Non mi sento più saggia, tantomeno migliore. Forse, neanche peggiore. Sono più o meno, con i cambiamenti inevitabili che qualsiasi anno porta con sé, figuriamoci questo, la stessa strana donna misteriosa, probabilmente una strega, che vive appartata (benché nel mio caso non da sola) in una casa che non è in mezzo ai boschi, ma per quanto mi riguarda, è come se lo fosse, per i rapporti che ho con i vicini (e del resto, sono sempre più prossima a trasferirmi in una casa che è realmente tra i boschi, e in cima a una collina).
Alla fine, però, sono una persona da abbracci e strette di mano e coccole come chiunque altro. Per quanto da tempo gli scenari apocalittici spopolino in libri, film, e nei nostri incubi, penso che pochi avessero previsto che un abbraccio, una stretta di mano o un caffè con gli amici potessero diventare un pericolo, un atto di incoscienza, un desiderio proibito. E diventa una fortuna avere in casa qualcuno, non dover superare percorsi a ostacoli per incontrare i figli, anche se poi, mancano comunque genitori, zii e zie, fratelli e sorelle, e tante altre persone che qualche volta solo a Natale, o in quei dintorni, si riuscivano a incontrare.
In quest’anno dalle molte ombre, ho festeggiato con insolito calore il risultato delle elezioni USA, che per me ha rappresentato una delle poche luci, ma molto luminosa. La gioia che ho provato è sembrata strana pure a me: ho fatto – letteralmente – i salti, e la mia esultanza chiassosa ha stanato FiglioMinore dal soggiorno e lo ha spinto a chiedermi se avessi bevuto o fumato qualcosa. No, giuro, neanche un bicchierino, una sigaretta, niente. Semplicemente, ero stata praticamente incollata agli aggiornamenti, minuto per minuto, per quattro giorni: per quattro giorni ho seguito numeri, percentuali, commenti, smentite col muso incollato a tutti i siti che sembravano fornire informazioni più affidabili in tempo reale. Se avessi potuto, sarei scesa in strada a danzare e abbracciare le prime persone che capitavano. Un istintivo entusiasmo, una gioia pura, non mediata da niente, come nel 1982 per l’Italia di Bearzot, e con lo stesso urlo liberatorio (da allora il calcio ha perso quasi completamente interesse per me; la Terra, no). E poi ho ascoltato e compreso e anche condiviso dubbi, scetticismi, richiami alla prudenza, ma continua a importarmene poco.
Anche di quella luce mi sono presto dimenticata, e mi fa piacere ricordarla ora, che torno pian piano, e mai del tutto, a uscire di nuovo da quel velo di malinconia che mi accompagna da quando mi ricordo e fa al tempo stesso da protezione e da limite, da coperta calda e da costrizione dentro la quale scalpito per liberarmi. Mi riapproprio anche, in extremis, e non so se definitivamente o meno, ma non importa, della consapevolezza del valore di un desiderio forte, fortemente mio, che continuo ad accantonare per paura di qualcosa, e di cui invece voglio fare la mia forza e la mia luce, ma non contro la fragilità, perché è proprio dalla fragilità che nasce, dalla fragilità che acquista la sua energia.
Quest’anno che non è stato quasi per nessun un anno di nuove decisioni, in cui abbiamo fatto fatica a concentrarci, anche solo per leggere un libro, e le mancanze hanno a volte pesato tanto da spegnere forse persino le idee, o renderle confuse e accavallate, ecco, riappropriarmi di questo desiderio diventa di fondamentale importanza, e quindi l’augurio che voglio fare a chi passerà di qua è questo: riappropriatevi di un desiderio, uno piccolo, grande, che possa realizzarsi in dieci minuti o in dieci anni, ma che sia un desiderio decisamente, intimamente, fortemente vostro. E che l’anno nuovo possa portarvene altri, con la voglia, più forte di qualunque altra cosa, di mettervi sulla strada per farli diventare realtà, qualunque cosa questo comporti.
