Non è forse per trovare un senso a un’esistenza altrimenti inspiegabile che tanta gente cade vittima di ogni genere di guru, di astrologi, di capi di sette, di veggenti e di profeti, di dei veri e fasulli?
Un tempo, molto prima dell’invenzione dei sofisticati strumenti di navigazione elettronici del giorno d’oggi, con i quali si può stabilire la propria posizione con pochi metri di approssimazione, si navigava a stima, ovvero senza altro aiuto che la rotta e la velocità.
A quei tempi, i bravi navigatori sapevano che una posizione calcolata in quel modo diventava sempre meno affidabile man mano che ci si allontanava dal punto di partenza. (…) Una posizione stimata viene dunque sempre rappresentata come un cerchio. E più a lungo si naviga, più il cerchio si allarga. Il navigatore avveduto tiene sempre conto di questa incertezza, allarga in continuazione il suo cerchio, senza illudersi che la sua nave si trovi al sicuro, al centro del cerchio, invece che esposta ai pericoli, alla sua periferia.
In mare si era dunque obbligati a vivere nell’incertezza. In mare era più pericoloso credere di sapere troppo che troppo poco. In mare si era obbligati a mettere l’inspiegabile tra parentesi, a sospendere la propria ricerca di significato, a lasciare che l’inspiegabile restasse inspiegato senza che per questo occupasse tutti i propri pensieri.
(…) Paradossalmente, proprio adesso che le nostre conoscenze sembrano aumentare sempre più, si direbbe che abbiamo un bisogno di fede sempre maggiore. (…)
Quello che si ha tutte le ragioni di chiedersi è perché mai dovremmo credere qualcosa di cui non sappiamo niente. Perché facciamo così fatica a vivere nell’incertezza? Perché sono così pochi quelli che osano vivere a navigazione stimata?
(Björn Larsson, La saggezza del mare, Iperborea, traduzione di Katia De Marco, p. 67)