Melville & Hawthorne – Valentine’s Day post

Frammenti da alcune appassionate lettere di Melville a N. Hawthorne. Per chi trova eccessivi e troppo idealizzati i miei sentimenti nei confronti di chi sapete.

I due si conobbero a un incontro letterario, e furono entrambi intellettualmente folgorati. Per Melville, però, la folgorazione non rimase a lungo puramente “intellettuale”.

Ho scoperto da tempo che la sintonia letteraria o artistica ha una fortissima carica erotica,  a volte davvero carnale, e chi non ha mai provato questo tipo di infatuazione, o meglio incantamento, tanto dei sensi quanto del cervello, secondo me si è perso qualcosa di prezioso e molto bello.

Melville aveva trentun anni quando nacque questo amore quasi del tutto unilaterale, e a quanto pare lo conservò nel cuore per i successivi quaranta della sua vita.

Quando Moby Dick incontrò alcune recensioni sfavorevoli, Hawthorne intervenne lamentando l’ottusità dei critici ed elogiando il romanzo. Melville rispose così:

Your heart beat in my ribs and mine in yours, and both in God’s… It is a strange feeling — no hopefulness is in it, no despair. Content — that is it; and irresponsibility; but without licentious inclination. I speak now of my profoundest sense of being, not of an incidental feeling. Whence come you, Hawthorne? By what right do you drink from my flagon of life? And when I put it to my lips — lo, they are yours and not mine. I feel that the Godhead is broken up like the bread at the Supper, and that we are the pieces.[Il vostro cuore batte nelle mie costole e il mio nelle vostre, ed entrambi in quelle di Dio. È un sentimento strano – nessuna speranza, né disperazione. Pienezza – di questo si tratta; irresponsabilità, anche, ma senza alcuna inclinazione licenziosa. Sto parlando del senso più profondo del mio essere, non di un sentimento casuale. Da dove siete venuto, Hawthorne? Con quale diritto bevete dal calice della mia vita? E quando io lo porto alle labbra – vedete, sono le vostre, e non le mie. La testa di Dio si è spezzata come il pane dell’Ultima Cena, così mi pare, e noi siamo i pezzi].

A ragione, Melville temeva che simili esternazioni potessero allontanare Hawthorne, di temperamento più freddo, e tuttavia non si contenne:

My dear Hawthorne, the atmospheric skepticisms steal into me now, and make me doubtful of my sanity in writing you thus. But, believe me, I am not mad, most noble Festus! But truth is ever incoherent, and when the big hearts strike together, the concussion is a little stunning. [Mio caro Hawthorne, il diffuso scetticismo si insinua adesso in me, e mi fa dubitare della mia sanità mentale, per ciò che vi scrivo. Tuttavia, credetemi, non sono pazzo, nobile Festo! Ma la verità è sempre incoerente, e quando i cuori grandi si incontrano, l’impatto può stordire un po’].

E a mo’ di post-scriptum:

I can’t stop yet. If the world was entirely made up of [magicians], I’ll tell you what I should do. I should have a paper-mill established at one end of the house, and so have an endless riband of foolscap rolling in upon my desk; and upon that endless riband I should write a thousand — a million — billion thoughts, all under the form of a letter to you. The divine magnet is in you, and my magnet responds. Which is the biggest? A foolish question — they are One. [Non basta ancora. Se il mondo fosse composto interamente di {maghi}, ecco cosa farei. Mi farei installare una cartiera da un lato della casa, sì che un nastro infinito di fogli mi rotolerebbe costantemente sulla scrivania; e su quel nastro senza fine scriverei mille – un milione – un miliardo di pensieri, tutti in forma di lettera a voi. In voi è il divino magnete, e ad esso il mio magnete risponde. Quale è più forte? Domanda sciocca – essi non sono che Uno].

Nemmeno io (forse) arriverei a esprimermi con cotanto slancio, ma d’altra parte invidio a Melville l’avere almeno conosciuto e frequentato per qualche tempo l’oggetto di questi sentimenti così intensi. Per saperne di più, cliccate sul link, l’articolo si basa su un post da Brainpickings.

Si può scrivere senza sporcarsi di “polvere mondana”?

“If I had sooner made my escape into the world, I should have grown hard and rough, and been covered with earthly dust, and my heart might have become callous by rude encounters with the multitude. But living in solitude till the fullness of time was come, I still kept the dew of my youth and the freshness of my heart.”

Con questa citazione, l’articolo del Time che potete trovare qui: Hawthorne History intende provare la misantropia dell’autore della Lettera Scarlatta, il quale, dopo un lungo periodo vissuto in ritiro e in ristrettezze, divenne famoso e per un breve periodo anche ricco grazie a quel romanzo, finendo tuttavia col ripiombare abbastanza presto nelle difficoltà economiche. Tradotta, la frase suona pressappoco così:

“Una più precoce fuga nel mondo mi avrebbe reso duro e brusco e ricoperto di polvere mondana e i rozzi incontri con la moltitudine avrebbero forse indurito il mio cuore. Avendo invece vissuto in solitudine fino che venne il tempo giusto, mantenni la rugiada della mia giovinezza e la freschezza del mio cuore”.

Non ho mai amato Hawthorne, benché sia forse ingiusto dire così: ho provato ai tempi dei tempi a leggere la sua opera più nota senza riuscire a finirla. E mi chiedo oggi se con l’istinto non avessi percepito questa reciproca incomprensione tra l’autore e il mondo. Perché forse, è un pensiero che mi è venuto stasera e prendetelo con le pinze, nel mio leggere in apparenza un po’ come capita, forse un filo conduttore in realtà c’era, almeno tra gli autori che ho amato/amo di più:  anche in quello più atrocemente critico nei confronti dell’umanità (penso per esempio a Swift), si intuisce una rabbia che viene dall’esserci, nel mondo e col mondo, dal vederlo da dentro e dal non riuscire, pur vedendo tutti i suoi difetti, a non amarlo nonostante tutto, pur magari di quell’amore tempestoso e confinante con un odio da amante tradito. Tradito, ma non sconfitto e certo mai imbrigliato e reso semmai più lucido dal fatto che lo spirito di osservazione è acuito tanto dalla delusione quanto dalla passione.