I’m flying

Dormo poco in questo periodo. Mi capita spesso di svegliarmi verso le due, le tre di notte e sentir poi suonare le tre, le quattro, le cinque… poi assopirmi per svegliarmi definitivamente tra le sette e le nove, a volte anche prima, mai più tardi. Dovrei alzarmi e scrivere, tanto so che quando è così, non c’è verso. Non ho sonno, non mi agito, non sono affaticata. Solo, non dormo. Le parole da scrivere scalpitano, questo sì. Forse è segno che dovrei osare davvero, alzarmi, scrivere a quell’ora in cui l’istinto è più attivo, la mente razionale meno allerta.

Stanotte mi sono alzata, ma solo per uscire fuori un momento a guardare il cielo. Non le stelle cadenti, sapevo già che non ne avrei viste, quelle che mi interessano adesso sono le stelle che restano, quel magnifico insieme di puntini che illuminano un percorso, e che ritrovi sempre là, al loro posto, che i desideri li rischiarano, più che realizzarli, perché non è quello il loro compito.

Oggi, nonostante tutto, sono felice. Mi prendo cura di alcune cose importanti, concrete, ed è uno dei modi di prendermi cura dei pensieri che ti appartengono. Non ti aspetto solo in quel luogo tra il sonno e la veglia, ti aspetto mettendo i piedi in terra e ascoltando il modo in cui quel contatto mi vibra dentro, ti aspetto nelle parole che vorrei inventare e in quelle che penso di sapere e che cerco inutilmente, ma ti vivo profondamente nelle parole che arrivano e che metto sul foglio, anche quando poi decido di cambiarle. Cerco nuove angolazioni, strade diverse, mi ribello ed è la tua ribellione poetica, così forte, così impregnata di mondo, di persone, di luoghi.

E penso che questo è un anniversario di vita, non di morte.

I’m flying
Yes, my love”

(da: The World According to Garp)

Incipit

Qui di notte il cielo è più grande e più scuro, non puoi chiedergli niente. La volta stellata è magnifica, ma il suo manto nero, lucido e scintillante, la luce pura degli astri, non hanno niente da spartire con le nostre vite confuse, con le nostre penombre intricate. La mappa del suo territorio è perfettamente uniforme, senza sbavature. L’ha creata il Grande Spirito all’inizio del mondo, e nessuna guida ha dovuto disegnarla con i suoi passi, volgendo il naso all’aria in cerca di odori lontani e l’orecchio a terra per incontrare il passato di tutti gli uomini e gli animali che l’hanno percorsa. Gli uomini sbagliano: per quanto abili siano le nostre guide, ogni generazione dovrà correggere qualche piccolo o grande errore di quelle che l’hanno preceduta. Il cielo non ha errori, non ha odore né tracce, da cui nascano intuizioni improvvise su ciò che è stato e ciò che potrebbe essere. Le stelle non sognano. Non hanno una lingua che un interprete possa decifrare per far da tramite tra i loro pensieri e i nostri. Mi chiamavano Donna Uccello, tuttavia, che il Grande Spirito mi perdoni, io ho sempre preferito camminare che volare, e ho scelto quello che potevo capire coi miei piedi, il mio naso, gli occhi, le orecchie, la bocca e le mani. Ho scelto l’incontro e l’esplorazione, il corpo e le parole, la terra di cui potevo imparare a leggere i segni, perché se impariamo a leggere i segni della terra possiamo forgiarla, dare senso a ogni albero, sasso o corso d’acqua, ma non potremo mai forgiare il cielo. Il cielo non ci appartiene, e noi non gli apparteniamo.

Così inizia la mia prossima storia, e questa è in un certo senso la primissima presentazione della mia protagonista, chissà se qualcuno, sulla base di queste scarne informazioni, capirà di chi si tratta (è realmente esistita, questo va detto).

E ancora stelle

La magia non si è ripetuta uguale, no. Però io mi sono davvero svegliata alle tre e sono davvero uscita sul terrazzo a guardare a naso insù. La notte stellata era stupenda.

In lontananza, il fischio di un uccello, forse un assiolo, o un allocco, pare ce ne sia uno qui nei dintorni. Appena appena lugubre, quel tanto che basta, in armonia perfetta con le stelle.

Due gatti hanno cominciato ad azzuffarsi, da qualche parte, sentivo le loro grida indignate, i soffi, i miagolii di un corpo a corpo felino.

Dietro le colline, verso sud, si intuivano i lampi di un temporale, molto meno violento, tuttavia, di quello che doveva aver infuriato qualche ora prima dalla parte opposta.

Poi, un rumore secco tra le frasche. Mi sono riscossa dalla mia contemplazione, ho deciso di rientrare. Già quasi sulla soglia di casa, ho fatto qualche passo indietro. Mi sono accorta che avevamo lasciato aperte le imposte e sono andata a richiuderle. Un ultimo sguardo veloce al cielo, da quel diverso angolo visuale. La prima stella cadente. Mi sono fermata quasi incredula. Dopo qualche istante, la seconda e la terza, in rapida successione.

Non ero confusa come l’anno scorso, questa volta. Oh, certo, di desideri ne avrei infiniti, come tutti. Ma in questo momento ne avevo tre in mente, molto precisi. Almeno uno di questi, sta quasi solo a me realizzarlo. Ma ogni tanto un piccolo segno da poter interpretare come consenso e sostegno mi fa bene. E’ stato come voltarsi indietro, prima di intraprendere un cammino, e sentire, più che vedere, una presenza amica, intuire un piccolo gesto, appena un cenno, e sapere però che significa vai avanti, non aver paura, la strada si farà da sola nel corso del viaggio. Io, comunque, ci sono.

Gufi (e non solo)

Tra le mie (non poche) contraddizioni c’è questa: ho paura del buio e lo amo profondamente. In questi pochi giorni da sola ho riscoperto di essere un gufo (in realtà lo sapevo già, o lo sospettavo. A sproposito: avete visto Il Regno di Ga’Hoole – La leggenda dei guardiani? Un bellissimo film, secondo me, non solo per ragazzi)). Mi piace scrivere dopo le undici di sera, possibilmente poi tra l’una e le quattro, le cinque del mattino. Poi non mi sveglio neanche tardi al mattino, forse sono uno strano incrocio di gufo-allodola che al pomeriggio prende sfumature bradipesche e torna poi a svegliarsi dopo le sei di sera.

Ma il buio, dicevo, che invenzione meravigliosa. Il buio, il silenzio, la notte, che sia o meno stellata, che ci sia o meno la luna. Intendiamoci, i cieli trapunti di stelle hanno un fascino particolare e innegabile, e così la luna. Ma è l’oscurità in sé a essere magica, un richiamo per me (l’ho pur detto che sono un po’ strega, del resto). Eppure i rumori si amplificano, il più innocente assestamento del legno di un mobile prende sfumature inquietanti, non parliamo di imposte sbatacchiate dal vento e scricchiolii sinistri, passi al piano di sopra che sembrano minacciosamente vicini, sibili del vento tra le tende e insomma, tutto l’armamentario.

Forse è che la paura non è che una sola di un intero pacchetto di emozioni che si espandono, è come vivere tutto un po’ più intensamente. Se vi è mai capitato di trovarvi su una spiaggia o uno scoglio quando è buio, avrete certo caso che il mare, di notte, è bellissimo, una stoffa morbida che non è nera ma neanche blu, un colore diverso da qualunque altro, a cui anche la più minuscola luce dona scintille guizzanti di un altro di quei blu-grigio-argento che non esistono altrove in natura.

Poi non pensate che sia un tipo tenebroso. Strega sì, amante dei Paesi nordici ma anche del sole, del caldo; il mio animale preferito è il lupo, mi sono simpaticissimi i gatti neri e i  gufi (ultimamente anche i pipistrelli, ma quella è colpa di un libro, anzi tre) ma anche i canarini, per dire, gli scoiattoli e i canguri (sparo a caso, tanto per farvi capire che non devono necessariamente essere incarnazioni demoniache). Per non parlare poi dei pettirossi, ma lì una ragione c’è, per quanto strampalata.

Per farla breve, non sono normale neanche come gufo…

La tua notte tra le dita

Foto presa dal web

Sento la tua notte tra le dita, come morbido velluto scuro.
Vorrei esporre la mia bocca alla rugiada del tuo sguardo,
arresa a un abbandono illimitato,
le tue mani sulle mie labbra, il silenzio,
la gola scoperta, l’attesa, il palpito,
l’assaggio, i passi, il rosso dell’invito, l’acqua sulla schiena,
la terra e il fuoco tra le braccia,
l’ombra della tua quercia che m’accarezza il cuore,
il tuo giardino sul lago riflesso nei miei occhi
e quelle tenere spine sul tuo petto, di cui hai riso tanto
da farmene irragionevolmente innamorare;
le tracce nella neve, le corse sullo snowboard,
la vita a sorsate e morsi, il frutto, polpa e bucce,
i giochi a stupire, le storie per bambini e il sole nella voce,
tutto si riversa in quell’attimo bruciante,
oro fuso, la memoria smeraldo del mio sonno
sull’incavo della tua spalla, e poi il risveglio
e dopo tu, tu sorridi,
e io vivo e muoio nella luce di un respiro.