Ma…

Ma quanto bella è questa città? Ci ha messo proprio poco a stregarmi!

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Giusto per gradire, poi le metterò in ordine col diario di viaggio, promesso!

Il viaggio 2. L’arrivo

Prima impressione, com’è San Francisco? piovosa.

Suona deluso e riduttivo? Sì. Infatti lo è,  e anche molto (riduttivo, dico). La prima notte abbiamo dormito  (quel poco che siamo riusciti,  almeno io) in un ostello internazionale con tanto di studenti rasta e colazione faidate  (ayayayayay) (potete prepararvi i pancake con gli ingredienti che trovate in cucina) perché non ero riuscita ad anticipare la prenotazione all’hotel definitivo che partiva dal 30 mentre noi siamo arrivati il 29. Solo io potevo passare dal primo al secondo albergo nel preciso momento in cui l’acqua veniva giù come le mele (ma non potevamo fare diversamente) senza ombrello né impermeabile… entriamo in questa hall tutta moquette e aspetto old europe e ovviamente eravamo grondanti e non nel nostro miglior umore. Dopodiché non trovavo la carta di credito… incubo, tragedia, rovina e sciagura, eccetera, eccetera  (cit. ), altro che Halloween 😨mi vedevo già dover tornare al primo albergo sotto gli scrosci impietosi 😢. per fortuna invece poi l’ho trovata e… ma il resto alla prossima puntata! 😇

Jet Lag

Il jet lag mi è costituzionalmente estraneo, lo so da quando eravamo andati in Brasile a prendere i nostri figli, non ho malesseri o particolari disagi,però… In Italia è quasi l’una del pomeriggio, qui sono le 4.30 del mattino ma il mio corpo non è convinto da oltre un’ora sono sveglia benché non abbia dormito peur ventiquattr’ore di seguito e stia cercando di fargli capire che un po’ di riposo anche fuori orarie non gli farebbe male tanto alle 4.30 del mattino ché altro vuoi fare? Ma niente, non c’è verso, arriverà l’alba anche qui…😴

Il viaggio 1. in volo!

Alle 530 in aeroporto poi l’alba in volo in questo momento siamo a Seattle e dalle 4 30 di stamattina non dormiamo. 😨 l’aereo per San Francisco è in ritardo e io non vedo l’ora di fiondarmi in albergo per un sonno ristoratore. però come si vede le meraviglie non sisono fatte aspettare. Ho già scritto due pagine di quaderno e ancora non siamo neanche arrivati😎

-1 La meraviglia

Imparerò a osservare il quotidiano per scovare la meraviglia che c’è nascosta dentro. Ogni più piccolo dettaglio di ciò che abbiamo davanti agli occhi ogni giorno cela una scusa per poter continuare a stupirci. Ed è la stessa scusa che abbiamo a disposizione per inseguire i sogni. A San Francisco cerco l’inaspettato, il sogno, ma forse più di tutto cerco la meraviglia nella realtà.

Io continuo a stupirmi. È la sola cosa che mi renda la vita degna di essere vissuta.
(Oscar Wilde)

-2 Le citazioni.

Queste frasi sono brevissime e sono una più bella dell’altra, darei un’occhiata a tutte se fossi in voi, comunque copio e incollo qui sotto le tre che preferisco.

La prima volta che ho pensato a questo viaggio, però, è stata circa quattro anni fa, guardando in rete un programma del 2010. Robin era reduce dal suo “problemino di cuore”, la sostituzione di quella valvola difettosa, che lo aveva fatto sentire un po’ come una Chevrolet. Io non ne sapevo niente all’epoca, e ricordo bene il sollievo di capire che comunque tutto era andato bene e di vederlo in perfetta forma, sprizzare l’ironia e la gioia di vivere di sempre.

Era ospite di Jonathan Ross, presentatore di un talk show inglese. Ross gli aveva chiesto come mai avesse scelto proprio San Francisco, visto che poteva vivere ovunque volesse. Lo ascoltavo raccontare della prima volta che era arrivato, stregato da questo luogo fuori dell’ordinario, la nebbia che si riversava sulle montagne, la città affacciata sull’oceano, la bellezza in ogni dettaglio… eccetto i terremoti, ma dopotutto, diceva, stiamo su una faglia, è come giocare a dadi con la natura, ma ne vale la pena. E io, innamorandomi per l’ennesima volta di lui, mi innamoravo per la prima volta di un posto che non avevo mai visto, diventato poi il luogo geografico, fisico, la materializzazione di quel punto ideale in cui la bellezza supera la paura e capisci che il desiderio non è rimpianto per ciò che non hai, ma la spinta a ritrovare quello che conosci. Staccare i piedi da terra perché allontanandoti potrai vederla. E’ questo che ti permette di volare, dopotutto.  .

"One day if I go to heaven ... I'll look around and say, 'It ain't bad, but it ain't San Francisco.'" - Herb Caen Photo: San Francisco Chronicle

"San Francisco is 49 square miles surrounded by reality." - Paul Kanter Photo: San Francisco Chronicle / (c) Mitchell Funk

"It is a good thing the early settlers landed on the east coast... if they'd landed in San Francisco, the rest of the country would still be uninhabited." - Herbert Mye Photo: San Francisco Chronicle

-3 Il quaderno

Grazie a raffrag, mi ha dato un suggerimento che ronzava da un po’ in qualche angolo sperduto della mia mente ma non era arrivato alla coscienza: un quaderno, ecco una delle cose utilissime da portarsi dietro. Perché va bene il cellulare, il tablet e tutte le diavolerie moderne del caso (alle quali, non fraintendetemi, sono oltremodo grata), ma ci sono cose che richiedono la scrittura manuale. Non so ancora neanche bene che cosa, ma so che ci sono: sensazioni prima e durante l’atterraggio, il primo passo (un piccolo passo per l’umanità, un grande passo per me); lo spostamento dello sguardo, perché a me non sembra di essere una grande osservatrice, ma dovrò imparare a diventarlo.

E dunque ecco il mio quaderno, cioè le prime due pagine. Spero di arricchirlo anche con qualche foto mia, magari un paio di disegnini, che non siano sgorbi esagerati, appunti vari, materiali per i post… insomma questo è anche un po’ il vostro quaderno ❤

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dedicato a San Francisco, a un viaggio dell’anima che aspettavo da molto prima di saperlo, a tutte le cose che vedrò e non vorrò dimenticare, e a tutte quelle che ricorderò senza bisogno di vederle.

A un’ombra che si muove, a un altro cielo, a un respiro diverso. Al mio cuore com’è e come sarà, anche grazie a San Francisco, imparando a battere al ritmo di una città meravigliosa, alla generosità e alla libertà di chi ama ciò che sei e ciò che fai comunque, all’unica condizione che quell’amore tu lo veda, lo accolga e lo custodisca.

A una delle mie molte case, la più amata, la più desiderata, quella dove il cappello l’ho appeso tanto tempo fa, e ora è lì c he mi aspetta. Questo è il mio ritorno a casa.

– 4 le valigie

Uno dei momenti clou, croce e delizia di ogni viaggio, non parliamo poi di quando si va dall’altra parte del mondo. San Francisco, per essere in California, è freddina, ma rispetto al clima nostrano di questi giorni potrebbe fare parecchio più caldo. Ho guardato il meteo per i prossimi giorni, pare che ci saranno abbondanti piogge sparse, nel senso che pioverà quasi tutti i giorni, ma però poco. 😀

L’altro problema è la conversione dei gradi Fahrenheit nell’unità di misura utilizzata dal resto dei comuni mortali.

Questa la procedura di conversione:

Per convertire i gradi Fahrenheit in gradi centigradi occorre fare i seguenti passaggi:
sottrarre 32 dalla temperatura;
dividere il numero ottenuto per 9;
moltiplicare per 5.
Esempio: 95 gradi Fahrenheit quanti gradi Celsius sono? Inizia sottraendo 32: 95 – 32 = 63. Poi dividi per 9: 63 : 9 = 7. Infine moltiplica per 5: 7 x 5 = 35°C… piuttosto caldo, vero?
Invece per convertire i gradi centigradi in Fahrenheit occorre:
moltiplicare per 9;
dividere per 5;
aggiungere 32.
Esempio: 20°C corrispondono a: 20 x 9 = 180; 180 : 5 = 36

Dopo la prima riga già mi si incrociavano gli occhi ma alla fine sono arrivata alla provvisoria conclusione che dovrebbero esserci intorno ai 19-20 gradi, che non è affatto male, ma per i bagagli è un dramma, la più classica delle situazioni da “abbigliamento a cipolla“, bisognerà portare qualcosa di leggero per camminare ma anche qualcosa di più pesantino per la sera e per quando si sta fermi nella pioggia (o nella nebbia, che spero ci sia, resterei molto delusa se non ci accogliesse all’arrivo); occorrerà l’ombrello; ci sarà bisogno di maniche lunghe e corte, una giacca forse sì o forse no, insomma, stiamo sei giorni, non è che vorrei portarmi dietro la casa! Ho tirato fuori tutti i vestiti e adesso sono sul letto così con la scusa faccio anche il cambio degli armadi che magari è un po’ tardi ma qui l’autunno non si decideva mai ad arrivare.

A proposito, quando non pioverà dovrebbe spuntare il sole, forse un po’ di vento, ma mi sono rifiutata per il momento di fare anche la conversione della miglia orarie… 😦

(edit: no, non è vero, sono andata a cercarmi la scala dei venti e ora so che saremo tra la brezza tesa e il vento moderato. Insomma, si muovono i rametti, gli alberi no).

Umidità sempre intorno all’80% (ok, ci sta, c’è l’oceano).

Aaaarghhhh!!!!

(no, non ho visto Jack O’ Lantern, è che mi godo fino in fondo anche l’aspetto horror della preparazione dei bagagli sotto Halloween).

63. Stage Left: A Story of Theater in San Francisco

Stasera sono esausta anche se sto riprendendo a essere felice. Il mio piccolo soffre già di nostalgia preventiva e chissà, forse un po’ anch’io. Forse sono questi i momenti in cui si rischia di sbandare, perché la malinconia è un sentimento prezioso ma va riconosciuta e arginata.

Mi viene molto bene stasera di dover parlare di questo documentario del 2011 (di Austin Forbord) cui Robin ha preso parte, a quanto ho potuto vedere, in maniera marginale, il che mi consente di non soffermarmi troppo. Al tempo stesso, è legatissimo a San Francisco (parlando di coincidenze… proprio in questo momento… non è una mia scelta, visto che sto andando in ordine rigorosamente cronologico). Infatti si parla appunto della storia del suo teatro dal 1952 al 2010. Storia alla quale Robin ha dato invece un contributo tutt’altro che marginale. Una storia di sperimentazione, di innovazione, di superamento di muri e convenzioni, di teatro fuori dal teatro, di pensiero senza confini, che ha reso la città un terreno fertile per qualcosa che non ha termini di paragone al di fuori di questo luogo e che forse non sarà neanche più riproducibile (per quanto, speriamo il contrario!). E’ il clima di cui Robin si è nutrito, quello in cui ha imparato a osare, a mettersi in gioco completamente, a non avere paura di esagerare, mantenendo al tempo stesso un contatto fortissimo con il mondo circostante e le sue contraddizioni, letto con la sua considerevole intelligenza e la sua personale sensibilità.

Stasera ho ricevuto una email alla quale tenevo molto, il contenuto non è proprio quello che speravo, ma mi sono state date molte idee di luoghi importanti da visitare (inclusi i club in cui così spesso Robin ha creato le sue meraviglie improvvisate e reso indimenticabile la serata di amici, conoscenti, pubblico e persone incontrate per caso).

Qui c’è il link a uno spezzone, se aveste voglia di farvi un’idea: Stage Left. La voce narrante è di Marga Gomez.