Chiocciola

Ogni tanto ci provo, a uscire nel mondo, a gettarmi nella mischia, o più semplicemente a cercare di mettermi in gioco, di farmi sentire, di prendere posizione, di lasciare un segno. Forse il problema è che come le chiocciole, il mio guscio ce l’ho sempre dietro, e non potrei neanche liberarmene, senza morire. Forse l’unico segno che lascerò sarà quest’ombra leggera sulle labbra di uno che non sa che l’ho baciato.

il mio silenzio selvaggio stava in bilico
sul ciglio dell’abisso
è tuo da quella sera
che ho incominciato a crederti
quando il mio silenzio l’hai sentito
in mezzo ad altri,
scroscianti, striscianti, laceranti.
In quelle sere, anima nobile,
hai vegliato
quel poco di umano che restava

[…]

Addio al sassofono

Un momento davvero intensissimo sotto ogni punto di vista. Tippete ancora manca, specialmente in certi momenti, quando gli avrei preparato da mangiare, o quando si sentono certi rumori e ci voltiamo di scatto, quasi aspettandoci davvero di vederlo saltar giù da una sedia, o saltarci sopra, muovendo nel processo tutto quello che può esserci intorno.

I premi letterari sono soddisfazioni enormi, viaggi bellissimi e sfiancanti, desideri che si realizzano e desideri nuovi.

Col figlio “piccolo” si parla, lo si tiene tra le braccia, si sta a distanza quando è il caso, si protegge e si lascia andare, si culla quando sembra davvero più “bambino” e si accompagnano i momenti in cui la crescita diventa evidente tutt’a un tratto e intravedi l’uomo che speri diventerà, difficile, inquieto e splendido.

Col figlio grande si parla, si ascoltano soprattutto i suoi silenzi, il non detto, si guardano i gesti, le cose pratiche che per lui sostituiscono quasi sempre le parole, si cerca un raro sorriso, la traccia di un dolore che forse non c’è, o forse tiene dentro.

Negli ultimi dieci giorni ho stralavorato, a compensare il lavoro che era mancato per quasi un mese, tra ricoveri e altro. Aspetto quella piccola operazione, e l’attesa, si sa, è snervante. Mi sento spesso più debole, come se l’età che prima non contava, se non molto poco, adesso si prendesse il suo spazio, ho meno energia, giornate meno lunghe.

Però scrivo, in questi due ultimi giorni, perché per una settimana è stato impossibile, non riuscivo neanche a vedere dieci minuti di film, niente. Ma adesso scrivo, tanto, e in questi momenti c’è una magnifica sensazione di fluidità, come se tutto andasse come deve andare, tutto si trovasse nel posto dove deve essere, almeno interiormente, che poi il mondo è un casino ma questo lo sappiamo.

E poi ci sei tu, che racchiudi ogni assenza e ogni presenza, ogni poesia e ogni piccolo passo, ogni stanchezza e ogni parola, ogni paura e ogni momento felice, la felicità dell’inizio e l’addio di un amico e di tutto quello che si lascia indietro, tutto in un unico sguardo, e in quel brivido che era quasi scomparso dalle mie labbra, e che ho ritrovato stasera. Un tuo sguardo, e io mi sento come se mi fossi persa e ritrovata nello stesso momento. Com’è bello guardarti. Perché a volte vorrei avere il coraggio di non farlo? Lo so, a volte costa fatica, ma il mio piccolo universo è tutto nel tuo sguardo.

Cinque anni

Cinque anni sono passati, dice lui. WordPress, intendo; che mi ricorda che dalla registrazione del blog, evidentemente aperto nel marzo 2013, sono passati, appunto, cinque anni, mi augura un felice anniversario e mi incita a “continuare così”. Non sa che in realtà il vero inizio è partito da una fine, quasi un anno e mezzo dopo, quando l’umanissimo angelo a cui devo tanto, e più di tutto uno sguardo multiforme e talvolta capovolto, ha deciso che il suo tempo sulla terra era finito e per quanto doloroso e difficile fosse, era venuto il momento di riprendersi le ali. La poesia è il dono di quell’angelo poeta, la bellezza che permette di venire a patti con la perdita. Ieri era festa del padre, domani è il primo giorno di primavera e la giornata internazionale della poesia: allora voglio ricordare chi mi ha tenuto e mi tiene in equilibrio sul filo, un passo di danza dopo l’altro, un ombrello colorato per allegria, e non per ripararsi dalla pioggia, perché sotto la pioggia la partita si gioca comunque, e quando ci si mette in gioco non si perde mai. Meglio, anzi, un aquilone, un paio di bretelle color arcobaleno e una scorta di risate, poi se la pioggia inumidisce un po’ gli occhi e il viso, fa parte del gioco anche quello. Voglio ricordare delle volte che ero sicura che sarei caduta, e il mio angelo della meraviglia invece mi ha rimessa in piedi e mi ha ridato il coraggio e la voglia di altri salti acrobatici, di altre danze. Voglio ricordare il suo mondo sconfinato, in cui gli angoli segreti servivano in realtà a illuminare il resto. Amo il silenzio, perché posso riempirlo di tante cose che arrivano al mio cuore passando da lui.

Colonna sonora: Raindrops keep falling on my head, BJ Thomas

La lettrice della domenica – Il Dio del Mare, di Pierluigi Cappello

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Un libro stupendo. Le prose di un poeta, uno dei pochi contemporanei che davvero riesce a entrarmi nell’anima, e mi dispiace averlo scoperto tardi, ma adesso mi cercherò tutti i suoi libri.

È questa l’ebrietudine d’origine, è questo, mi dico, il corso dei poeti, sbarbicare le parole dal silenzio, farle intatte – rosa di Paracelso -, sentirle pesanti sul palmo, come le teste dei re, dentro il cerchio concluso di monete d’oro o di rame.

(Pierluigi Cappello, Il dio del mare, ed. BUR Contemporanea)

Musica

Quanto male, quanto bene fa scrivere di te, e rileggere quello che ho scritto, perdermi e ritrovarmi ancora infinite volte. La mia impazienza, però, fa rumore. Quando tutto il resto tace, sento solo lo scalpitare di una smania inutile, da cui non nascono parole, ma un frastuono taciturno, un  silenzio fragoroso. Ho bisogno di ritrovare la tua musica.

All’inferno e ritorno – I parte

Non ho più paura del silenzio.

Neppure della solitudine.

Che strano poterlo dire con questa sicurezza, come se fosse così da sempre. Ma non è così da sempre. Mi è costato una fatica immensa, e tutto il male che ho fatto agli altri e a me stesso, per paura della solitudine e del silenzio.

Non sto cercando di giustificarmi. Che senso avrebbe, dopo tutto questo tempo? Anche se oggi darei degli anni di vita per cancellare alcune delle cose che ho fatto, ormai che lo voglia o no fanno parte di me. Non ne sono orgoglioso. Ma forse ognuna è stata indispensabile per arrivare ad essere quello che sono oggi. E di quello sì, sono orgoglioso davvero.

Oggi posso parlarne, tornare a guardare l’orrore che ho avuto dentro, sapendo che non tornerà, qualunque cosa succeda.

E’ probabile che rischierò di essere a tratti melodrammatico, di apparire arrogante, di compiacermi nel ruolo di vittima. Non è mia intenzione, ma è probabile che accada. Non sto cercando di presentarmi nella mia luce migliore, al contrario. Vorrei essere onesto, a costo di suscitare disgusto. Ma non si può riuscirci fino in fondo. Non scrivo per raccontare la verità. Non la conosco neppure io. E’ che solo distaccandomi da me stesso, per un po’ di tempo, solo raccontando, come se si trattasse della vita di un altro, alla fine, forse, potrò arrivare alla verità.

Ho sempre camminato per sentieri stretti sugli orli di tutti i baratri che ho trovato, ho guidato la mia vita per strade con massi in pericolo di caduta. Sono estraneo alla mia faccia e al mio nome che non ho scelto. Non ho scelto la vita, l’ho lasciata scorrere sulla mia pelle come pioggia fino al giorno che ho preso la pioggia nelle mani, e l’incosciente infradiciarsi è diventato il consapevole lavar via ad un colpo la morte, la paura e quell’ombra nera che portavo sempre dietro anche nel sole del mezzogiorno. L’aquila che per anni mi ha voluttuosamente straziato il fegato è scomparsa. Credo che presto sarò libero dalle catene del mio personale Caucaso.

Nel tuo silenzio / In your silence

Ascolto. E’ bello il tuo silenzio.
E’ la luce intravista dietro i vetri, il ricordo
struggente dei viandanti quando, smessi
gli abiti da viaggio, restano alla finestra nelle sere
d’estate e guardano gli altri camminare;
è il saluto del marinaio che ritorna e non è mai partito,
è l’angelo caduto che si scuote la polvere di dosso
ma è in piedi, ora, e non meno angelo per questo.
Allora dimentico lo scandalo affaccendato delle api
intente a un miele amaro che non sanno,
perché hanno loro insegnato solo questa scelta:
se farsi male attentamente o per pura distrazione,
se farsi male col dolore o peggio, con il freddo.
Dimentico. Ascolto. E tace allora l’urlo del mondo,
tacciono le campane, e la tristezza dura
del mattino e il rombo plumbeo dei passi di cemento.
Dimentico. Ascolto. E’ bello il tuo silenzio.
E’ il canto del pettirosso quando si annida,
quando indugia tra i rami della quercia;
è il pensiero dell’albero, il segno del suo tempo,
è il respiro antico delle navi, quando
lasciano il mare e le consuma il ricordo del sale
benché sia loro caro il riposo della terra.
Ricordo. Ascolto. E ripongo in qualche anfratto
un altro frammento d’infinito.

I’m listening. Your silence is so beautiful.
It’s the light behind the glasses, the heart-rending memory
of wayfarers, when they no longer wear their travelling clothes,
and remain at the window in the evening summers,
watching the other people walking by;
the greeting of the seaman who’s coming back and never left,
the fallen angel who’s dusting himself off
but he’s back on his feet now, and no less an angel for that.
So I forget the hustling scandal of the bees
engrossed in the making of a honey they know nothing about,
as they’ve only been taught this choice:
whether to get hurt carefully or out of sheer recklessness,
whether to get hurt by pain or, even worse, by cold.
I forget. I’m listening. And the world’s cry is hushed,
bells are still, and so is the hard sadness of the morning,
and the leaden rumbling of someone’s concrete steps.
I forget. I’m listening. Your silence is so beautiful.
It’s the song of the robin, when he nestles,
when he lingers among the branches of the oak;
it’s the thought of the tree, the sign of its time,
it’s the ancient breath of ships, when they
leave the sea and the memory of salt is consuming them
although they so much relish resting at the shore.
I remember. I’m listening. And in some nook or cranny,
I’m putting away a few more fragments of infinity.