Premio della Stampa – due giorni molto pieni ad Acqui Terme

La mia poesia L’ultima cosa non detta, vincitrice del premio Giotto in maggio, ha ricevuto anche il Premio della Stampa al concorso Città di Acqui Terme, di questo sono davvero felice oltremisura, considerata anche la composizione della Giuria dei giornalisti, presieduta da Alberto Sinigaglia de La Stampa, fondatore dell’inserto Tuttolibri, responsabile della redazione culturale, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, docente universitario di giornalismo, insomma, se permettete, mi sento autorizzata a tirarmela un po’, almeno per un paio di giorni. Questa la MOTIVAZIONE:

“L’ultima cosa non detta è una lirica sul declinare della vita, attraverso la metafora di un inventario corporeo. La progressiva rarefazione della parola determina l’ultima, tenace resistenza al silenzio. I versi ben scanditi si accompagnano a espressioni felici e originali”.

Molto ben organizzate le giornate di premiazione, con una bella conferenza di Giacomo Jori su Mario Soldati; la lectio magistralis di Giorgio Ficara, saggista, critico letterario e professore universitario di letteratura italiana che ha ricevuto il premio alla carriera; la visita ai luoghi pavesiani nelle Langhe; e infine una tavola rotonda ieri pomeriggio con i premiati di tutte le sezioni (poesia edita, poesia inedita, poesia a tema e stampa), da cui sono emersi spunti davvero interessanti, sui classici, i maestri, la lingua in cui si sogna e si scrive e che si “abita”, la traduzione, il dolore come origine e fondamento dello scrivere…

Ed ecco la poesia!

L’ULTIMA COSA NON DETTA

Le prime a invecchiare, dicono, sono le mani,
le prime a mostrare i segni del tempo,
a confondere le carezze con l’amore
e il sale con il mare, a scrivere di cielo e stelle
quando dire d’altro non si è più capaci,
a usare gli utensili sbagliati, come i coltelli sacri
per il sacrificio della tenerezza.

Dopo tocca alle gambe
tradire il senso del cammino
quando ti tremano le stelle ad una ad una, e le ginocchia,
sotto il peso del tempo e dello spazio,
dei piccoli odi quotidiani e degli amori eterni,
e s’apre una piccola stonatura nel passaggio
da una strada aperta ad una chiusa.

Quanto agli occhi, i miei brucerebbero
per sedere sui docks a guardare le navi passare
prendere il mare su una chiatta, un postale
con l’odore di merluzzo e aringhe e d’avventura;
vedere la bellezza nascosta tra le nebbie del nord;
abbassare lo sguardo, velato dagli incerti pomeriggi
che sfilano come passeri sopra i tetti di Parigi.

Infine, ti chiude la gola una lisca di parole.
Ah, non esserti voce in questo silenzio di granito,
non esserti presenza quando a tua assenza si fa scura;
ancora qualche giorno e sarà inverno,
svanirà anche quest’ultima luce
dietro i tetti delle ultime case in fondo al viale,
e ci resterà sulla lingua l’ultima cosa non detta.

INCIPIT di tre racconti premiati al Casentino

Questi sono gli incipit di tre miei racconti che – ho saputo due o tre giorni fa – hanno ricevuto il Premio Speciale della Giuria al Premio Casentino. Premiazione il 22 giugno a Poppi (AR), nella bella Abbazia di San Fedele, di origine medioevale (benché molto rimaneggiata, ma riportata quasi all’aspetto originario, almeno all’esterno, dall’ultimo restauro ai primi del Novecento).

I LADRI DEL TEMPO

Parole. Parole scagliate, schiantate come una cascata verso la valle. Come stalagmiti di ghiaccio, bellissime e fredde, scintillanti e feroci. Le parole hanno inventato i sentimenti. Le parole hanno inventato l’uomo, e non il contrario. Le parole disegnano i nostri contorni, sono un seme piantato nella terra, e il grano che cresce, il vento che piega le spighe, la grandine che le schiaccia, il sole che le matura e la falce che le taglia. Oggi non avevo più parole, le avevo finite tutte. E per un istante, quell’istante in cui sono rimasto senza parole, ho smesso di esistere.

IL FIGLIO DELL’OMBRA

So bene che il rapporto tra uomini e lupi non è mai stato facile. Sono un lupo e non sono imparziale, ma non sono qui per dire che i lupi siano creature inoffensive, candidi e dolci come agnellini. Che poi gli agnelli mica sono candidi, sono giallognoli e puzzano, ed è vero che se capita l’occasione ce li mangiamo volentieri… ma questo lo fate anche voi. Di storie sui lupi però se ne sono raccontate e se ne raccontano tante e qualcuna, se me lo consentite, è un po’ esagerata.

NIVES

Nelle città ci sono strade che si incontrano, si intersecano a volte in grovigli e labirinti, in un dedalo che ti disorienta senza un filo per ritrovare la via, perché i fili si sono tutti aggrovigliati e annodati e a sbrogliarli ti ci vorrebbe la vita. Strade fatte apposta per confondersi e smarrirsi.
Altre strade, invece, scorrono parallele, non come rette precise e geometriche, ma di solito come serpentine ondeggianti, che sinuosamente strisciano tra le case e le persone, infiltrandosi in mezzo ai tombini, palesandosi d’improvviso dietro una piazza, eppure senza mai deviare dal tracciato dell’itinerario di sempre.

Premio Versante Ripido a Bologna (una delle poesie finaliste)

Weekend a Bologna per la premiazione del Concorso Letterario Versante Ripido, in cui ero finalista (quarta classificata ex aequo, diciamo) con una mini-silloge. Seguirà più tardi qualche foto, intanto posto una delle poesie della mini-silloge premiata.

IL SILENZIO LUCENTE DELLA SERA

Quando la sera mi viene incontro
ha un silenzio lucente,
un suono invisibile, ma preciso
e metallico, come lo scatto
della trappola inesorabile del vuoto
che si attorciglia
al canto notturno dei lampioni
negli angoli nascosti, tremanti di luce.
Quando vado incontro alla sera
col suo dolore concavo,
dolce come la pioggia,
la vita cambia le geometrie,
confondo preghiere: angelo di dio
che sei il mio custode
rimetti i miei debiti.
Angelo delle carezze
toccami il cuore e il ventre,
chiedi e ti sarà dato
bussa e ti sarà aperto.
Sia benedetto il tuo nome,
Dio madre di tutte le creature.
Sono le cifre della carne,
sulla nostra corona
ogni spina ha una rosa
per ogni ferita un dono,
e il rosso del sangue allora
si confonde con la sera
col sole che si riempie
del fuoco del cielo,
e noi alla fine guardiamo le stelle
per regolare l’infinita rotta
verso il lento mistero delle cose.

Prima classificata e Premio della Giuria Popolare al Giotto di Vespignano

Una giornata fuori dall’ordinario, davvero. Nel Mugello mi trovo sempre molto bene, e un weekend in luoghi che amo varrebbe comunque la pena, ma certo non mi aspettavo di vincere non solo il primo premio, ma anche il premio della giuria popolare.

Un viaggio bellissimo, in cui persino la pioggia è stata dalla nostra parte!

L’ULTIMA COSA NON DETTA

Le prime a invecchiare, dicono, sono le mani,
le prime a mostrare i segni del tempo,
a confondere le carezze con l’amore
e il sale con il mare, a scrivere di cielo e stelle
quando dire d’altro non si è più capaci,
a usare gli utensili sbagliati, come i coltelli sacri
per il sacrificio della tenerezza.

Dopo tocca alle gambe
tradire il senso del cammino
quando ti tremano le stelle ad una ad una, e le ginocchia,
sotto il peso del tempo e dello spazio,
dei piccoli odi quotidiani e degli amori eterni,
e s’apre una piccola stonatura nel passaggio
da una strada aperta ad una chiusa.

Quanto agli occhi, i miei brucerebbero
per sedere sui docks a guardare le navi passare
prendere il mare su una chiatta, un postale
con l’odore di merluzzo e aringhe e d’avventura;
vedere la bellezza nascosta tra le nebbie del nord;
abbassare lo sguardo, velato dagli incerti pomeriggi
che sfilano come passeri sopra i tetti di Parigi.

Infine, ti chiude la gola una lisca di parole.
Ah, non esserti voce in questo silenzio di granito,
non esserti presenza quando a tua assenza si fa scura;
ancora qualche giorno e sarà inverno,
svanirà anche quest’ultima luce
dietro i tetti delle ultime case in fondo al viale,
e ci resterà sulla lingua l’ultima cosa non detta.

Tre dei premi che ho vinto

E la motivazione della Giuria.

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Roma mon amour

Ho sempre considerato roma troppo grande, troppo trafficata, troppo caotica, troppo tutto per essere a misura d’uomo. Piena di cose bellissime, chi mai oserebbe negarlo, ma una sorta di invivibile museo a cielo aperto che non ha mai fatto i conti con la propria stessa bellezza, e tanto meno con la propria importanza.

Negli ultimi tempi mi è capitato di andarci più di una volta, e sarà che è stato sempre per piacevolissimi motivi, ma sto gradualmente cambiando idea. Non ci vivrei comunque, ma comincio a intravedere un che di familiare, di molto meno esorbitante e più equilibrato di quanto pensassi.

Naturalmente, sono sempre andata in posti raggiungibilissimi, in orari non di punta, e quindi senza nessun problema di accesso ai mezzi, non mi hanno toccata più di tanto i problemi quotidiani di sovraffollamento, buche, ecc. Comunque, mi sono spostata con molta facilità in metro, ho incontrato e ri-incontrato gli stessi posti fino a renderli un po’ miei, mentre ne scoprivo altri, insospettati luoghi di  meraviglioso incontro tra persone che vivono lì dai tempi della Lupa e Americani capitati per caso nella stessa trattoria e seduti allo stesso tavolo con la naturalezza di chi non si pone nemmeno il problema, complicità e frammenti di vita condivisi sapendo che non ci si rivedrà, ma che si può nonostante questo (o per questo) essere amici intimi per una sera. E il Polmone Pulsante, luogo d’arte e poesia, e i giardini del palazzo dei Marchesi del Grillo (loro, sì) e la vista tetti…

A proposito, nelle ultime tre settimane ci sono andata due volte per due premiazioni diverse. Queste foto le ho fatte alla prima visita, in occasione della Medaglia d’Onore che ho avuto al Di Liegro, perché la seconda volta pioveva e nun c’avevo voja.

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Lo stupore dei corpi, la poesia premiata al Di Liegro, fa parte del libro Il canto del pettirosso, che adesso è uscito ufficialmente e lo trovate qui:

LO STUPORE DEI CORPI

Vorrei darti le tre linee rosse sul mio ventre,
dove s’è incurvato all’annoso peso del dolore;
le pieghe della fronte, ché nei pensieri t’assomiglio;
le cicatrici delle vaccinazioni sulle spalle,
per ricordare che ci vuole impegno per guarire
e perché è dalle ferite che s’impara il volo;
vorrei darti le rughe dello sguardo, i segni
del mio sorriso sulle labbra, come stelle screpolate;
i calli duri sotto i piedi, la pelle che invecchia,
ma lentamente, negli angoli nascosti;
il sale nell’acqua, perché il mare ci serve,
e le spine tra le more e sui gambi delle rose,
perché tu capisci tutto quello che c’è dietro.
Dimmi che il cielo ti contiene, non credo
a un paradiso senza lo stupore
dei corpi, la meraviglia delle dita, gli usi proibiti
delle mani e della lingua, a un paradiso senza il freddo
e la saggezza del brivido caldo che scorre nelle vene.
Dimmi che il cielo ti contiene, che è abbastanza grande,
non credo
a un paradiso senza i tuoi occhi.

E qui ci sono alcune foto

Un riconoscimento in Liguria

Che bello, menzione d’onore al Premio Parasio di Imperia, un riconoscimento nella mia Regione! Non è proprio strettamente la prima volta, ma in generale ne ho ricevuti molti di più altrove. Inoltre, a questa poesia sono particolarmente legata.

IMPRONTE

S’illumina di mare la strada
e lascio impronte di sabbia.
Così passo il tempo:
guardando la forma dei miei piedi
tradita dal mutare delle onde.
E ti penso anche in quest’aria crespa
tra brume straniere.
Cerco la verità della tua faccia
il volo di un aquilone in festa
il silenzio quieto dell’attesa
che basta a se stessa
senza nulla da riempire.
Ho labbra d’esasperata sete
e niente più cicogne alla finestra.
L’estate è finita
e non ritorni.

Premio Oreste Pelagatti

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Composizione fotografica con fiori in thermos

 

Torno da una splendida giornata a Civitella del Tronto, questo è sicuramente uno dei premi più belli ai quali abbia partecipato: pomeriggio di “chiacchiere” informali ma appaganti tra premiati e Giuria, grande disponibilità, ascolto e scambio arricchente ma senza alcuna pesantezza, anzi. Passeggiata sotto il temporale seguita da doppio arcobaleno e ritorno del sole in un borgo davvero strepitosamente bello. Serata di premiazione sobria, con lo spazio lasciato alla lettura delle poesie e agli intermezzi musicali. Le poesie sono state lette dall’attrice Pamela Villoresi, che conoscevo di fama, ma che mi ha commossa oltremisura con la partecipazione emotiva, oltre alla bravura “tecnica” con cui ha interpretato i testi, è come se avesse scavato a fondo per trovare tutti gli strati possibili. Per me è stato come “riscoprire” la mia poesia sentendola in modo diverso, trovando il suo vero senso. Una sensazione stupenda che forse non riesco a rendere del tutto a parole. Anche la motivazione del premio mi è piaciuta tanto.

Della terna che si è aggiudicata il secondo premio, la prime due le trovate cliccando sui link: Parole d’argine e Un minuscolo silenzio la terza Sasso e libellula, quella che è stata letta ieri sera, la posto di nuovo qui:

SASSO E LIBELLULA

Sono sasso di fiume, la pietra levigata sull’alveo
immobile, eppure forgiata dal passaggio
delle luci sulla superficie trasparente del mattino,
del riverbero frammentato in gocce,
del tempo, e dell’acqua, e di molto amore.

Tu sei il fiume, irruente, irriverente, irrispettoso;
seppur gentile a tratti, mi lambisci i fianchi
accarezzi le mie forme, arrotondi gli spigoli;
ma non hai argini, né limiti o confini,
solo tempo, acqua, e molto amore.

Alle prime piogge, libero da ostacoli,
il tuo cammino si fa corsa, vortice, sfida alla corrente
e il tuo canto scroscio, e poi grido e vita,
a immaginarti così, si allenta il male lancinante
della distanza, la morsa della tenaglia attorno al cuore.

Attraversami dunque, valica la durezza dei contorni
Mi farò libellula e sfiorandoti acquieterò l’impeto
che solleva e scuote e mescola le onde col fondale
Mi muoverò leggera, come la luce che t’increspa
e corruga appena la tua pelle in un sorriso

Ma non ascoltarmi più, ora, circondami in silenzio
ch’io possa smarrirmi nel tuo scorrermi dentro
Portami con te, ricoprimi come fai con le stelle
trasformami in luce d’acqua, senza più corpo o nome
che non sia quello che mi vorrai dare

Credi forse che potrei mai aver paura?
Sono sasso, e libellula, e donna
e ti amo.

 

Prendo le distanze

Come il Barone Rampante di Calvino, mi pare sempre più necessario, per la mia sopravvivenza, mantenere una certa distanza dal mondo, o almeno da una parte di mondo. Cosimo partecipava alla Rivoluzione Francese e alla Restaurazione senza mai scendere dagli alberi, dentro alle cose, ma anche fuori da esse, appassionandosi anche, prendendo certamente posizione, ma con lo sguardo disincantato di chi sa che le rivoluzioni passano, che ciò che oggi sembra nuovo sembrerà, domani, molto più vecchio di quel che l’ha preceduto.

I miei personali alberi sono i libri, il cinema, la scrittura. Cerco di capire, ma non mi sento (non voglio sentirmi) appartenente a questa visione che divide il mondo in buoni e cattivi, “noi” e “loro”, e chi non è con me è contro di me. L’altroieri ho avuto un altro primo premio per una poesia in un concorso che mi è molto piaciuto, dell’Associazione Assolutamente Azzurro di Vergato (Bologna), ho ascoltato le poesie dei bambini, la tenacia ostinata di chi cerca di educarli a vedere la bellezza nella loro vita e ad arrabbiarsi in una maniera costruttiva, che aiuti a stare meglio, e non peggio.

Ieri, poi, mi è arrivato Robin. Gli occhi allegri del capitano di un rimorchiatore in un libro per bambini, come li aveva definiti un giornalista. Mi tuffo in quell’allegria che non rinnega la malinconia, né la rabbia o il dolore, se è per questo, ma conserva una gioia profonda che non si lascia sopraffare mai.

Provo anch’io a essere felice a modo mio, e qualche volta ci riesco.

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