Film 1925 e 1926

Un po’ di film di quegli anni che ho visto soprattutto durante le mie “ferie” passate per lo più a letto con l’influenza, anche se gli ultimi due fanno parte invece delle mie “imprese”degli ultimissimi giorni. Il mio programma per il 1925 l’ho esaurito, mentre per il 1926 me ne restano alcuni, di cui vi parlerò nei prossimi giorni. Enjoy 🙂

La febbre dell’oro, di e con Charlie Chaplin, recensito qui (in attesa di rivederlo, almeno)

Il fantasma dell’opera, di Rupert Julian, con Lon Chaney, Mary Philbin. Norman Kerry. Un altro caposaldo della storia del cinema, quanto meno di quello più popolare. Resta famoso il trucco di Lon Chaney, che come per Il Gobbo di Notre Dame di due anni prima, lo aveva creato personalmente, basandosi sulla descrizione del romanzo di Leroux. Il “fantasma”, un uomo misterioso che non si lascia mai vedere in volto (e uccide coloro che per sventura lo hanno visto), si invaghisce della bella cantante Christine Daaé, e si “prende cura” a modo suo della carriera della ragazza, dalla quale in cambio pretende devozione assoluta. Christine però è innamorata del Visconte Raoul di Chagny…

Il ventaglio di Lady Windermere di Ernst Lubitsch, con May McAvoy, Ronald Colman: Lubitsch è quasi sempre una garanzia, almeno per me, di divertimento intelligente. Classica commedia degli equivoci. Mrs. Erlynne convince Lord Windermere ad aiutarla, rivelandogli di essere la madre di sua moglie, la quale però non sa nulla di lei e la crede morta. Lord Darlington, che è innamorato di Lady Windermere, la convince che tra suo marito e la signora Erlynne ci sia del tenero…

Tartufo di Friedrich Wilhelm Murnau, con Emil Jannings, Rosa Valetti. Una curiosa versione in cui il capolavoro di Molière contro gli ipocriti viene mostrato al nipote di un anziano milionario per metterlo in guardia dalle macchinazioni della governante (Emil Jannings è Tartufo nella recita teatrale).

The Eagle (Aquila Nera), di Clarence Brown, con Rodolfo Valentino, Vilma Banky. Penultimo film interpretato da Valentino, e svolta decisa verso film in cui l’azione avesse un ruolo almeno quasi altrettanto importante della seduzione. Il cosacco Vladimir Dubrovsky (Valentino), viene a sapere che il malvagio signorotto Kyrilla si è impadronito delle terre di suo padre e vi esercita un potere tirannico e crudele. Assume allora l’identità di Aquila Nera, una sorta di Robin Hood mascherato, ma entra anche nella casa di Kyrilla sostituendosi all’uomo che avrebbe dovuto fare da tutore alla figlia di questi. Della quale naturalmente si innamora…

La vedova allegra di Erich von Stroheim, con John Gilbert, Mae Murray (e vede anche una delle primissime, se non la prima apparizione, non citata nei credits, degli allora sconosciuti Clark Gable e Joan Crawford). Basato sull’operetta di Franz Léhar, la seconda trasposizione sullo schermo – dopo una versione ungherese del 1918 del grande Michael Curtiz – della storia del bel principe Danilo che non può sposare l’amata Sally perché è una ballerina. Non sono riuscita a trovare il film integrale, solo alcuni brevi spezzoni, e questo rende in effetti molto difficoltosa una recensione, per quanto amatoriale. Quello che ho visto sembra delizioso ma sembra non si trovi neanche il dvd.

The General (Come ho vinto la guerra): Uno dei film di e con Buster Keaton che ho più apprezzato. Un macchinista innamorato del suo lavoro e della sua locomotiva (the General, appunto), oltre che della “bella del sud” Annabelle, si trova, durante la guerra civile americana, a diventare un eroe delle forze confederate per cause del tutto indipendenti dalla sua volontà e naturalmente in maniera del tutto rocambolesca.

The Black Pirate: Ah, che meraviglia i film di Douglas Fairbanks… Questo ha a mio parere qualcosa meno di altri, benché sia considerato uno dei suoi migliori, ed è certamente un concentrato di azione, coreografia, ironia e ottima sceneggiatura come sempre. Crudo, per un film di cappa e spada dell’epoca, beneficia comunque della notevole eleganza del bel Douglas. Ad esempio, non teme affatto né il realismo degli sbudellamenti (che avvengono fuori scena, con un effetto forse persino più inquietante), né di far capire perfettamente quale è il rischio che correrebbe la damsel in distress, se il Pirata Nero non accorresse in suo soccorso con perfetto tempismo. Pirata che come nella migliore tradizione di queste storie, è in realtà un nobile che cerca vendetta, in questo caso, dopo che i pirati hanno assaltato la nave su cui viaggiava e ucciso suo padre.

Faust: Ancora Murnau (ultimo film da lui diretto in Germania, prima di trasferirsi negli USA), ncora Emil Jannings nel ruolo evidentemente congeniale di un malvagio dal volto “satanico”, qui più che mai appropriato, trattandosi di Mephisto. Dispiace sapere che dopo aver girato L’angelo azzurro con Marlene Dietrich, Jannings si sia dato alla propaganda nazista e a opere di regime (la Dietrich fu molto sprezzante con lui per questo). Film costosissimo, questo Faust, che non recuperò i soldi spesi. Per via di una scommessa tra Mephisto e un arcangelo, Faust viene corrotto dal demonio, che gli concede poteri dapprima per aiutare la sua gente vittima di un’epidemia (scatenata dallo stesso Mephisto), poi per scopi sempre più egoistici, fino al riscatto finale. Film dalle atmosfere cupe, ma sicuramente suggestive.

Il figlio dello sceicco: l’ultimo film interpretato dallo sfortunato Rodolfo Valentino, che morì ancora prima che uscisse nelle sale, di peritonite, a soli 31 anni. Certo questo ha contribuito a creare la sua leggenda, ma penso che sicuramente lui avrebbe preferito altrimenti. Qui interpreta tanto il protagonista Ahmed quanto suo padre, lo sceicco, e ancora una volta la co-protagonista è Vilma Banky, la danzatrice di cui Ahmed si innamora perdutamente, salvo poi convertire l’amore in odio quando crede che lei lo abbia tradito, facendolo cadere nelle mani dei banditi… Progetta allora una vendetta, “nello stile Valentino”. Considerata una delle migliori interpretazioni dell’attore, che aveva trovato, già con Aquila Nera, quell’equilibrio di passione e azione in grado di far piacere i suoi film non solo alle donne, ma anche agli uomini.

Michel Strogoff: superproduzione francese per la regia di Viktor Tourjansky, con un cast in gran parte composto da rifugiati russi scampati alla Rivoluzione del ’17 e un bravissimo protagonista. Alcune parti avvincenti, ma molte scene di troppo e tempi lunghissimi, ben più di quanto sia giustificato dall’epoca.  L’ingiallimento della pellicola certo non aiuta. Certe scene di guerra mi pare abbiano poco da invidiare anche a film cruenti come Salvate il soldato Ryan, fatte naturalmente le debite proporzioni. Nel corso di una sollevazione dei Tartari, Strogoff viene inviato dallo zar ad avvertire il fratello che uno degli ex ufficiali dell’esercito è in realtà un traditore passato tra le file dei ribelli. Nel viaggio si innamorerà di una ragazza e naturalmente andrà incontro a une serie innumerevole di rischi. Come siano riusciti a renderlo così esasperantemente lento resta un mistero.

Nosferatu

Bene, Nosferatu l’ho finito. Per l’epoca doveva essere davvero spaventoso. Personalmente detesto lo splatter (e in questo mio excursus storico del cinema non mi chiedete di cimentarmi con Argento e compagnia sanguinante, perché non lo farò), mentre qui ho apprezzato il fatto che si lasciasse molto spazio all’immaginazione. Credo che fosse proprio una caratteristica di quei tempi, non si vedevano scene esplicite di omicidi così come non si vedevano quelle erotiche. Per dire, Nosferatu passa per avere un “contenuto erotico”, che sicuramente si intuisce ma non si vede granché. Il film non ebbe un grandissimo successo di pubblico e subì anche delle vicende giudiziarie che rischiarono di farlo sparire per sempre, non per le presunte scene “scabrose” ma per le beghe con Bram Stoker, al cui Dracula la storia è ispirata e con cui non ci si riuscì ad accordare per i diritti. Un tribunale ordinò di distruggere tutte le copie ma una si salvò per miracolo.

Pare fosse inusuale, per quegli anni, la scelta di girare effettivamente il film nei luoghi in cui è ambientato, nell’Europa dell’est, con poche ricostruzioni in studio. È sicuramente una scelta che paga, il realismo del paesaggio “vero”, unito a una visione più espressionistica, particolarmente (ma non solo) negli interni del castello, aumentano il senso di inquietudine, così come i giochi delle ombre.

Quello che non mi è piaciuto molto è la recitazione: benché una certa teatralità fosse comune nel primo cinema, qui secondo me si esagera, le espressioni finiscono per cadere nel ridicolo, almeno a tratti. In molti momenti, inoltre, l’ho trovato un po’ lungo e pesante. Ci sono poi un paio di messaggi abbozzati ma non sviluppati, quello della punizione di chi si fa beffe di ciò che è “immateriale” (il protagonista Hutter che ride del libro misterioso che narra di Nosferatu, e dà l’avvio alla immane serie di tragedie) e quello della vittima sacrificale (su cui la folla inferocita scarica la colpa dell’epidemia che ha colpito il paese). Mi sembrano un po’ cose piazzate lì così senza sapere bene cosa farne. Il concetto di fondo resta comunque, al di là dell’ombra di morte che aleggia un po’ su tutti noi, quello della sete di sangue; forse più efficace e di più immediata comprensione allora, quando la prima guerra mondiale era appena finita e tanti erano stati quelli che si erano sacrificati per fermare l’epidemia di morte. Lo stesso regista Murnau aveva partecipato alla guerra, nelle forze aeree tedesche. Non mi pare comunque che prenda una posizione netta e non lo definirei certo un film di denuncia.

Murnau si trasferì a Hollywood nel ’26 ed è noto anche per aver diretto in seguito film acclamati come Faust, The Last LaughSunrise.  Morì in un incidente d’auto nel ’31.

Due horror anni ’20

Sto provando a guardare Nosferatu di F.W. Murnau un film molto noto del 1922. Nello stesso anno dovrei poi passare a Dr. Mabuse di Fritz Lang, un altro caposaldo del cinema horror. Non garantisco che riuscirò a finirli, penso stasera di riuscirci con Nosferatu, al momento è inquietante ma non particolarmente spaventoso. Vi saprò dire, spero che non mi vengano gli incubi, non amo il genere ma nella mia personale ricostruzione di una storia del cinema che abbia qualche significato, non potevano mancare. Almeno come tentativo… Direi che il problema qui non è tanto il mio terrore dei vampiri, quanto quello dell’espressionismo tedesco!