e dalla sua degna consorte. La “Mama Molly” di Mary Pickford è una ragazzina un po’ più grande che si prende cura dei piccoletti. Benché Mary Pickford avesse all’epoca trentatré anni, la sua interpretazione di una ragazzina adolescente è considerata magistrale.Per creare “l’incubo gotico” in cui l’asilo doveva essere ambientato, vennero utilizzati tre acri dei Pickford-Fairbanks Studios in una palude ribollente. Sulla fotografia notevole fu l’influsso esercitato dal cinema tedesco: l’operatore preferito della Pickford, Charles Rosher, aveva lavorato come consulente fotografico per il Faust di F.W. Murnau (1926). Le immagini del film sono considerate splendide, tra le più belle del cinema di quei tempi.

Il link qui di seguito contiene purtroppo solo la prima parte (anche se poi di fatto non ne lascia fuori poi molto); si trovano altri video in rete con il film completo, ma sono “tagliati” in malo modo, se ne vede solo una parte e risultano quindi praticamente incomprensibili o comunque molto poco godibili, possono comunque essere utilizzati per guardarsi la fine.

https://www.uploadstars.com/video/R15XOXS52O3S

Nana, di Jean Renoir: mi dispiace, non sono proprio riuscita a finirlo. Chissà, magari con una congiunzione astrale più favorevole…

Beau Geste, di Herbert Brenon con Ronald Colman: avvenimenti misteriosi sullo sfondo dei combattimenti della Legione Straniera, e di un legame indissolubile che unisce tre fratelli… molto avvincente.

The Winning of Barbara Worth, con Ronald Colman (un tipo davvero affascinante, ricorda un po’ Clark Gable, ma è decisamente meglio, per i miei gusti!) e Gary Cooper nel suo primo ruolo in un lungometraggio (e già bello come un dio). Jefferson Worth sogna di portare l’acqua nel deserto californiano. Un giorno salva una bambina, rimasta orfana durante una tempesta di sabbia (una scena che io ho trovato di grande effetto) e la adotta. Quindici anni dopo, la piccola Barbara è diventata una bellissima ragazza (Vilma Banky). Willard Holmes (Colman) è il capo ingegnere di una società che intende deviare il corso del fiume Colorado, un’impresa che realizzerebbe il sogno del signor Worth facendo di quegli aridi territori un paradiso. Willard si innamora di Barbara, ma anche il cowboy Abe Lee (Cooper) la ama da tempo. Un paradiso però, si sa, attira anche avidità e loschi interessi, che metteranno a rischio non solo l’amore, ma anche il territorio e coloro che sono venuti ad abitarlo, attratti dal sogno di Worth… Uno dei western più western che abbia mai visto, scenografico e spettacolare, con paesaggi cui il bianco e nero non toglie niente, anzi. L’ho trovato bellissimo.

https://ok.ru/video/336759687843

Flesh and the Devil, con Greta Garbo nei panni di una femme fatale (una delle prime?) che prima causa un duello in cui il marito trova la morte, poi sfascia un`amicizia tra due uomini che durava da una vita. Lei è indubbiamente bellissima e forse l`unica che possa permettersi a ventun anni di dire “sei molto giovane” con quel “tono” (evidente dallo sguardo, nonostante il muto), a un uomo più vecchio di lei di sei anni ( che non aveva precisamente l`aspetto di un ragazzino). Per il resto, mah… è che queste storie di triangoli e maliarde non mi prendono molto…

The Strong Man (La Grande Sparata) di Frank Capra, con Harry Langdon: simpatico, ma sempre più mi rendo conto che a parte poche eccezioni, la comicità dell’era del muto non fa per me.

Le disgrazie di Adamo, il primo film di Howard Hawks (regista di film indimenticabili come Scarface, Gli uomini preferiscono le bionde, Un dollaro d’onore, Il grande sonno…. e morto a ottantun anni per le conseguenze di una caduta dalla motocicletta). Purtroppo si trova solo qualche clip, come questa:

 Il Principe Achmed, il primo cartone animato (o forse il secondo) della storia, realizzato con la tecnica delle ombre cinesi. Anche questo non sono riuscita a trovarlo tutto, e per giunta è in tedesco, però mi pare valga la pena darci un’occhiata.

Film 1925 e 1926

Un po’ di film di quegli anni che ho visto soprattutto durante le mie “ferie” passate per lo più a letto con l’influenza, anche se gli ultimi due fanno parte invece delle mie “imprese”degli ultimissimi giorni. Il mio programma per il 1925 l’ho esaurito, mentre per il 1926 me ne restano alcuni, di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Enjoy 🙂

La febbre dell’oro, di e con Charlie Chaplin, recensito qui (in attesa di rivederlo, almeno)

Il fantasma dell’opera, di Rupert Julian, con Lon Chaney, Mary Philbin. Norman Kerry. Un altro caposaldo della storia del cinema, quanto meno di quello più popolare. Resta famoso il trucco di Lon Chaney, che come per Il Gobbo di Notre Dame di due anni prima, lo aveva creato personalmente, basandosi sulla descrizione del romanzo di Leroux. Il “fantasma”, un uomo misterioso che non si lascia mai vedere in volto (e uccide coloro che per sventura lo hanno visto), si invaghisce della bella cantante Christine Daaé, e si “prende cura” a modo suo della carriera della ragazza, dalla quale in cambio pretende devozione assoluta. Christine però è innamorata del Visconte Raoul di Chagny…

Il ventaglio di Lady Windermere di Ernst Lubitsch, con May McAvoy, Ronald Colman: Lubitsch è quasi sempre una garanzia, almeno per me, di divertimento intelligente. Classica commedia degli equivoci. Mrs. Erlynne convince Lord Windermere ad aiutarla, rivelandogli di essere la madre di sua moglie, la quale però non sa nulla di lei e la crede morta. Lord Darlington, che è innamorato di Lady Windermere, la convince che tra suo marito e la signora Erlynne ci sia del tenero…

Tartufo di Friedrich Wilhelm Murnau, con Emil Jannings, Rosa Valetti. Una curiosa versione in cui il capolavoro di Molière contro gli ipocriti viene mostrato al nipote di un anziano milionario per metterlo in guardia dalle macchinazioni della governante (Emil Jannings è Tartufo nella recita teatrale).

The Eagle (Aquila Nera), di Clarence Brown, con Rodolfo Valentino, Vilma Banky. Penultimo film interpretato da Valentino, e svolta decisa verso film in cui l’azione avesse un ruolo almeno quasi altrettanto importante della seduzione. Il cosacco Vladimir Dubrovsky (Valentino), viene a sapere che il malvagio signorotto Kyrilla si è impadronito delle terre di suo padre e vi esercita un potere tirannico e crudele. Assume allora l’identità di Aquila Nera, una sorta di Robin Hood mascherato, ma entra anche nella casa di Kyrilla sostituendosi all’uomo che avrebbe dovuto fare da tutore alla figlia di questi. Della quale naturalmente si innamora…

La vedova allegra di Erich von Stroheim, con John Gilbert, Mae Murray (e vede anche una delle primissime, se non la prima apparizione, non citata nei credits, degli allora sconosciuti Clark Gable e Joan Crawford). Basato sull’operetta di Franz Léhar, la seconda trasposizione sullo schermo – dopo una versione ungherese del 1918 del grande Michael Curtiz – della storia del bel principe Danilo che non può sposare l’amata Sally perché è una ballerina. Non sono riuscita a trovare il film integrale, solo alcuni brevi spezzoni, e questo rende in effetti molto difficoltosa una recensione, per quanto amatoriale. Quello che ho visto sembra delizioso ma sembra non si trovi neanche il dvd.

The General (Come ho vinto la guerra): Uno dei film di e con Buster Keaton che ho più apprezzato. Un macchinista innamorato del suo lavoro e della sua locomotiva (the General, appunto), oltre che della “bella del sud” Annabelle, si trova, durante la guerra civile americana, a diventare un eroe delle forze confederate per cause del tutto indipendenti dalla sua volontà e naturalmente in maniera del tutto rocambolesca.

The Black Pirate: Ah, che meraviglia i film di Douglas Fairbanks… Questo ha a mio parere qualcosa meno di altri, benché sia considerato uno dei suoi migliori, ed è certamente un concentrato di azione, coreografia, ironia e ottima sceneggiatura come sempre. Crudo, per un film di cappa e spada dell’epoca, beneficia comunque della notevole eleganza del bel Douglas. Ad esempio, non teme affatto né il realismo degli sbudellamenti (che avvengono fuori scena, con un effetto forse persino più inquietante), né di far capire perfettamente quale è il rischio che correrebbe la damsel in distress, se il Pirata Nero non accorresse in suo soccorso con perfetto tempismo. Pirata che come nella migliore tradizione di queste storie, è in realtà un nobile che cerca vendetta, in questo caso, dopo che i pirati hanno assaltato la nave su cui viaggiava e ucciso suo padre.

Faust: Ancora Murnau (ultimo film da lui diretto in Germania, prima di trasferirsi negli USA), ncora Emil Jannings nel ruolo evidentemente congeniale di un malvagio dal volto “satanico”, qui più che mai appropriato, trattandosi di Mephisto. Dispiace sapere che dopo aver girato L’angelo azzurro con Marlene Dietrich, Jannings si sia dato alla propaganda nazista e a opere di regime (la Dietrich fu molto sprezzante con lui per questo). Film costosissimo, questo Faust, che non recuperò i soldi spesi. Per via di una scommessa tra Mephisto e un arcangelo, Faust viene corrotto dal demonio, che gli concede poteri dapprima per aiutare la sua gente vittima di un’epidemia (scatenata dallo stesso Mephisto), poi per scopi sempre più egoistici, fino al riscatto finale. Film dalle atmosfere cupe, ma sicuramente suggestive.

Il figlio dello sceicco: l’ultimo film interpretato dallo sfortunato Rodolfo Valentino, che morì ancora prima che uscisse nelle sale, di peritonite, a soli 31 anni. Certo questo ha contribuito a creare la sua leggenda, ma penso che sicuramente lui avrebbe preferito altrimenti. Qui interpreta tanto il protagonista Ahmed quanto suo padre, lo sceicco, e ancora una volta la co-protagonista è Vilma Banky, la danzatrice di cui Ahmed si innamora perdutamente, salvo poi convertire l’amore in odio quando crede che lei lo abbia tradito, facendolo cadere nelle mani dei banditi… Progetta allora una vendetta, “nello stile Valentino”. Considerata una delle migliori interpretazioni dell’attore, che aveva trovato, già con Aquila Nera, quell’equilibrio di passione e azione in grado di far piacere i suoi film non solo alle donne, ma anche agli uomini.

Michel Strogoff: superproduzione francese per la regia di Viktor Tourjansky, con un cast in gran parte composto da rifugiati russi scampati alla Rivoluzione del ’17 e un bravissimo protagonista. Alcune parti avvincenti, ma molte scene di troppo e tempi lunghissimi, ben più di quanto sia giustificato dall’epoca.  L’ingiallimento della pellicola certo non aiuta. Certe scene di guerra mi pare abbiano poco da invidiare anche a film cruenti come Salvate il soldato Ryan, fatte naturalmente le debite proporzioni. Nel corso di una sollevazione dei Tartari, Strogoff viene inviato dallo zar ad avvertire il fratello che uno degli ex ufficiali dell’esercito è in realtà un traditore passato tra le file dei ribelli. Nel viaggio si innamorerà di una ragazza e naturalmente andrà incontro a une serie innumerevole di rischi. Come siano riusciti a renderlo così esasperantemente lento resta un mistero.

#Film 1925 – The Gold Rush

Con La Febbre dell’oro passo finalmente dai film del 1924 a quelli del 1925. Ci avviciniamo a larghi passi alla nascita del sonoro! Questo è il film con cui Chaplin torna al personaggio di Charlot, dopo un tentativo sfortunato di abbandonarlo almeno temporaneamente con La donna di Parigi. Non so se posso permettermi di dirlo, ma non mi è piaciuto quasi per niente. Più precisamente, mi sono molto annoiata. Per attenuare però la severità del giudizio, aggiungerò che credo molte cose mi siano sfuggite per mia distrazione, e che mi succede non di rado di dover guardare un film almeno un paio di volte per apprezzarlo (ovvio che lo faccio solo con quelli per cui penso che ne valga la pena, e per un film di Chaplin ne vale la pena comunque). Per il momento, Il Monello mi è piaciuto decisamente di più (ma poi, quello lo avevo già visto una prima volta tempo prima).

Brevemente, comunque, è la storia di un cercatore d’oro solitario e della sua lotta contro freddo, fame (che pare che Chaplin avesse sperimentato personalmente, e per questo dipingesse sempre la situazione dei poveri con molta empatia) e avidità, che sfocia anche talvolta nella violenza. L’omino è buffo, destinato a essere preso in giro e a far da vittima ai prepotenti, ma la sua tenerezza e onestà daranno il loro frutto. C’è sempre una delicatezza di fondo, in effetti, che comunque mi spinge a vedere i film di Chaplin fino in fondo, e magari a riguardarli. Alcune scene poi hanno fatto la storia del cinema, dalla trasformazione del Vagabondo in un pollo davanti agli occhi dell’amico affamato, alla casa in bilico sul burrone, alla danza dei panini (informazioni in parte tratte dal sito di mymovies).

Al momento sto guardando The Phantom of the Opera, mi incuriosisce ma non garantisco di riuscire a vederlo tutto, vi saprò dire…

La saga di Gosta Berling, Peter Pan, Paris qui dort e Rupert di Hee-Haw

The Saga of Gösta Berling, dal primo romanzo di Selma Lagerlöf, quando ancora non era famosa (e lo sarebbe diventata con quel libro), il primo film con Greta Garbo, quando ancora non era famosa (e da questo film è stata lanciata). Inizialmente l’avevo giudicato noiosino e moralista per i miei gusti, mi sono in parte ricreduta, specialmente sul primo aggettivo. No, in realtà “prende”. Un po’ moralista lo è, anche se non tanto quanto pensavo. È che in questo momento il moralismo, anche a piccole dosi, mi provoca strani sintomi, sicuramente di origine allergica. Per i tempi è comunque più moderno di quanto si potrebbe pensare, è una specie di romanzo di formazione in cui il protagonista (Lars Hanson), un sacerdote di buon cuore ma dedito all’alcol, viene “spretato” per questa ragione ed evitato da tutti. L’unica che gli dà lavoro lo fa per suoi motivi del tutto ignobili. Da lì, Gösta passa attraverso amori, tentativi di redenzione, fallimenti, fino a convincersi di essere la rovina per tutti coloro che lo amano, quando in realtà la rovina è spesso causata almeno altrettanto dai vizi di chi lo circonda, ammantati di perbenismo. Non svelo il finale, naturalmente 🙂

Peter Pan di Herbert Brenon, con Betty Bronson nel ruolo principale. La differenza tra il teatro fiabesco e quello realistico è che nel primo tutti i personaggi sono in effetti bambini, con uno sguardo bambino sulla vita. Questo vale tanto per i cosiddetti adulti della storia quanto per i protagonisti più giovani. Togliete la barba al re delle fate, e scoprirete il volto di un bambino. È lo spirito di questa commedia. Ed è indispensabile che tutti voi – non importa quale età ciascuno abbia raggiunto – siate bambini. PETER PAN per gioco getterà polvere di fata nei vostri occhi ed ecco! Tornerete subito all’infanzia, e crederete ancora alle fate, e lo spettacolo andrà avanti (dalla nota di James Barrie). Ho sempre amato Peter Pan. Un giorno ho scoperto che era anche tra le storie preferite di Robin Williams e che il film di Disney era, tra i cartoni animati quello che amava di più. Non mi ha stupito, ma è stata una bella conferma. Questo primo film del 1924 è incantevole e spiritoso, a partire dalla reazione molto britannica di Mr. Darling quando la moglie gli racconta del ragazzino che era entrato in casa qualche notte prima, accompagnato da una sfera di luce che si muoveva per tutta la stanza come una cosa viva, e che aveva dovuto lasciar lì la propria ombra, rimasta chiusa dentro quando lui era volato fuori dalla finestra (this is very unusual).

Paris qui dort, primo film scritto e diretto interamente da René Clair. Un giorno Parigi si addormenta. Davanti agli occhi stupiti e anche un po’ irritati del guardiano notturno della Tour Eiffel, la città appare immobile e semivuota, e le poche persone che vede sono immerse in un sonno profondo e molto particolare, essendosi immobilizzate evidentemente tutte insieme, ciascuna nella posa in cui si trovava in quel momento come quello del castello della Bella Addormentata.  Solo lui e un gruppo di cinque persone arrivate in aeroplano sono sfuggiti, grazie all’altezza a cui si trovavano, a quello strano fenomeno, che si scoprirà essere dovuto a un raggio misterioso… Il film, girato nel ’23, uscì nelle sale nel 1925 in seguito al successo del cortometraggio Entr’Acte, di cui avevo parlato nelle puntate precedenti. È considerato un precursore del genere fantascientifico. Grande maestria nel padroneggiare tutte le tecniche conosciute, ma non posso dire che mi sia particolarmente piaciuto.

Rupertof Hee-Haw, con Stan Laurel, una parodia di “Rupert di Hentzau, seguito del Prigioniero di Zenda, di cui pure avevo parlato. Carino, mediamente direi che preferisco Stan Laurel senza Oliver Hardy e che comunque dall’uso che fa delle didascalie, pare non veder l’ora che arrivasse il sonoro. La sua comicità si basa sulla mimica facciale ma anche sulle parole, in larga misura, e a me questo piace.