Musica d’autunno – Autumn music

Amo pensarti la sera,
quando anche le porte degli armadi
smettono di correre inseguendo il giorno
e accolgono la liquida, tiepida dolcezza
dell’abbandono:
allora sciolgo in bocca le tue frasi ad una ad una
centellinando queste gocce di luce
danzanti sulla distesa salata dell’assenza
e parlo piano,
perché solo tu possa sentirmi, soltanto se lo vuoi.
Lo so che la pioggia non è mai d’argento
e neppure la luna, del resto,
che comunque, questa sera non si vede.
Non c’è niente, qui, che ti appartiene
se non questa mia anima un po’ sgualcita e lisa,
consumata dal troppo camminare a piedi nudi
sugli orli della distanza tra la terra e il cielo.

Amo pensarti di giorno,
in questo vortice in temporaneo movimento
che di cerchio in cerchio si avvicina al centro del tuo nome.
Tra orologi che tradiscono le mie partenze,
sempre in anticipo o in ritardo per il treno verso altrove,
tu sei il mio tempo giusto
e vivo senza risparmio entrambe le mie vite.
Non mi serve, forse questo amore,
non è che musica d’autunno, melodia di coriandoli
che sposta il mio cuore senza pentagramma,
un ghirigoro scarabocchiato con maestria
sul lineare andamento delle mie domande.
Ma l’utilità, del resto, mi serve ancora meno:
l’inutile ha imparato la preziosa arte
di non aver altro scopo che se stesso,
lo stesso senso di queste curiose sfere
gettate in ordine sparso nello spazio.

Dio se è difficile credere all’ignoto,
già è combattuta la mia fede
nelle cose che ho davanti agli occhi.
Chissà se gli angeli ridono davvero, adesso;
il paradiso, in fondo, è saper reggere al dolore,
perché sai cosa credo? Che senza dolore non si ride
– e nessuno più di te sa quel che dico.
Forse non ho quello che cerchi
ma so camminare sul ciglio dei burroni
reggendomi in equilibrio precario sulle mani
per non avere punti fermi, ma libertà d’aria,
viaggi di falchi pellegrini senza passaporto,
il muover silenzioso di una foglia incerta,
il miele scuro dei castagni, il sale nelle vele,
vento di mare e questo istante di corallo,
una strada che prosegue ben oltre le colline
e per noi, tutto il tempo del mondo, ora.

I love to think of you in the evening,
when even the wardrobe doors
stop running after the day
and welcome the liquid, lukewarm sweetness
of abandon:
then I melt your sentences in my mouth, one by one
relishing these drops of light
that dance on the salty expanse of absence
and I speak low,
so that only you can hear me, only if you want to.
I know the rain is never silver
and neither is the moon, indeed,
which, moreover, cannot be seen tonight.
Nothing, here, belongs to you,
except for this creasy, run-down soul
worn out by all this walking barefoot
on the brinks of the distance between earth and sky.

I love to think of you during the day,
in this temporarily moving whirl
that circle by circle, comes to the centre of your name.
Among these clocks that betray my departures,
always late or early for the train to somewhere else,
you are my right time
and I openheartedly live both my lives.
This love is useless to me, perhaps,
It’s nothing but autumn music, a confetti melody
that displaces my hearth without a pentagram,
a scribble drawn in a masterly way
on the linear trend of my questions.
Yet I need usefulness even less:
Uselessness has learnt the precious art
of having no other aim but itself,
the same sense of these curious spheres
randomly thrown around the space.

God, isn’t it hard to believe in the unknown
my faith is uncertain already
when it comes to things that are before my eyes.
Could it be that angels are laughing now;
heaven, after all, is just withstanding the pain,
‘cause you know what I believe? That without pain, one cannot laugh,
– and nobody more than you will know what I’m saying.
I may not have what you’re looking for
but I can walk on the edge of ravines
standing in unstable balance on my hands
‘cause I don’t want no anchor, but the freedom of the air,
the travelling of peregrine falcons with no passport,
the silent moving of an uncertain leaf,
dark chestnut honey, salt in my sails,
sea wind and this coral instant,
a road that carries on, well beyond the hills
and for us, all the time in the world, now

Un infinito solo

Chi non ha mai vissuto età dell’oro
teme le passioni collettive e le notizie rilevanti,
causano più esondazioni di una pioggia fuori norma;
sceglie solo bandiere logorate dal non uso,
e ama le parole screditate da chi ne ha fatto scempio,
genera storie senza sapere in nessun modo
da quale grembo sono originate,
da quale curiosità, da quale vita
o semplice fraintendimento,
un disguido dei sensi, un non capire,
l’embrione di una forma da cui trarre
la passione assurda di scrivere i giorni in-versi.
Si crede a vuoto in ciò che ancora non esiste
per orgoglio o per un sogno ingrato
che non restituisce mai ciò che gli presti.
Si scrive per amore, è il lato positivo,
quello più oscuro è che ti brucia il cuore
quando non sai tradurre la carne viva sulla carta
Si danza per finta, si canta con altre voci
si disegna un mondo che non somigli troppo al vero,
con l’obliquo rispetto di chi non s’immedesima
apolide senza vergogna, esule senza nostalgia,
per ogni raro ritorno verso casa
c’è una ripartenza verso nuovi poliedri sconosciuti,
trasversali viaggi dentro un infinito solo .

The absurdity of distances

I used to be beautiful
– it still happens, now and then –
– and I surely do like your eyes,
but there’s a difference between looking at beauty
and this bosom love
that comes into me from far away
like a nut kernel
and breaks the pain in my shell.
I am a warrior, maybe
a rebel out of curiosity
without so much noise;
I fight by silently laughing,
to myself,
of the absurdity of distances
of the colors of the paradise I’m still looking for
between your wrinkles and your young thoughts,
and I write as I don’t know what to say,
I hide life within a folded sheet,
You understand more quickly
by walking on the wrong paths
it costs a laceration in your flesh
in your soul, perhaps,
but still it’s better than taking the right way
to follow it all along
without even thinking twice;
it still is better than opening sad umbrellas
to shelter from the sun and the rain
better than changing over your wardrobe
every time a season ends.
‘Cause you see, my season
has always just begun
and I don’t turn my eyes away to shirk the pain
Poetry is not to take the memory from my body,
but so that your presence will be sweeter,
like a gentle caress, the shadow of a promise:
the past will come,
when we re-live every day
the charm of the first time we never had
and you’ll be able to sleep in my hug.
With you I’d come beyond the stars
and wouldn’t even be afraid to fall down
after all, as you said, up or down
it’s hard to say in hyperspace
I’d come on the roller coaster, to a country at war
or riding a bike on the asphalt
of the roads of San Francisco
and you’ll teach me to love you as one should
with eyes and mouth and legs and night and day
with that love that doesn’t remain on the threshold
but enters your room, down to the very end,
and sees you.

Legittima difesa

Proseguo quest’opera infinita,
di guardarti per essere felice ancora
di questo dolore che mi tiene viva,
curo la mia ferita perché meglio non guarisca:
è l’unica arma che mi resta
contro gl’inutili manuali di istruzioni
per l’utilizzo del forno e per la miglior scelta
delle paure da allevare sul balcone.
Ti imparo a memoria per guardarti invecchiare
e custodire l’oceano e i tuoi amati gesti
da questi ragni distesi a pancia molle
che blaterano con ammirevole tempismo
della libertà che non sanno più di avere,
e vorrebbero racchiuderti in acque più ristrette.
Io, invece, getto l’ancora al largo del tuo porto
per seguir meglio l’estro del timone,
e vorrei come te, al momento giusto,
saper morire per eccesso d’amore,
vorrei averti amato tanto
da lasciarti andare stringendo le tue mani
legato ad una corda fatta d’aria
che rallentasse il tuo volo d’un istante appena.
Mi contraddico per legittima difesa
per conservare la mia scintilla di follia,
la bellezza irregolare di un cielo imperfetto,
la sensualità del tuo vedere inoffuscato,
del tuo farti orecchio al frastuono ed al silenzio,
della tua bocca attraversata dalla pioggia,
dell’odore della tua vigna ad ogni ora del giorno,
del tuo toccare il nostro stomaco con dita così dolci,
del tuo gusto di giocare con la vita e la morte ad armi pari.
Dimmelo tu
come esporsi al mondo da ogni lato
essere dentro le cose guardandole da fuori
parlare di ciò che ricordi così bene
da poterlo ri-conoscere ogni volta
e ridendo addomesticare i tuoi e gli altrui sbagli
spostando la paura un poco più lontano.
Tu credi ad ogni maschera che porti
perché conosci bene il viso nudo che c’è dietro;
hai prestato sempre il tuo corpo alle parole,
portavoce di uomini e di dei,
e delle Muse soprattutto,
che non avranno rifugio migliore sulla Terra
che sotto la tua pelle, scavando nel profondo
fin dentro le tue ossa, fino al nucleo bruciante
che dalle vene porta il tuo candore agli occhi,
gonfiandoli di luce
e io
non dimentico.

Cuore disarmato

Ho liberato tutte le mie farfalle;
alcune tornano a posarsi sui miei petali.
Sono fogli di carta che ho scritto col tuo inchiostro
stelle cadenti che restano in aria come aquiloni.
Ritrovo la strada per la terra:
non ho mai dato nome alle stelle
né le distinguo nella trama del cielo notturno
e la mia bussola ha perso il nord da tempo.
Non è là che ti cerco, forse ti troverei,
ma conosco meglio la dolcezza svagata della strada
che conduce la tua voce alla mia gola,
quest’eco di sguardi e palpiti sottili di memoria
che percuotono il mio corpo ad ogni soffio del tuo vento.
La grazia del tuo universo ha la leggerezza della neve
ma riscalda i limoni e le buganvillee
che ricamo sulla ringhiera del giardino.
Mi perderei tra le foglie del tuo albero gentile,
per incontrarti nella lentezza di un respiro,
in un volo breve tra spiragli di muri
frammenti d’alba e nuvole sbrindellate.
Anch’io, sai, vorrei provare il deltaplano,
e riempio d’amore e d’aria i miei polmoni
per atterrare dove anche il mio riposo
avrà il multiforme, innamorato sguardo
che posi sulle cose, e dai loro forma e luce.
Poi m’accarezzano le tue parole di angelo menestrello
la tenerezza di chi sa che ogni persona
ha un dolore nascosto nella piega delle labbra
il coraggio di una resa incondizionata
al peccato grave di vivere a cuore disarmato.
Mi rifletto nel tuo specchio e sì, mi riconosco:
guardo passare uno stormo di sogni e di pensieri
raccolgo i tuoi passi e i miei panni stesi al sole
Un sorriso plana adagio, quasi indolente
e mi si ferma sulla mano