Ar Ghàradh – Our Garden – Il nostro giardino

Cèad mile fàilte! Welcome! Benvenute e benvenuti con tutto il cuore!

Avendo lontane radici irlandesi e pù vicine radici inglesi, oltre a quelle italiche, ho cercato alcune parole in gaelico irlandese che fossero in qualche modo legate ai giardini. La mia passione per la terra sta prendendo il suo giusto spazio, ossia quasi tutto il mio tempo libero, tranne quello dedicato alla scrittura, alla lettura, ai viaggi, a cinema/serie TV e teatro. Per ora riesco anche a lavorare… non so per quanto ancora!

E così ho deciso di creare una sezione del blog dedicata ai lavori della terra, per così dire. Cogliendo l’occasione dal fatto che un paio d’anni fa l’alluvione ha fatto crollare gran parte del muro, riducendo la zona così (l’immagine è sfocata ma credo renda l’idea):

Poi, nel corso dei lavori, quella parte del giardino (in pratica, quasi la metà) si presentava così:

Ar Ghàradh

E a muro nuovo finito, così:

Un deserto pietroso, con una media di mezzo quintale di sassi per metro quadrato ed erbacce con le radici di piccoli alberi, da lavorare praticamente tutto a mano, armati di vanga, zappa e rastrello (beh, fa bene sia per la linea che per il diabete!). Il che significa, in sostanza, che abbiamo dovuto/potuto partire praticamente da zero: la situazione ideale per raccontare come un giardino vive e prende forma – con tutte le piante che man mano vengono seminate, propagate per talea o acquistate e viste crescere.

Da allora sono trascorsi poco più di quattro mesi, e nei prossimi post di questa sezione vi racconterò gioie e dolori di una giardiniera dilettante e un po’ disordinata, con tanto amore per le piante (da fiore, ma anche da orto) e i giardini inglesi, tanta buona volontà, corporatura (abbastanza) esile ma braccia forti, e una certa esperienza sul campo (ehm), affinata grazie a Internet e a molti tentativi ed errori, ma anche non poche soddisfazioni. Prendersi cura di creature viventi procura sempre molta gioia, che si tratti di figli (con relative ansie), animali (vero, piccola Principessa di casa?)

o, appunto, vegetali.

A presto!

E se, invece…

Immagine presa da qui

Un imperativo a metà mi ha accompagnata per tutta la vita: focalizzarmi. Dico a metà, perché sebbene lo sentissi come una necessità impellente, metterlo in pratica è stato sempre tutto un altro paio di maniche. Avrei voluto essere un’esperta conoscitrice di cinema (e, ultimamente e in misura più limitata, anche di TV), oppure parlare correntemente sette lingue, oppure avere una vastissima cultura letteraria, oppure essere una studiosa di relazioni internazionali di fama, il che implica naturalmente un considerevole interesse per la politica, nel senso presumibilmente più nobile del termine, ma poi che dire della musica? Beh, quella più che altro l’ho sempre coltivata da ascoltatrice, ma strimpellavo un paio di strumenti, e se ci avessi dedicato più tempo… Mi sono dilettata varie volta con la cucina, e ho accarezzato l’idea che avrei potuto anche (oppure) studiare cucina seriamente. In tutto questo, avrei voluto avere una casa sempre in ordine e pulitissima, essere sempre impeccabile non solo quando esco, e avere un sito professionale pieno di contenuti, scritti, audio e video coinvolgenti e molto ben confezionati. E non ho ancora parlato di uno dei più importanti aspetti della mia vita, oggi purtroppo difficilmente raggiungibile in tempi di pandemia, ma di cui vorrei occuparmi a tempo quasi pieno (oppure): il giardino.

E se, invece, dovessi limitarmi a prenderne atto, fare pace, alla mia quasi veneranda età, con il fatto che tutte queste cose hanno per me un valore?

Unire, combinare, affratellare, innestare. Cosa implica questo? Non vorrei proprio continuare ad aprire e chiudere pezzi in maniera del tutto disorganizzata, secondo l’uzzolo del momento. Ma continuare a riflettere e poi agire in base a qualcosa di molteplice. Buttare giù idee e trovare un modo per metterle insieme. Magari non un piano, perché mi sa che ai piani, in senso stretto, sono altamente allergica. Ma qualcosa che gli somigli abbastanza da poter finalmente mettere tutte queste idee, questi pezzi di vita e di passione, a disposizione di qualcosa di concreto, per me, e se possibile anche per altri. Qualcosa di variegato, composito, ma in qualche modo intero e non più spezzettato.

E se, invece…

Il blog (e la scrittura): passione indisciplinata

Sono disordinata, sconclusionata, disorganica, lo sapete. Non sempre, qualche volta. Per scelta, più spesso che no. Faccio duemila cose perché ne inizio cinquecento e poi devio, vado un po’ qua e un po’ là, ne incontro altre, mi lascio incantare e perdo la strada, trovo altri sentieri nascosti.

Tutto questo per dire che ho iniziato tante rubriche e sono anche riuscita, per qualche tempo, a seguirle con una certa regolarità, ma credo che questo non sia il momento adatto per proseguire in quel modo. Scriverò, d’ora in poi e non so per quanto, forse per sempre, quello che voglio quando ho tempo e quando mi viene, per cui può essere che un giorno posti tre articoli, o chissà, magari quattro o cinque, e poi non scriva per una settimana. Come già sta accadendo, del resto, sto solo prendendo maggiore consapevolezza del fatto.

Scrivere è una fatica, bellissima, ma una fatica. Molta della sua bellezza sta, per me, nel fatto che è una fatica non organica, non sistematica, indisciplinata. Alla fine, mi ci sono voluti oltre cinquant’anni, ma ho capito che ogni volta che comincio a fare qualcosa con una cadenza fissa, perdo la passione, e quella, proprio non voglio perderla.

Quindi ecco, volevo dirvi, non aspettate il Robin’s Monday o il Sabatoblogger o il Cinema del Martedì, o la Lettrice della Domenica (e poi la musica, allora? e i viaggi? e…) perché mi sa che tutto potrà succedere in qualunque giorno della settimana…

Robin’s Monday – Piccole gemme – resilienza

Sto lavorando e purtroppo non riesco a fare di più, ma il lunedì di Robin non voglio saltarlo. Una piccola frase, ma riassume bene quello che è stato l’amore di Robin per il suo lavoro,  sempre svolto per passione, mai inseguendo il successo a ogni costo, ma ottenendolo semplicemente perché arrivava al cuore delle persone passando dal proprio.

Quando il tuo primo film viene fatto a pezzi, beh, questa cosa mi ha temprato. Curiosamente, è una specie di dono… Hai combattuto la tua prima battaglia. Non è stata una completa vittoria, ma non ti hanno proprio massacrato. Per cui, vai avanti.

(Robin Williams)

“Uno capace di fare Il mondo secondo Garp, Mosca a New York, Club Paradise e Good Morning, Vietnam in rapida successione negli anni ’80, nel pieno del suo fulgore, non ha evidentemente il benché minimo timore riguardo al tipo di carriera che ‘dovrebbe’ intraprendere” (Tim Grierson, Perfectly Imperfect, Saying Goodbye to Robin Williams).

La lettrice della domenica – sulla bontà, citazione da “L’infinito viaggiare” di Magris

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L’immagine della bontà è spesso collegata a un rapporto confidenziale e amichevole con le cose, a una rispettosa familiarità con gli oggetti, a un’attenta e sapiente capacità di maneggiarli con abilità, ma anche con cura e riguardo. La gentilezza rivolta alle persone, agli animali, alle piante si estende, spontaneamente, alle cose. al bicchiere in cui infila il fiore; la bontà è anche nelle mani, nel modo in cui si tendono verso altre o prendono un portacenere dal tavolo. L’attenzione, è stato detto, è una forma di preghiera, il riconoscimento della realtà oggettiva, di un ordine, di confini; un modo di guardare al di là e al di sopra del proprio Io, di sapere che nessuno è il satrapo tirannico e capriccioso del mondo né può devastarlo a suo arbitrio, come ci accade in quei penosi e impotenti scatti di collera in cui, non potendo distruggere noi stessi, gli altri o l’universo, facciamo a pezzi il primo oggetto che ci viene a tiro. C’è una robusta bontà delle mani, proprio di chi bada all’altro e non si concentra sterilmente solo sulle proprie smanie; assomiglia all’infanzia, la cui fantasia si accende per un sasso o per una scatola di fiammiferi vuota, e assomiglia soprattutto all’arte, che non esiste senza questa sensuale, curiosa e scrupolosa passione per la concretezza fisica e sensibile dei particolari, per le forme, i colori, gli odori, per una superficie liscia o spigolosa, per la rivelazione che può venire dall’orlo della risacca o dal bottone fuori posto di una giacca.

Claudio Magris, L’infinito viaggiare, Oscar Mondadori

LA LETTRICE DELLA DOMENICA – La natura dell’amore

Sono più irrequieta che mai, incapace, in questo momento, di avere pazienza. Sono costretta ad aspettare, ma scalpito. Intanto leggo, e non è poco. Non sono più capace come un tempo, però, di farmelo bastare. Scrivere, poi, scrivere è uno strumento prezioso e una ferita, una risorsa e un dolore in più.  Non trovo sufficientemente gratificante il processo creativo in sé, devo essere sincero. Quello che voglio è avere un pubblico (da: The World’s Greatest Dad, Il papà migliore del mondo).

Buffa, la natura dell’amore, così evanescente, inafferrabile eppure capace di raggiungere vette di intensità che nient’altro può eguagliare, con un suo aspetto solido, e talvolta, forse meno raramente di quanto si pensi, dotato di salde fondamenta. Parlo di ogni forma possibile dell’amore, evidentemente, compresa quella per la scrittura, per il giardino o per qualunque altra passione vera e duratura che possiamo avere.

Questo libro, che parla principalmente dell’amore romanico e/o sensuale, non mi ha coinvolta come mi aspettavo, eppure ci torno sopra, vado avanti e torno indietro, mi segno mentalmente frasi, poi altrettanto mentalmente cancello quei segni e ne creo altri.

La citazione di oggi è questa:

A nove anni amavo quasi tutto in maniera più o meno incondizionata. Lo scenario ovattato della prima neve dell’anno. L’acqua che scrosciava nei canali e nei fossati al disgelo. L’arco disegnato da una palla ben lanciata nel cielo estivo. Lo guardo distante degli occhi di Judy Garland che, a un’interruzione della noiosa trama, apriva bocca e cantava. I “Signore., pietà” e le tonache nere del Venerdì Santo. L’ostia ridotta in poltiglie sulla lingua e gli sfottò delle liceali mentre camminavo per Stenhouse Street e attraversavo i boschi lungo l’allevamento di Kirk. Soprattutto amavo le sorelle maggiori dei miei compagni di scuola, ragazze ancora snelle che mutavano in donne più o meno avvenenti, non ancora rovinate dal matrimonio: erano creature meravigliose, libere, col denaro nella borsetta e, sulle labbra ripassate con il rossetto, un sorriso dolce per il ragazzino melenso che ogni tanto le incrociava. Tutto ciò mi rendeva felice e non mi preoccupava che quella felicità fosse momentanea. Pochi minuti, un’ora, un pomeriggio di settembre nel parco, i momenti arrivavano e sparivano, restando misteriosi e incontaminati: erano un dono e non un peso.

(John Burnside, La natura dell’amore, Fazi 2017, traduzione di Giuseppina Oneto)

La svolta / Turning point

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La mia Belva 🙂

Giorni fa ho scritto di aver “rotto il ghiaccio”, riprendendo ad andare in bicicletta, dopo molti anni e su una mountain bike, invece del carrarmato da passeggio che era il veicolo della mia infanzia e adolescenza. I miei primi approcci erano molto goffi e lo sono ancora, ma per la prima volta oggi ho sentito la bicicletta come una potenziale amica. Siamo ancora semplici conoscenti, ma iniziamo a esserci reciprocamente simpatiche. Prima c’era più che altro la determinazione a imparare, oggi è nato il piacere di andarci. Ho iniziato la giornata di buon umore!

A few days ago I wrote that I had “broken the ice”, as I’ve begun cycling again after many years, and on a mountain bike at that, instead of the chopper-like velocipede I used as a child and teenager. I was very clumsy at first, I still am, but today for the first time I’ve felt my bike may actually become my friend. We’re still just acquaintances at the moment, but I think we’re beginning to like each other. Initially, it was rather a matter of determination to learn, but from today on, cycling will be a pleasure. I’ve started my day in a good mood!

La leggerezza dell’infinito

Due giorni splendidi, con un gruppo che amo moltissimo. È un gruppo di “psicoterapia avanzata”, nel senso che siamo tutte persone che hanno finito la terapia ma affiniamo i nostri strumenti incontrandoci e lavorando insieme 4-5 volte l’anno. Ne esco ogni volta più forte e questa è stata particolarmente intensa. Emozioni, colori, il mio amatissimo mare, ricordi, sensazioni presenti e una porta aperta sul futuro, dietro la quale ho visto, per la prima volta con questa chiarezza, che quello che voglio è prima di tutto scrivere, o forse, anzi, solo scrivere. Ho avuto un senso fortissimo di morte e rinascita, qualcosa che mi ha coinvolta completamente, mi sono sentita come se fossi immersa nel mare e avessi il mare dentro di me, tutto il mio corpo era mare, e si è perso e ritrovato sull’onda di un fremito vitale, di una tale dolcezza e bellezza da stordire. Davvero non ho più paura. Sono io. Sono l’ala dell’aereo che si muoveva nel mio presente, e il cielo in cui volava, sono piena di amore e passione, di tenerezza ed energia, ho finalmente riconosciuto la mia capacità di scompigliare, riprendermi in mano la mia scintilla di follia, a cui tengo tanto, il gioco, la leggerezza dell’infinito. Sono io e sono in movimento, e amo così tanto esserci che neanche io sapevo fino in fondo quanto.

UN LEONE A COLAZIONE – Storie intorno all’adozione

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Una cosa non capisco: questa nostra società che ci piace tanto poco è il risultato del modo in cui ci hanno cresciuti i nostri genitori, nonni e bisnonni e vari antenati ai quali possiamo risalire. Perché ci intestardiamo a credere che i buoni, vecchi valori tradizionali fossero meglio, che ci fosse più umanità, che i tempi irrimediabilmente peggiorino? Tralasciamo il fatto che i nostri ascendenti vicini e lontani hanno causato o partecipato a un bel numero di guerre, alcune delle quali di crudeltà inusitata; e tralasciamo anche le dittature che hanno funestato la vita di alcuni, ma nelle quali tanti altri hanno vissuto tranquilli come i famosi topi nel formaggio. A parte questo, dicevo, dobbiamo alla indiscussa autorità della cinghia un bel numero di danni, e altri danni li dobbiamo a quel principio per cui quello che fai bene è tuo dovere, ti punisco per quello che fai male, per cui non aspettarti lodi, mai.

Ci mancano dei punti fermi, questo è vero, e quindi non li sappiamo trasmettere. Ci pensavo in questi giorni perché non riesco a trasmettere ai miei figli (l’Orso Grande in particolare, perché la Bertuccia Piccola queste cose le ha dentro, per fortuna sua) l’impegno, il tempo da dedicare alle cose, la voglia di fare, ma prima di tutto questo l’entusiasmo, da cui nasce tutto il resto. E viceversa, veramente, perché è un circolo virtuoso, se una cosa ti piace le dedichi tempo e impegno, e quel tempo, quell’impegno, trasformano il piacere in passione, in entusiasmo. L’atarassia io non la concepisco, forse già l’ho detto, senza passione non potrei ma soprattutto non vorrei vivere. In pratica, so che il modo in cui si educava ai beati tempi era tutt’altro che perfetto, e non ho ancora trovato una valida alternativa.

Penso che sia questa una possibile causa comune del nostro malessere, in realtà. Siamo consapevoli che “questa è casa mia e qui comando io”, “ti ho fatto e ti disfo” e i vari “sguardi che non ammettono repliche”, prima ancora di essere non più proponibili, erano sbagliati in partenza. Li abbiamo contestati, discussi, sezionati e rigettati, e adesso ci tocca trovare qualcosa di meglio. Che è una bella fatica. Qui torniamo al punto di partenza: senza fatica, senza impegno, senza tempo dedicato, è possibile arrivare a qualcosa di buono?

Queste parole scrivevo ieri mattina, dopo una discussione di quelle toste (diciamo pure quasi un litigio) col figlio grande, con tanto di parole dure, da parte di uno e dell’altro. Ho pensato che quando sgridiamo un ragazzo adolescente o anche oltre (sui diciotto anni, poco più poco meno), lui/lei tende a mettersi sulle difensive e diventare aggressivo(a). Noi diamo la colpa all’età, alla fase particolare, gli ormoni, la crescita, e sarà tutto vero. Però mi sono resa conto che criticare è spesso più facile che trovare cose positive da dire, anche quando si è convinti che sottolineare il buono sia meglio che evidenziare ciò che non va. A me, almeno, succede. E ho riflettuto che non di rado siamo noi i primi a essere in certa misura aggressivi. E anche che spesso la nostra rabbia di adulti nasconde sia un dolore, sia un senso di inadeguatezza, e per questo non “funziona”. Perché forse, pensavo, gridiamo quando non riusciamo a farci ascoltare, quando, di fatto, ci sentiamo deboli.

Dopo quella “lite” qualcosa di positivo è scattato. In entrambi. E’ come se un piccolo pezzo di muro si fosse sgretolato. Mi sono un po’ lasciata andare, ho spiegato proprio questa mia difficoltà. Quando gli dico che buttano via la vita stando attaccati alla tv tutto il pomeriggio (sì, alla fine quasi sempre quello è l’oggetto del contendere), ho detto, non intendo che la buttano via in assoluto. Ma la vita è bellissima, qualche volta faticosa, dolorosa, difficile, ci sono cose che facciamo perché dobbiamo farle e non perché vogliamo, tutto vero. Ma  resta bellissima, se facciamo in modo che lo sia. E ho parlato, anche con loro, ma molto brevemente, due o tre frasi appena, di quelle mie idee che ho su entusiasmo, passione, fare cose con le proprie risorse.

Mentre lo dicevo a loro, ho sentito che ci credevo profondamente. E loro mi hanno ascoltato, e ho visto la loro espressione cambiare, aprirsi, e dopo Orsogrande ha cominciato a raccontarmi piccole cose, a interessarsi a quello che faccio. Granellini, ma ci sono. E in fondo, va detto anche, la lite era stata una lite tra genitori e figli, senza ulteriori qualificazioni, e anche questo è importante. Perché a volte ci si blocca al pensiero che loro sono adottati, hanno sofferto, che certe cose potrebbero prenderle male, che se gli dici… poi pensano… E invece la cosa bella è essere se stessi nelle risate, nelle arrabbiature, nella tristezza e nell’amore e loro lo sanno. E mi sono resa conto che anche quando mi sento un po’ goffa e penso che vorrei cambiare, poi in realtà dentro di me so che mi voglio bene, anche perché i miei principi sono realmente miei, e penso che sia vero per entrambi, come genitori, e che è quello l’importante. Anche se a volte non è facile comunicarli, ce li abbiamo dentro l’anima, e quindi non serve il “perché lo dico io”, ma serve il “perché è questo che migliora la tua vita e quella degli altri”. La strada è tutta da costruire, tra contestazioni, porticine che si aprono e si richiudono e poi si riaprono di nuovo. Si continua a cercare, che poi è l’essenza della vita, dopotutto, no?