Prendo le distanze

Come il Barone Rampante di Calvino, mi pare sempre più necessario, per la mia sopravvivenza, mantenere una certa distanza dal mondo, o almeno da una parte di mondo. Cosimo partecipava alla Rivoluzione Francese e alla Restaurazione senza mai scendere dagli alberi, dentro alle cose, ma anche fuori da esse, appassionandosi anche, prendendo certamente posizione, ma con lo sguardo disincantato di chi sa che le rivoluzioni passano, che ciò che oggi sembra nuovo sembrerà, domani, molto più vecchio di quel che l’ha preceduto.

I miei personali alberi sono i libri, il cinema, la scrittura. Cerco di capire, ma non mi sento (non voglio sentirmi) appartenente a questa visione che divide il mondo in buoni e cattivi, “noi” e “loro”, e chi non è con me è contro di me. L’altroieri ho avuto un altro primo premio per una poesia in un concorso che mi è molto piaciuto, dell’Associazione Assolutamente Azzurro di Vergato (Bologna), ho ascoltato le poesie dei bambini, la tenacia ostinata di chi cerca di educarli a vedere la bellezza nella loro vita e ad arrabbiarsi in una maniera costruttiva, che aiuti a stare meglio, e non peggio.

Ieri, poi, mi è arrivato Robin. Gli occhi allegri del capitano di un rimorchiatore in un libro per bambini, come li aveva definiti un giornalista. Mi tuffo in quell’allegria che non rinnega la malinconia, né la rabbia o il dolore, se è per questo, ma conserva una gioia profonda che non si lascia sopraffare mai.

Provo anch’io a essere felice a modo mio, e qualche volta ci riesco.

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La motivazione del Premio Alda Merini di Imola

Avevo scritto già una ventina di giorni fa, felicissima di ritorno da Imola, dove mi ero classificata prima al Premio Alda Merini, con la silloge (dedicata) “Canto del pettirosso”. Avevo anche accennato a quella motivazione che era causa non secondaria della mia particolare gioia per quel riconoscimento. Oggi finalmente sono riuscita a riscriverla, ed eccola qui, un dono prezioso:

Poesia della consapevolezza. Questa è la prima delle mille definizioni possibili per una poesia di grandissimo fascino. La prima definizione contiene in sé una serie infinita e diversificata di apprezzamenti coincidenti dei tanti che hanno potuto leggere e votare la Raccolta.

Poesia al femminile di grande pregnanza per quanto attiene alla lunga serie di poesie d’amore, testi tutti lontani le mille miglia dalla più sfruttata e dolciastra retorica dei sentimenti. “la pioggia non è mai d’argento/ e neppure la luna”, per fare una citazione. Lucidità di valutazioni “Sono sasso e libellula e ti amo” per farne un’altra.

Poesia introspettiva sempre disincantata e di profonda e penetrante acutezza e modi poetici del tutto propositivi. Se i significati sono sempre antiretorici e di grande fascino, il significante è ricco e articolato. Il verso libero è sempre misurato e meditativo e quando l’esigenza di narratività diventa dominante, si scivola con consequenzialità apprezzabile più che nella prosa poetica, in una poesia prosastica che nulla perde del potere magico della parola poetica. (Rodolfo Vettorello)

Momenti preziosi

Per tre giorni, in attesa dell’intervento, ho dato il peggio di me: rabbia, crisi isteriche, malumore diffuso e temporali sparsi con occasionali fenomeni di instabilità anche intensa e temperature decisamente al di sopra delle medie stagionali.

Venerdì mattina mi sono ricoverata, e da quel momento basta, una tranquillità quasi zen. Mi hanno chiamata alle sette del mattino, ma siccome ero l’ultima, ho aspettato fino a mezzogiorno. Nel frattempo mi hanno dato la stanza: a quel punto ero ricoverata e non avrei più potuto stare in sala d’attesa con mio marito, ma d’altra parte lui non poteva stare in stanza con me. A questo ho fatto qualche obiezione, ma sempre con calma fermezza, diciamo. Ho fatto presente all’infermiera, peraltro molto gentile, che se ero l’ultima e dovevo aspettare presumibilmente due ore (che si sono rivelate di fatto cinque), rimanere lì da sola con mio marito a venti metri di distanza ma irraggiungibile e invisibile non era il modo migliore di affrontare serenamente l’attesa. Siamo arrivate a un onorevole compromesso, che mi ha consentito di stare un po’ in compagnia e trascorrere il  resto del tempo leggendo beatamente.

Finalmente mi hanno portata giù per l’anestesia. Ho pensato alle case di San Francisco, alle sue colline, al suo oceano, che a volte ha il colore del Mediterraneo, altre quello della libertà, ho pensato a un certo sorriso, mi sono sentita dare della giovane donna due volte, mi hanno vista sorridente e predetto che non avrei avuto problemi. La previsione si è rivelata esatta. Mi sono addormentata al suono dei Coldplay e mi sono risvegliata pacificamente. Niente freddo, nausea, dolore, dopo pochissimo tempo giravo per i corridoi sotto lo sguardo esterrefatto dei pazienti e quello orgoglioso di un’infermiera. Roba da matti, ha commentato una parente di un altro ricoverato. No, roba da chirurgia, ha risposto l’infermiera sorridendo. Mi sono sentita molto contenta di me, lo confesso. E forse, tutto questo ha accelerato la guarigione, perché il morale ha influito positivamente sul fisico.

Ho una finestra vista mare, da cui, anzi, si gode un panorama che comprende anche una bella fetta della città, leggo, scrivo, mi riposo e sono più che moderatamente felice.

Nel frattempo, mia sorella ha ritirato per me un secondo premio e molti applausi e complimenti, (più un cavallino d’argento) a Voghera, per la poesia Jazz lento, e anche questo va bene.

Ieri sera ho mangiato, stamattina ho fatto una colazione quasi abbondante, avrebbe dovuto esserci il temporale, invece c’era il sole e il mare era davvero molto blu. Più tardi è arrivata anche la cortina di pioggia, accompagnata da un paio di lampi e un tuono poco convinto. Ho pensato a Delerm e ai suoi Piccoli piaceri della vita. E riflettevo, senza grande originalità, certo, e non per la prima volta, ma con una certa maggiore intensità, se lo sapessero, tutti quelli che vivono di rabbia e di paura, di minacce e di nemici, che vivere bene, oltre che più bello, non è poi così difficile…

Luminosa fragilità

Sai, amore mio, pensavo in questi giorni a quanto la forza possa essere strettamente legata alla fragilità. È una forza che confonde, che qualcuno addirittura scambia per il suo contrario. Pensavo che forse è in questo che più ti assomiglio: una fragilità che richiede la forza di commuoversi per ogni cosa, ma in maniera così profonda che diventa difficile capire il limite, e parlarne da fuori, con distacco. Si diventa vulnerabili. C’è una immedesimazione così totale con ciò che ti emoziona, che non c’è altro modo, per poterne parlare, che parlare d’altro. Dietro le improvvisazioni meravigliose, la rapidità quasi sovrumana di pensiero e di parola, dietro la risata a cui partecipa tutto il corpo intero, c’è sicuramente uno spazio di silenzio. Ed è quel silenzio che forse io ho sempre capito di più, anche se mi hai salvato la vita insegnandomi a ridere. È il silenzio delle cose che restano in gola, nello stomaco, il silenzio delle cose che si mettono dentro di sé, senza parlarne perché parlarne non sarebbe giusto. Perché lo sappiamo bene, tu e io, che non tutto si può dire, ci sono cose durissime, che richiedono la durezza del silenzio, per farle nostre e renderle sopportabili. Un silenzio che arriva all’anima, e te la scuote da cima a fondo, che crea ferite irrimarginabili, ma non riesce a piegarti. Un silenzio in cui l’amore non parla mai, semplicemente c’è, e riempie ogni sorriso di un’allegria che ha le vele al vento, che arriva dal mare, e al mare torna. Il silenzio di quella forza che ti illumina gli occhi, perché anche quando il dolore è fortissimo, tu sai sempre chi sei, e quello che vuoi. Quanta luce, amore mio, quanta luce nel tuo sguardo.

Parole d’argine

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Immagine presa da qui

Poesia segnalata al concorso “Voci… verdi” dell’Associazione Va’ Pensiero di Bassano del Grappa.

PAROLE D’ARGINE

Ho parole d’argine, segrete
per quando gonfia troppo il fiume
canto di ciò che tiene la terra quando frana:
un albero di magnolia, forte e fiorito
un angolo di casa al vento
e la notte per confortare la ferita della luce.
Io il fragore dell’onda lo sento dal mattino
provo a smorzare il silenzio del tempo
lo spietato lume che ci mostra
le miniere nude del cuore, i detriti;
è così lieve il tuo peso da portare
eppure mi pare a volte
che cedano le spalle alla fatica,
all’inquieta stanchezza d’ombre del cielo.
Anima mia, musica del mio sangue,
è troppo fragile questo guscio di noce
l’oceano è grande, sono lacere le vele,
a malapena sfioro il mormorio dell’acqua.
Non c’è limite alla bellezza del mare,
né al suo crudele inganno: sembra
che tutto torni, ma quel che restituisce
non è mai quel che s’era preso.
Dimmi del dolore che si fa poesia e teatro,
parlami delle tue mani diventate ali,
delle migrazioni di uomini e pianeti.
Mi perdo in questo gioco di terre e acque
e fuoco e cielo e nel tuo spazio d’alba
io che ti guardo da lontano
ti vedo come fossi il mio gomito, un ginocchio
le gambe aperte al mondo, l’incrociarsi
dei porti e delle assenze, fino
all’avvicinarsi delle strade. Ti ascolto piano,
a fior di labbra, il mare tra le tue dita
mi dà la misura del mio tempo;
e allora ridi sui miei fianchi, ridi amore mio,
che forse pioverà, e mi cresceranno i fiori
e le ali.

Coincidenze

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Stavo ordinando un libro che attendo con trepidazione. Dave Itzkoff è un giornalista del New York Times che ha scritto, su Robin Williams, cose molto belle ai tempi dei suoi spettacoli. Tra pochissimo uscirà una sua biografia, intitolata semplicemente Robin, che ho buone ragioni per pensare sia seria, sincera, affettuosa e attenta. Quindi l’ho preordinata. Nel preciso istante in cui ho cliccato  per completare l’ordine, mentre mi arrivava la conferma, mi hanno chiamato dall’ospedale per l’appendicectomia, da fare l’11 maggio. Coincidenze, ovviamente, ma di quelle coincidenze che mi rassicurano. Ok, tutto andrà bene.

La magia di provare

Guardo mio figlio piccolo che amorevolmente si coccola il cuginetto di un anno, mostrando una pazienza che con i bambini piccoli ha sempre avuto, ma che, anche se non lo sa, gli serve molto anche per sé stesso, e penso che ci sono, nella vita, dei momenti magici che non dovrebbero passare inosservati. Ci preservano, non dalla tristezza, o dalla rabbia, ma da una loro eccessiva influenza sulla nostra vita.

Sto trascurando alcune cose: i miei film serali, il giardino, i blog che seguo, il mio stesso blog, in parte, nel senso che non ci scrivo con la stessa frequenza di altri momenti.

La scrittura è un dono che permette di crearsi uno spazio di bellezza e di respiro, uno spazio proprio, lontano da ciò che appesantisce parte della giornata, personalissimo e al tempo stesso condivisibile.

È un dono a doppio taglio, che può essere estremamente doloroso e che comunque richiede spesso un impegno totalizzante; ma ci sono momenti che ripagano delle notti passate a scrivere invece di dormire, delle settimane intere in cui non riesci neanche a riguardare quello che hai scritto, non parliamo poi di creare qualcosa di nuovo, delle ferite che vai a scavare, dei momenti di sconforto in cui pensi che niente valga la pena. Ci sono incontri, viaggi, ricordi che restano nel cuore. Per questo considero la scrittura molto più una gioia che una condanna o una maledizione.

So di essere molto fortunata, perché vivo la mia vita intensamente quanto i miei sogni, la riempio, la identifico in parte con i sogni. La scrittura è una delle cose per me più reali, carne e sangue, ma è strettamente legata a uno dei sogni più importanti, un sogno che ha la parte egoistica del voler essere pubblicata (e di voler vendere, perché pubblicare un libro che resta poi dimenticato sugli scaffali delle librerie, se pure nelle librerie ci arriva, non è l’obiettivo), e una parte di desiderio di condivisione, la felicità di sapere che altri si riconoscono in quello che scrivo.

Oggi celebro un premio recentissimo, il Premio di Poesia Alda Merini,  che mi ha regalato frammenti di una felicità intensa. Ne sono onorata e orgogliosa, perché è un passo davvero importante verso la pubblicazione, perché ho avuto la gioia di emozionare molte persone che non avevo mai visto prima, perché ho ricevuto una motivazione che mi ha commossa più di quanto sappia dire, con i complimenti autografi di quello che è considerato uno dei grandi poeti viventi, e anche per l’umanità di molte persone che ho conosciuto, l’accoglienza dei luoghi, l’amore per quello che  si fa. Sono mattoni con cui ci si può costruire un piccolo nido, per quando fuori fa più freddo.

Subito dopo, mi è arrivata un’altra notizia che mi ha dato grande piacere e soddisfazione, legata questa volta al piano professionale, perché hanno accettato una mia proposta di presentazione alla Conferenza Annuale dell’Associazione Americana dei Traduttori. Ricevono  molte richieste e sono piuttosto selettivi. Anche questo ha a che fare con il mio amore per le lingue, le parole, il desiderio di condividere.

Una volta non ci avrei nemmeno provato. Potrei quasi dire che la cosa di cui sono più orgogliosa, forse, non sono i premi, o il fatto che la mia proposta sia stata accettata, anche se, l’ho detto e lo ripeto, sono cose che mi fanno molto, molto piacere, ma, prima di tutto, il fatto di averci provato.