Tramonto in collina / Sunset over the hills

In una delle foto, quella in cui il cielo è più scuro, a guardar bene si intravede anche qualche frammento di luna tra le nubi. Ma le luci della prima sembravano un dipinto.

In the picture with the darkest sky, looking closely you can see a fragment of the moon through a crack in the clouds. But the lights in the first one look like a painting, don’t they?

Imperfezioni

Ho viaggiato molto nella mia vita. Ho novant’anni e tre mesi e li porto benissimo; non perché non abbiano lasciato rughe a segnare la mia faccia quanto basta, ma perché sono tutti miei e li curo con orgoglio, li conto con la precisione che meritano.

Ho visto la forma delle nuvole cambiare infinite volte, e tutte le ho in mente. I paesaggi che ho contemplato con pazienza o sfuggito in fretta hanno dato forma al mio volto e alla mia vita. I miei giorni sono fatti di ciò che è accaduto, di ciò che ho sognato e di ciò che è stato possibile anche per un singolo momento, le speranze, i desideri e le opportunità, anche quelle che non abbiamo realizzato, contrariamente a quello che si dice, contribuiscono eccome a fare la storia. La nostra storia. Ma se è vero che gli eventi del mondo ci cambiano, anche le nostre piccole storie entrano a far parte di quella più grande.

So che i colori, anche i più luminosi, non sono che illusioni d’ombra, ma senza i colori a che servirebbe la luce? O era il contrario forse? Alla mia età mi perdonerete qualche falla nella memoria e nella logica. Ricordo comunque di tutte le volte in cui il sole ha cambiato la mia percezione di un luogo, gli angoli improvvisamente esposti, i piccoli segreti svelati. Ma ricordo anche delle piogge, i marciapiedi lucidi, il paesaggio che vira sui toni del seppia come una fotografia scattata oggi e poi fintamente anticata, quando gli alberi non sono che forme grigio scuro nell’infinito grigio chiaro del cielo. E ricordo di aver pensato che forse è questo il senso che cerchiamo con tanto accanimento, è tutto qui, essere piccole forme temporanee e mutevoli che interrompono l’uniforme infinito, nuvole in continuo movimento, illuminate per un istante prima di svanire in pioggia e riportare la vita in altri modi, in altri luoghi. Utili? Credo che dentro di noi sappiamo che senza le nuvole non ci sarebbe nulla di tutto il resto, ma non le amiamo per la loro utilità, le amiamo perché nemmeno l’infinito avrebbe senso senza qualcosa di effimero. La mia età potrà ancora una volta essere invocata come scusa per questo che sto per dire, se le troverete farneticazioni di un vecchio e nient’altro, ma se la bellezza, il senso, l’amore e tutto quello che vive fossero nascoste nell’imperfezione? Un signore più saggio di me credo abbia detto un giorno che solo gli sciocchi non hanno neppure un rimpianto, e può essere che se tornassi indietro vorrei cambiare qualcosa. Ma la maggior parte delle mie imperfezioni me le tengo molto strette e molto care.

Colori

La luna canta stonata con l’allegria degli ubriachi
e ondeggia pensosa in questo cielo sballato di cobalto.
Lo sapevi, tu, che cobalto significa folletto?
Non è affatto strano, dunque, di vederlo in certe sere
folleggiare dispettoso tra spennellate di nuvole
colorate con l’estro dolcemente matto dei bambini.
Che ne dici di una nuvola verde, riflesso di lago,
ricordo d’abeti, di larici o di alberi da frutto,
rispecchiamento di speranza, smeraldo d’acqua,
un prato salito troppo in alto appeso a un palloncino?
O una rossa, fiamma e rubino, rabbia e passione,
anche il sole è una ciliegia, tondo e succoso, infinito.
Già l’oro dei sogni e del silenzio, e l’argento
delle parole e della musica dei flauti
s’inseguono invadenti negli spiragli della sera,
ma inventiamone altre, una color viola, in un cielo
di lavanda e ametista, l’amore del tempo e il lutto
per ciò che non è stato, il cielo di Tiburon prima di sera
e poi una blu, vuoi? Come la paura, l’onda, goccia
di zaffiro, fiordaliso, ala di colibrì, rosa d’oltremare,
ma di questi colori io non so che farne
senza il tuo arcobaleno quotidiano
ora qui c’è solo il bianco delle distese vuote
la nebbia opaca di un cielo da neve senza neve,
il nero della bocca del drago, l’entrata verso il buio
in cerca del tesoro sepolto forse dentro il ventre
o nel cuore, giallo come un crisantemo di stagione
come una lacrima rispecchiata nel sole, il respiro
che si perde nel vento e scompare, la linea tracciata sul binario
per evitare il pericolo del treno in corsa e del viaggio
ma questo è un dolore maleducato e non aspetta
ci sono solo io in attesa e credo a quello che tu credi
dico di non aver paura e mento, ma tra te e l’infinito
sceglierei infinitamente te.

Diario di viaggio 2. 29.10.2016 – Ancora in volo (ché San Francisco non è mica dietro l’angolo)

Dovessi vivere viaggiando, dicevo alla fine della prima puntata del diario, ci sono cose a cui non mi abituerei mai. La vigilia, il  nodo allo stomaco che ti prende già prima, all’idea di partire, quando la felicità lascia per un istante il posto al pensiero chi me l’ha fatto fare; il nodo in gola di chi lascia qualcosa quando parte e qualcosa quando torna. I controlli infiniti, togli le scarpe, metti le scarpe, via la giacca e la cintura, via gli oggetti dalle tasche, la fila a serpentina con una dozzina di spire e in piedi tre-quattro ore ad aspettare, i documenti rivisti venti volte, le domande assurde sui moduli (hai intenzione di commettere atti di terrorismo?). La ricerca del gate, il cielo degli aeroporti; la rincorsa sulla pista, il vuoto d’aria al decollo. L’alba in aria; la città vista dall’alto (e anche le montagne e i mari); i nembocumuli sospesi nel cielo, leggeri come piume, (credo si chiamino così, Francesco mi correggerà se sbaglio); e i nembostrati(?), invece, che formano un pavimento di nuvole, un pesante materasso di lana sul quale l’aereo sembra potersi appoggiare comodamente; le onde irregolari di un mare rovesciato, bianco a tratti come cotone o neve, in altri momenti grigio come le ali dell’aereo, o ancora velato di giallo, rosa o arancio secondo le ore del giorno; la cresta dorata che fa da contorno e da confine tra le nuvole e il cielo quando il sole sorge, in quella posizione così strana, poi. I colori tanto nitidi da sembrare finti, e un attimo dopo invece d’improvviso quella specie di impalpabile polvere di talco rosa che appare al di sopra dei monti e avvolge l’ala del velivolo nella foschia di un mattino tra le nuvole, immobile e irreale come l’arto gigantesco di un uccello senza penne che si abbandona alla corrente, parte esso stesso della magia del cielo. Persino la condensa sui finestrini si tinge di rosa e oro.

Come una bambina, mi stupisco di tutto, assaporo anche l’orrido caffè graziosamente offerto dalla compagnia francese. Fa parte anche quello dei sapori del viaggio!  Di tanto in tanto una folata più forte delle altre fa ondeggiare appena l’apparecchio, ma subito si rimette in equilibrio per il volo planare. Non mi sorprende che il volo passi in un lampo, è già ora di riallacciare le cinture, siamo in arrivo a Parigi. Neppure al colpo dell’atterraggio mi abituerò mai. E’ anche un inizio, ogni volta uno nuovo, un’avventura diversa. Chissà se sul volo Parigi-Seattle riuscirò a dormire un poco. Qualcosa mi dice che sarà difficile. Mi sono riempita gli occhi d’incanto, la meraviglia è iniziata. Subito.

(Le foto sono ancora le stesse dell’altra puntata. Le altre iniziano da Seattle in poi) 🙂

Diario di viaggio 1. 29.10.2016 -In volo

Ripartiamo dal principio.

Da oggi pubblicherò ogni giorno, più o meno in ordine, un frammento del mio diario di viaggio a San Francisco, accompagnato a volte da qualche foto. Per la maggior parte (sono circa 900 in tutto…) vi lascerò il link al mio nuovissimo account di Instagram, non per altro ma perché lo spazio sul blog sta finendo 🙂

Comincio quindi dalla partenza, copiando dal mio quadernetto (in realtà un quadernone). Alcune di queste foto le avete già viste, ma mi sembrava giusto riproporle perché a questo contesto appartengono.

29/10 h. 7.25-9.00: volo per Parigi.

La prima tappa è iniziata! Gli aeroporti mi creano sempre un po’ ansia ma il nostro è piccolissimo, impossibile perdersi.Passati i controlli che mi agitano sempre, ma il volo era nazionale e i documenti essenziali li avevamo quindi almeno sul primo aereo ci siamo saliti. Questa è fatta!

Le luci dell’alba dall’alto sono pazzesche! A un certo punto si spegne tutto e sembra sia ancora notte, non ci si vede abbastanza per leggere e anche scrivere diventa difficile, ma non ci rinuncio. Dormono quasi tutti, dopotutto siamo arrivati in aeroporto poco dopo le 5:30, ma io sono ben sveglia.

Dovessi vivere viaggiando, so che ad alcune cose non mi abituerei mai… ma quali siano lo rivelerò nella prossima puntata 😀

Di rose e viole, castelli e colline, nuvole e mare

L’oro e l’argento, le rose e le viole nel cielo, solo ad alzare gli occhi mentre si cammina, praticamente in pieno centro città, appena sopra lo stadio e la stazione (ci credereste?), e proseguendo poi per Righi, tra castelli e colline, fino a vedere il mare dall’alto dei monti, ma senza aver fatto più di un’ora a piedi. Se cerchi la bellezza, la bellezza trova il modo di raggiungerti.

Stamattina Genova si presentava così…

Forse voleva convincermi a non desiderare di vivere altrove e potrebbe anche riuscirci. Genova non si ama perché non se ne può fare a meno, la si ama per una scelta rinnovata di giorno in giorno, rinnovata a fatica, dando la priorità alla bellezza a costo di dimenticare altre cose, la popolazione che invecchia, le opportunità gettate al vento, i salotti buoni dove tutto si discute e nulla si conclude, la perenne indecisione di chi dovrebbe gestirla, addirittura i tentativi di spegnerla, dimenticando che non è possibile, perché Genova ha il mare, e il mare lambisce le sue case come un amante tenero e irrequieto, pronto a sollevarsi come una furia contro chi le fa del male. Genova dolce e severa, aspra e forte, riservata e fiera, antica e contemporanea. Genova che ovunque ti giri ti apre sentieri nuovi, viottoli inattesi, infinite possibilità di esplorazioni e scoperte. Io continuo a desiderare di vivere altrove, ben sapendo che il prezzo sarebbe un consistente pezzo di cuore perduto qui tra i caruggi e la luce del Mediterraneo.

P.S. le foto non so perché sono in ordine inverso: le ultime sono quelle che ho scattato più presto… 

Di questo cielo non mi stanco

20160816_064519

Di questo cielo non mi stanco mai. Potrei vivere creando storie con le nuvole, rubando loro i pensieri, le forme e la fantasia, potrei scriverci sopra. Usare quelle bianche come bloc-notes per prendere appunti, quei pensieri improvvisi ed effimeri, che se non li acchiappi subito svaniscono. Sulle nuvole nere scriverei in lettere d’oro, non per fermare la pioggia, no, anzi, la pioggia saprebbe allora di essere preziosa, non solo agli occhi di chi gioca con le parole, ma agli occhi di chiunque guardi.

Ancora un’alba, è di un paio di giorni fa, ma metto nel forziere anche questa. Stamattina ho scritto (un pezzo di libro, intendo) e non ho nemmeno pianto. Beh, avevo già dato ieri. Nel pomeriggio ho lavorato e da ora riprendo a scrivere. Ho ancora un po’ paura, ma non mi fermo, se piango va bene, credo, vuol dire che quello che scrivo è necessario, almeno per me. Per il resto si vedrà. E’ come se avessi in mano tanti fili da gomitoli diversi, di tanti colori. Ogni tanto si aggrovigliano. Ma credo sia importante intrecciarli tutti, perché ogni sfumatura ha senso non solo in sé, ma per come si affianca a tutte le altre