Pensieri in ordine sparso e una poesia

Torna a scorrermi dentro il sangue della scrittura. Mi sanguina la voce, il cuore, mi sanguinano i pensieri, le parole. Mi sanguina la parte di anima in cui ti tengo, e finché sanguina quella, all is well, thank you, vuol dire che sono viva, accoccolata sulla tua stella. Le stelle sono fiocchi di cristalli fragili e preziosi e quando si sfiorano forse è pericoloso, ma fanno un suono incredibilmente bello.

La casa è un pezzo di me e io forse sono un pezzo di casa per qualcuno. La casa resta punto di partenza e, volendo, di ritorno, non altro. Non sono mai stata patriottica, di certo non lo diventerò adesso. Siamo i fragili, imperfetti, incazzosi, spaventati, precari abitanti di una minuscola pallina che sta da qualche parte nell’universo o negli universi esistenti (su o giù, è difficile a dirsi, nell’iperspazio… [cit.]), e il nostro viaggio è come l’itinerario segreto delle farfalle, ma anche come le impronte pazienti e grevi di un elefante su una stella di cristallo leggero.

Alla mia gatta sono rimaste solo le scatolette di cibo che odia e dovrà adattarsi, come tutti noi, per qualche giorno. Senza la mia gatta, comunque, le cose andrebbero peggio. I miei figli – il piccolo in particolare – hanno saputo inventarsi un loro equilibrio e reggono e quasi sostengono noi; ma se tutto questo fosse successo due o tre anni fa, quando potevamo uscire di casa per non uscire di testa…. no, meglio non pensarci.

Non dovrebbero esserci eroi, ma persone messe in condizione di fare il loro lavoro in sicurezza e con le risorse necessarie e forse se questo non succede è, sì, in parte responsabilità nostra, e dovremo ricordarcelo anche dopo, quando il tempo degli eroismi passerà. Penso che vorrei scrivere d’altro e non ci riesco.

Vorrei leggere e trovo libri bellissimi, ma ogni volta li inizio, li metto via, ne prendo altri senza finire quelli che avevo cominciato prima, e via così. Il nostro giardino è senza cure, In questo momento nessuno di noi ci si può neanche avvicinare. Dovrei fare un mucchio di cose, ma il tempo comunque continua a scorrere troppo in fretta e alcune, poi, mi sembrano avere così poco senso, in questo momento, anche se so che poi, una volta che la situazione sarà tornata alla normalità, rimpiangerò di non averle fatte, ma del resto al cervello non si comanda più di quanto si comandi al cuore. Pitturo pareti, faccio il pane, ma in fondo sono cose che avevo cominciato a fare anche prima, e meno male. Così non le identificherò con un tempo malinconico, ma resterà un pensiero (e un fare) felice.

Del resto io sono sempre in viaggio, anche ora. Credo che staserà andro su Ork. O in un qualche teatro di San Francisco (Ahi! la California! Ma a quello che vedo, Newsom è all’altezza del compito. Lo spero tanto, perché della California avrò, avremo, ancora bisogno) ad assistere a uno spettacolo del Genio del mio cuore, anche se li ho già visti tutti, ma repetita iuvant (e iuvant un sacco, in questo caso).

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Immagine dal web, presa da qui

Ho in mente il vetro e il cristallo, immagino siano simboli di fragilità, e ho scritto questo:

RESPIRO

I respiri prendono forma,
accadono
passano
come le nuvole sui campi
come l’incrocio dei venti che traccia
l’itinerario segreto delle farfalle.
Io sono di vetro:
quando il mio respiro si offusca
ci scrivo sopra qualche suono,
qualche nome.
Quando il mio respiro tornerà limpido
resterà il tuo nome inciso
sul vetro della finestra,
la tua voce sul davanzale,
come minuscole zampette d’uccello
impresse per sempre nel cemento fresco
di una casa in costruzione.

R.A.P. (Ricordi a Perdere)

E quindi io sarei quella che ha capito
che indossa un abito che non fa il monaco:
il destino poi mica lo vedi dal vestito,
semmai da quello sguardo strabico,
da quel magnifico paragrafo retorico…
Ho creduto davvero di poter vedere,
io che senza occhiali non so neanche camminare;
ho creduto di poter sapere,
io che senza i libri non saprei neanche parlare.
Dalle ginocchia il latte mi è sceso alle caviglie
ma per tanti ancora sono Alice
persa nel Paese delle Meraviglie;
c’è chi ancora adesso dice
che più che la testa nelle nuvole, semmai
le nuvole io le ho sempre avute nella testa,
ma io ricordo, sai:
la memoria serve anche se non basta.
La paura, quelle volte, attraversava i muri
le stelle imparavano un alfabeto di fortuna
ma non lo ha mai capito chi guardava da fuori,
convinto che io cercassi il pozzo nella luna:
hanno sempre creduto a chi mentiva meglio,
ma non fa mica meno male se ti sparano per sbaglio.
Io ululavo come i lupi, nascosta nella tana
lui mi strappava a pezzi anche solo con la voce,
mi chiamava stupida, per non dire puttana
l’ingiuria non detta è sempre quella più feroce,
gli occhi più delle mani ti spaccano la bocca
quando gli altri ti guardano pensando ‘non mi tocca’.
Non sono vittima
ma non dimentico
non mi vendico, non mi sacrifico,
è la pietà la mia rivincita,
la calma olimpica
del mio respiro ancora molto vivo:
e in fondo è solo questa la ragione per cui scrivo.

Il mio silenzio selvaggio stava in bilico
sul ciglio dell’abisso
è tuo da quella sera
che ho incominciato a crederti
quando il mio silenzio l’hai sentito
in mezzo ad altri
scroscianti, striscianti, laceranti
in quelle sere, anima nobile,
hai vegliato
quel poco di umano che restava
e il muro
piano piano
forse
ha iniziato a –

Per le strade del porto (leggendo Saba)

Come l’amato poeta
mi vedrai vagare
per le strade del porto,
quando a sera il tempo del rientro
riversa tutti i fiumi – d’acqua e di persone
– in un’unica valle, una conca
al centro del nostro piccolo universo.
Gli usci chiusi delle case, vedi,
sono come il nostro mare,
limite ed invito, la soglia
da cui tutto ha inizio
ed ogni cosa pure ha fine.
Ora, ecco,
la sera s’è rabbuiata tutt’a un tratto
il mare, come un cane
uggiola deliziato nel silenzio.
È la notte delle navi
e anche noi, che non sappiamo dove
pure continuiamo a navigare.

Saba

Il poeta delle piccole cose, delle “trite parole”. Ieri ho ascoltato parole di e su D’Annunzio. E mi sono ricordata di quanto amo Saba.

Ulisse

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore

Il poeta

Il poeta ha le sue giornate
contate,
come tutti gli uomini; ma quanto,
quanto variate!
L’ore del giorno e le quattro stagioni,
un po’ meno di sole o più di vento,
sono lo svago e l’accompagnamento
sempre diverso per le sue passioni
sempre le stesse; ed il tempo che fa
quando si leva, è il grande avvenimento
del giorno, la sua gioia appena desto.
Sovra ogni aspetto lo rallegra questo
d’avverse luci, le belle giornate
movimentate
come la folla in una lunga istoria,
dove azzurro e tempesta poco dura,
e si alternano messi di sventura
e di vittoria.
Con un rosso di sera fa ritorno,
e con le nubi cangia di colore
la sua felicità,
se non cangia il suo cuore.
Il poeta ha le sue giornate
contate,
come tutti gli uomini; ma quanto,
quanto beate!

La poetica delle cose

Dicono che i poeti devono sporcarsi le mani, giusto? E dunque, sia: da poetessa (o poeta?!) e traduttrice a donna di fatica è un attimo. Ho carteggiato e stuccato una stanza, dato la pittura di fondo, svuotato cuffe di carbone per gli operai che ci mettono il “zetto” ossia le rovine della demolizione, sfoderato e prelavato a mano un divano, fatto la lavatrice, lavato i pavimenti (un sacco di volte!), spostato un materasso, iniziato a riordinare il garage, e nel frattempo lavoro anche (inteso nel senso di lavoro pagato…).  E ancora non ho messo le mani nella terra… spero domani, il giardino aspetta, e forse la poesia si nasconde anche lì, tra un bruco e un’achillea.

Adesso però mi piazzo sul divano con un bel film, e non ci sono per nessuno!

Premiazione al Circolo Pickwick

Piacevolissima premiazione e persone deliziose oggi al Circolo Pickwick di Besana Brianza, Il nome sulla targa l’hanno scritto alla brasiliana, ma va bene uguale); orgogliosa del secondo premio ricevuto per Il territorio delle civette, che è questa poesia qui:

Mi fido della notte, di tutte le cose
invisibili ed oscure, e mute,
sbriciolate tra le dita:
quelle che, come il buio e il silenzio,
ti spezzano l’anima, per ricomporla
in un ordine diverso, un altro modo.
La notte è per chi
ha i margini strappati e il cuore denso,
perso in un intrico di vecchi arnesi,
chiodi, canne da pesca
e regali, che non sai più di chi;
perché per camminare di notte
bisogna costringere i piedi riottosi,
disubbidire alla strada,
sfuggire alle belve, ai rapaci, ai vetri rotti
e per il resto fare
come se si sapesse tutto.
La notte è di chi varca il mare,
senza perdere tempo a tracciare i confini;
è il territorio delle civette,
che ti percorrono il cuore
in cerca di un indizio.
La notte sono i tuoi occhi dispersi,
sono io che li cerco
tra i segreti di quel fuoco di stelle.
Mi fermo a guardarti, e alla finestra
si affacciano le nebbie della darsena,
ma in tutto questo buio, tu
forse non te ne accorgi.

Felice anche di aver conosciuto il Barman del Club, e se ancora non sapete chi è, suggerisco di precipitarvi al Sourtoe Cocktail Club, dove non mancheranno buone letture e buona musica!

Prima presentazione, andata!

La prima presentazione del libro mi ha dato grandi soddisfazioni: sala bella piena, persone interessate e i libri presenti si sono rapidamente volatilizzati. Quello che temevo fosse un aspetto critico, ossia il fatto di non aver trovato un “facilitatore” che conoscevo per dialogare con me col libro, alla fine è stato un bene: mi ha introdotto la persona che aveva organizzato l’incontro per la Feltrinelli, competente e brillante, che ha contribuito a rendere la serata vivace. E insomma, il viaggio del Pettirosso continua, e lui canta sempre più forte.

Billy Collins

Grazie a questo post di Interno Poesia, ho scoperto un poeta contemporaneo che non conoscevo. Da lì, ho cercato in rete e quello che ho trovato mi è piaciuto. Molto. In realtà, avevo avuto l’impressione che fosse più giovane, quasi mio coetaneo, forse perché le poesie lette mi hanno toccato profondamente, come non mi succede poi tanto spesso. Eppure non mi somiglia, o almeno non credo, non mi somiglia nel modo di scrivere, nelle storie che racconta, nel suo descrivere oggetti e momenti quotidiani. Ma in questo non somigliarmi, dice cose che mi incantano e in qualche modo comunque mi rispecchiano (come pare succeda a un numero sorprendentemente alto di persone, che non necessariamente leggono poesia ma leggono le “sue” poesie).

Premio della Stampa – due giorni molto pieni ad Acqui Terme

La mia poesia L’ultima cosa non detta, vincitrice del premio Giotto in maggio, ha ricevuto anche il Premio della Stampa al concorso Città di Acqui Terme, di questo sono davvero felice oltremisura, considerata anche la composizione della Giuria dei giornalisti, presieduta da Alberto Sinigaglia de La Stampa, fondatore dell’inserto Tuttolibri, responsabile della redazione culturale, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, docente universitario di giornalismo, insomma, se permettete, mi sento autorizzata a tirarmela un po’, almeno per un paio di giorni. Questa la MOTIVAZIONE:

“L’ultima cosa non detta è una lirica sul declinare della vita, attraverso la metafora di un inventario corporeo. La progressiva rarefazione della parola determina l’ultima, tenace resistenza al silenzio. I versi ben scanditi si accompagnano a espressioni felici e originali”.

Molto ben organizzate le giornate di premiazione, con una bella conferenza di Giacomo Jori su Mario Soldati; la lectio magistralis di Giorgio Ficara, saggista, critico letterario e professore universitario di letteratura italiana che ha ricevuto il premio alla carriera; la visita ai luoghi pavesiani nelle Langhe; e infine una tavola rotonda ieri pomeriggio con i premiati di tutte le sezioni (poesia edita, poesia inedita, poesia a tema e stampa), da cui sono emersi spunti davvero interessanti, sui classici, i maestri, la lingua in cui si sogna e si scrive e che si “abita”, la traduzione, il dolore come origine e fondamento dello scrivere…

Ed ecco la poesia!

L’ULTIMA COSA NON DETTA

Le prime a invecchiare, dicono, sono le mani,
le prime a mostrare i segni del tempo,
a confondere le carezze con l’amore
e il sale con il mare, a scrivere di cielo e stelle
quando dire d’altro non si è più capaci,
a usare gli utensili sbagliati, come i coltelli sacri
per il sacrificio della tenerezza.

Dopo tocca alle gambe
tradire il senso del cammino
quando ti tremano le stelle ad una ad una, e le ginocchia,
sotto il peso del tempo e dello spazio,
dei piccoli odi quotidiani e degli amori eterni,
e s’apre una piccola stonatura nel passaggio
da una strada aperta ad una chiusa.

Quanto agli occhi, i miei brucerebbero
per sedere sui docks a guardare le navi passare
prendere il mare su una chiatta, un postale
con l’odore di merluzzo e aringhe e d’avventura;
vedere la bellezza nascosta tra le nebbie del nord;
abbassare lo sguardo, velato dagli incerti pomeriggi
che sfilano come passeri sopra i tetti di Parigi.

Infine, ti chiude la gola una lisca di parole.
Ah, non esserti voce in questo silenzio di granito,
non esserti presenza quando a tua assenza si fa scura;
ancora qualche giorno e sarà inverno,
svanirà anche quest’ultima luce
dietro i tetti delle ultime case in fondo al viale,
e ci resterà sulla lingua l’ultima cosa non detta.