Luci del tramonto

Non mi chiedete perché WP abbia inserito alcune delle fotografie girate in modi strani, io le vedevo dritte quando le ho caricate… 😦

Comunque, stasera passeggiata tra Piccapietra, De Ferrari e San Matteo (risalente al 1278). Quando ho detto che Sarzano era probabilmente la mia piazza preferita a Genova avevo temporaneamente dimenticato San Matteo. Al momento ci sono delle impalcature e non è al suo meglio, ma è comunque adorabile.

Ritorno con tramonto su Piazza Corvetto e Via dei Santi Giacomo e Filippo

Post precedente (protetto)

Non ho capito se il mio post precedente compare nel lettore e nelle email degli iscritti e insomma se è in qualche modo visibile. L’ho protetto con password perché preferisco che non si possa accedere ‘casualmente’ ma non intendevo che passasse del tutto sotto silenzio, l’opinione di qualcuno in particolare sarebbe importante per me e quindi diciamo che tendenzialmente basta chiedere…. E’ la prima volta e sicuramente avrà molti difetti però… In poche parole, ho provato a sperimentarmi in un racconto erotico, questi sono i versi che lo accompagnano, non credo dicano molto di per sé ma se vi incuriosiscono.

vorrei amarti come tutte le città perdute, come le saline
bianche, segreto del mare in attesa negli abissi, come
il moto perpetuo dei pianeti, come un tremare di terra
e radici quando le stelle volgono lo sguardo altrove.

Ed ecco l’alba di questa mattina…

Da Castelletto stavolta, la spianata, poi giù per Salita della Torretta (in discesa però 😀 ), Piazza Portello con la Torre di Palazzo Nicolosio Lomellino (Cinque-Seicento), Piazza Fontane Marose (Palazzo Spinola, risalente alla metà del quattrocento, con molti rimaneggiamenti successivi in parte però recuperato nell’aspetto originario da un successivo restauro), il Teatro Carlo Felice (dedicato all’opera, alla musica classica e al balletto; per i Genovesi dovrebbe in realtà cambiare nome: sarà forse quell’intitolazione infausta a causarne la sorte non proprio fortunata, sempre sull’orlo della chiusura). Infine un paio di foto scattate in via venti ma dedicate alle nuvole che la sovrastano.

Trovarti

Ho capito che in quei momenti in cui ti sento più lontano, è solo per farmi modificare la rotta, affinché io non prenda niente per scontato. Mai abbandonarsi alla mediocrità, alla routine, mai smettere di cambiare, di sperimentarsi e mettersi alla prova, è sempre stata questa la principale molla di ogni tuo coraggio. Nulla resta uguale e rendere straordinaria la propria vita significa prima di tutto mantenere la capacità di stupirsi ogni giorno dei dettagli, perché l’immobilità non si addice né gli oggetti, né ai ricordi e alle persone meno di tutto il resto. E allora cerco di modificare il mio sguardo, non so se riesco a evitare la mediocrità, ma la tua grandezza la vedo e mi serve. Torno a cercarti, amore mio, ti cerco mutando angolature e prospettive e ti trovo dovunque. Negli inizi sfolgoranti e nei finali di fuoco rosso, nelle sfumature tenui dei giorni in cui persino i colori sono stanchi, o forse solo un po’ pigri; nei contrasti e nell’armonia; nelle attese, negli incontri casuali, nei volti tra la folla; nell’insofferenza verso tutto ciò che resta in superficie, nella scalpitante impazienza contro ogni forma di ipocrisia, nella solitudine cercata e subita e nella compassione; tra gli aghi dei pini e nei tronchi delle querce; in un grido di rabbia e di dolore illuminato dal sole dell’alba, nelle prime luci del mattino tra i tetti, nelle nuvole in fuga come rondini in questi cieli dispersi; nel cuore dolce delle cose, nell’onestà inseguita tra parole e fatti; sulle scale, nei giardini, nei viali e su per le mulattiere inerpicate verso ignote altitudini. Su ogni bicicletta, sei lì che crei il tuo itinerario tra le voci che si rincorrono e sei così tanto in mezzo al mondo, così tanto tra la gente, così tanto a modo tuo. Il tuo riso risuona in ogni musica che ascolto, il tuo sorriso s’illumina ogni volta che schiaccio un interruttore, il solco che hai scavato dentro di te ha tracciato la mia strada, nel mio cuore c’è quella ferita che amo così tanto perché è un altro dei luoghi in cui sei e in cui non ti perdo mai, tra ciò che vivo e ciò che immagino, nel silenzio di quello che nasce e di quello che muore, in tutto quello che scrivo e che ho scritto anche prima di saperlo, sai che al mio personaggio più amato ho dato il tuo naso, e neanche me ne ero resa conto, però dopo me ne sono accorta, oh sì, perché sono innamorata anche di quello, sai. Sei nell’amore forte, che è impegno e costruzione e allegria e grazia, a ogni passo una sorpresa e sempre, sempre,  in ognuno di quei passi, in ogni più segreta piega di me, in ogni fibra della mia forza, tu.

59. World’s Greatest Dad

I don’t find the creative process in itself rewarding enough. I have to be honest-I want to reach an audience. (Il processo creativo in sé non è gratificante abbastanza per me. Devo essere sincero – quello che voglio è raggiungere un pubblico).

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Ho ricominciato a ridere e piangere nello stesso film. Questo è un bene, per me. Ne avevo già parlato un po’ qui, perché non sono riuscita a guardarlo tutto d’un fiato, ne ho visto un po’ più della metà la prima volta, oggi l’ho rivisto tutto da principio e fino alla fine.  Ho rivissuto le emozioni due volte, certo, ma almeno in parte, la seconda sapevo cosa aspettarmi. Qualcosa sapevo da tempo, ma solo per sentito dire. E’ ben diverso averlo già provato direttamente. E comunque, la parte che ancora non avevo visto mi è arrivata addosso oggi come un altro pugno allo stomaco. E’ andata a scavare dritto dritto in alcune delle mie paure. Giù a fondo in quella caratteristica tutta umana che è il modo in cui trattiamo i morti, e specialmente chi è morto in circostanze particolari. Quel desiderio, che nasce dalla nostra parte migliore, di sentirli più vicini di quanto non fossero, di attenuarne i difetti. Che però, quando viene portato agli estremi, diventa un sentimentalismo tanto melenso quanto falso (magari involontariamente falso, perché talvolta siamo davvero incapaci di fare i conti con la realtà).

Lance Clayton è un po’ la nemesi di John  Keating: Robin stesso aveva richiamato quel personaggio in un’intervista, proprio per dire che questo è quasi l’opposto: uno scrittore fallito, un professore le cui lezioni sono disertate dagli studenti – i pochi che le frequentano fanno comunque cadere le braccia – e padre di Kyle, un adolescente disturbato, non troppo intelligente, rancoroso e dedito a giochi erotici piuttosto spinti. Lance coltiva ancora il sogno di scrivere un giorno un romanzo di successo, ma si è quasi rassegnato all’idea che si tratti di un sogno inutile, che non si realizzerà mai.

Quando Kyle muore accidentalmente durante uno dei suoi giochi erotici solitari, Lance cerca di far credere che si sia suicidato e scrive una nota d’addio che improvvisamente cambia l’atteggiamento dell’intera scuola. Tutti quelli che un tempo avevano odiato Kyle, ora si scoprono affranti e colpiti dalla sua profondità e sensibilità; lo stesso Lance viene fatto oggetto di attenzioni mai conosciute prima e di una solidarietà tutta basata su un sentimentalismo superficiale, che non regge alla prova dei fatti.

Quando tutti cominciano a chiedergli se Kyle non abbia mai scritto altro, Lance crea dal nulla un diario fittizio che ottiene proprio quel successo che lui aveva inseguito tanto a lungo, e che mai avrebbe voluto ottenere in quel modo. L’unico che rifugge da questa manifestazione ostentata di amore postumo è Andrew, l’amico-vittima di Kyle, che anche su di lui riversava tutto il suo disprezzo, pur continuando a cercarlo.

Bobcat Goldthwait aveva già lavorato con Robin, molti anni prima, in Shakes the Clown, affidandogli il ruolo minuscolo ma a lui congeniale di un mimo, e lui aveva sbrigliato tutta la sua gestualità e la sua carica ironica.

Lo humour di Goldthwait era già nero allora e non è cambiato, ma si è forse ingentilito, o forse tutta la gentilezza viene proprio dallo straordinario sguardo di lui, Robin, che riesce a comunicare solo con gli occhi un’infinita gamma di sentimenti che in una situazione così possono davvero convivere tutti insieme: dolore, consapevolezza dell’ìronia di ciò che accade, senso di colpa, l’idea di approfittare in qualche modo del proprio affetto, il senso di perdita, reso ancor più terribile dal fatto di avere ad oggetto qualcuno che era di per sé odioso, e che pure non potevi fare a meno di amare per il semplice fatto che era tuo figlio; la consapevolezza della propria falsità e dell’ipocrisia di tanti di coloro che ti circondano; il desiderio di piacere comunque a tutte quelle persone e al tempo stesso la voglia, il bisogno quasi fisico di essere libero; e molto altro ancora. Potrei suggerire qualche scena ma sono tutte significative. E’ un altro di quei film anche visivamente particolari.

Da tutto questo sgorga, davvero con la naturalezza dell’acqua, quella citazione  che presa fuori contesto rischia di diventare l’ennesima manifestazione proprio di quel tipo di tributo troppo convenzionalmente mieloso che colpisce chi è già morto, in un certo senso uccidendolo due volte: all’inizio Lance raccontando di sé dice my biggest fear in life is that I’m going to end up all alone (la mia paura peggiore nella vita è di finire completamente solo). Dopo l’accaduto finisce per rendersi conto che l’affetto, l’amore, il vuoto che una persona ti lascia dentro, non ammettono surrogati e tantomeno l’insincerità, sia pure inconsapevole. I used to think the worst thing in life was to end up all alone. It’s not. The worst thing in life is ending up with people who make you feel all alone. (Una volta pensavo che la cosa peggiore nella vita fosse restare solo. Non è così. La cosa peggiore è finire con persone che ti fanno sentire solo). Il finale lascia più di una porta aperta alla speranza, perché da qualche parte la verità delle relazioni è sempre possibile trovarla.

Tanta bellezza in pochi metri

Anche questa volta le foto andrebbero “lette” al contrario, le prime sono quelle di Piazza delle Erbe, da cui sono partita, con i suoi portoni (immagini un po’ sfocate ma credo se ne intuiscano i decori), la sua statua (di cui non sono riuscita a sapere granché, sembrerebbe Eracle ma… e l’edicola della Madonna, davvero splendida secondo me. Poi i giardini Luzzati, la Piazzetta Mauro Rostagno, San Donato e Sant’Agostino e infine il ritorno per Vico del Fico che sembra già una poesia dal nome. Sono veramente due passi, un quarto d’ora andando moooolto lentamente e fermandosi a fare taaante foto 😀

 

SABATOBLOGGER 35. I blog che seguo

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Sourtoe Cocktail Club (Antonio Bianchetti). Il blog è delizioso già dalle categorie, a cui giustamente, essendo il Barman del Club, Antonio ha dato i nomi di cocktail (con traduzione a fronte, nel senso che a ogni cocktail corrisponde un tipo di musica, o la letteratura più amata – i titoli sono tutti interessanti – però non sempre la spiegazione dice tutto, i segreti vanno svelati a poco a poco a chi ha la curiosità di andare a guardare più da vicino). In un caffè letterario tutto va sorseggiato del resto, non solo i cocktail, ma anche l’arte. Ho scelto La strada delle stelle in rappresentanza delle sue poesie, ce ne sono molte altre che vale la pena leggere; Le cose importanti della vita nonostante io non sempre ami gli apologhi, ma questo mi è piaciuto molto, è buffo e profondo e tratta un tema che mi tocca molto da vicino; infine quanto alla musica, tanto per non sbagliare vado con questa top 20, i migliori dischi del 2015 così ce ne sarà per tutti i gusti!

Luca701 Un blog di immagini e parole, citazioni accompagnate da foto. Posso solo immaginare che riflettano i buona parte almeno le emozioni e le idee dell’autore, che di sé non dice nulla, ma d’altra parte il “sottotitolo” del blog è proprio “pensieri riflessioni ed emozioni” e mi pare che questo, invece, dica molto. “Qui una bella immagine con una citazione di Baricco, uno scrittore di cui ancora non ho deciso se mi piaccia o no, ma lascia in giro citazioni direi sufficientemente fuori dalla norma per i miei gusti. Questa invece è una citazione di Bob Dylan, infine propongo questi versi di Giacomo Leopardi. L’impressione complessiva è che Luca scelga le parole altrui e proponga i suoi pensieri con l’idea, che condivido, che la bellezza sia sempre utile, che esercitarsi a vederla sia uno dei modi, se non l’unico, di vincere altre cose più oscure, dentro e fuori di noi.

Detriti è il blog di Michele, Molisano, che si occupa di storia per mestiere e racconta storie per passione. Questa seconda informazione si potrebbe dedurre da ciò che scrive e come lo scrive. I più recenti tra i suoi post sono molto amari, sulla sua regione, sul Paese in genere, sui suoi abitanti, e anche sulla fatica giornaliera che a volte impedisce persino di mettere insieme le parole che pure ci sarebbero, e mi pare di capire che non sia una fatica solo fisica. E tuttavia, quando alla fine trovano la strada, quelle di Michele sono sempre, nonostante l’amarezza, parole pacate e scelte con cura, e questo le rende belle anche quando descrivono gli aspetti più demoralizzanti di quello che ci circonda. A me sono tanto piaciuti Stirpe dannataMillenovecentodiciassette e Bestie ma se vi fate un giro e ne scoprite altri, male non fa di sicuro.

Giardinaggio irregolare è il blog di Lidia Zitara ed è quello che appare fin dal titolo: un blog in cui di giardinaggio si parla cercando di scardinare senso comune, idee preconcette e addirittura una certa visione del mondo. Scelgo Come disse Gertrude Jekyll, che parla dei giardini monocolore e di come valorizzarli, perché io nutro il segreto sogno di avere almeno un angolo con fioriture bianche e forse il giardino bianco di Vita Sackville West non è estraneo a questo desiderio (anche se temo si tratti di un sogno irrealizzabile, per quanto, mai dire mai). Potete trovare anche consigli su come costruire un giardino roccioso o piante particolari come l’anchusa azurea, giusto per fare solo un esempio.

Serbatoio di pensieri occasionali Un blog che non è un blog, lo definisce il suo autore, Max, che ha la passione per la moto ma per il resto, dice, si stufa presto (escludendo le relazioni personali). Per cui il blog è un contenitore occasionale di riflessioni. Bella l’idea di non sapere di che cosa si parlerà, perché c’è sempre spazio per le sorprese e le cose interessanti non finiscono mai. Dal 2012 Max sembra averne trovate tante, benché adesso sia da un po’ che non scrive, ma l’aveva detto che neanche sulla frequenza di sarebbero state regole, speriamo che comunque torni presto. Vi propongo questo carinissimo Da cosa nasce coso, deliziosa presa in giro di un vezzo linguistico. 37 picchiatelli, 2 geni, 1 regista è il racconto di una full immersion estiva, trascorso parlando, discutendo, chiacchierando e scrivendo di scrittura, così vivace e intenso da farmi venire una gran voglia di partecipare; e infine William Blake e lo spaziotempo, una fascinose commistione tra fisica, poesia, esperienza e immaginazione.

Felice vagabondaggio tra i blog, a sabato prossimo!

Come un quadro giapponese

Più che rosa e oro, l’alba di oggi era azzurrina, con quell’atmosfera sfocata che ti sembra che davvero non ci sia solo vita e morte ma anche altro, una o più vie di mezzo, qualcosa di dolce, come l’ombra di un bacio, come i colori di un’antica passione con cui dipingi un amore senza fine. Il rumore del traffico sottostante che giungeva anch’esso vago, offuscato, come intorpidito, contribuiva a quella sensazione di osservare e ascoltare qualcosa di cui non fai del tutto parte. Nonostante il profumo dell’erba da poco tagliata; nonostante l’umido nelle ossa, che dalla terra saliva ai piedi e pareva quasi che mi stesse piovendo nelle scarpe; nonostante i crochi selvatici sparpagliati ai bordi del prato. Ho guardato il sole mentre faticosamente si faceva strada arrancando su per le colline e attraverso la lattigine che appannava il cielo. E quando infine ha guadagnato il suo posto su verso il centro della volta, somigliava pur sempre più a una moneta, sia pure d’oro, ma acciaccata dal tempo, dalla storia e dalle intemperie, che all’astro infocato che saliva sul suo cocchio (oggi sarebbe magari una Aston-Martin) e correva per il cielo come un indomito dio selvaggio. L’atmosfera mi ricordava molto quelle di certi quadri giapponesi, le nebbie, i vari toni del grigio, quella foschia che pare null’altro che un velo fragile, eppure toglie al sole gran parte della sua luce. E resta nell’aria quell’impressione d’irreale e di fragile, pur quando la nebbia scompare e il giorno alza la sua voce al di sopra della musica di quel sogno a mezza strada, senza riuscire tuttavia a farla smette di suonare. Se ascolti con attenzione, la sentirai scorrere, al di là delle montagne e forse anche del cielo.

Conosci quel posto tra il sonno e la veglia, il posto in cui ricordi ancora quello che stavi sognando? È lì che ti amerò per sempre (cit.)