Come un quadro giapponese

Più che rosa e oro, l’alba di oggi era azzurrina, con quell’atmosfera sfocata che ti sembra che davvero non ci sia solo vita e morte ma anche altro, una o più vie di mezzo, qualcosa di dolce, come l’ombra di un bacio, come i colori di un’antica passione con cui dipingi un amore senza fine. Il rumore del traffico sottostante che giungeva anch’esso vago, offuscato, come intorpidito, contribuiva a quella sensazione di osservare e ascoltare qualcosa di cui non fai del tutto parte. Nonostante il profumo dell’erba da poco tagliata; nonostante l’umido nelle ossa, che dalla terra saliva ai piedi e pareva quasi che mi stesse piovendo nelle scarpe; nonostante i crochi selvatici sparpagliati ai bordi del prato. Ho guardato il sole mentre faticosamente si faceva strada arrancando su per le colline e attraverso la lattigine che appannava il cielo. E quando infine ha guadagnato il suo posto su verso il centro della volta, somigliava pur sempre più a una moneta, sia pure d’oro, ma acciaccata dal tempo, dalla storia e dalle intemperie, che all’astro infocato che saliva sul suo cocchio (oggi sarebbe magari una Aston-Martin) e correva per il cielo come un indomito dio selvaggio. L’atmosfera mi ricordava molto quelle di certi quadri giapponesi, le nebbie, i vari toni del grigio, quella foschia che pare null’altro che un velo fragile, eppure toglie al sole gran parte della sua luce. E resta nell’aria quell’impressione d’irreale e di fragile, pur quando la nebbia scompare e il giorno alza la sua voce al di sopra della musica di quel sogno a mezza strada, senza riuscire tuttavia a farla smette di suonare. Se ascolti con attenzione, la sentirai scorrere, al di là delle montagne e forse anche del cielo.

Conosci quel posto tra il sonno e la veglia, il posto in cui ricordi ancora quello che stavi sognando? È lì che ti amerò per sempre (cit.)

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