La lettrice della domenica – nuovi libri e altre storie

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Biblioteca arricchita grazie al buono libri ricevuto come seconda classificata al Premio di Poesia Maria Maddalena Morelli – Corilla Olimpica, molto ben organizzato dall’Associazione Etruria Faber Music. (questa la pagina Facebook=. Personaggio interessante lei, tra l’altro, parlo dell’artista a cui il premio è intitolato: poetessa improvvisatrice del Settecento, appartenente all’Arcadia, incoronata in Campidoglio, decisamente non conforme al ruolo femminile tradizionale. Sono doppiamente orgogliosa quindi di questo riconoscimento in nome di una persona anticonvenzionale.

La poesia premiata è Vento in fiamme.

Nel frattempo non trascuro i vecchi amori. Di Claudio Magris e del suo bellissimo libro L’infinito viaggiare ho già parlato, e ne ho anche recentemente tratto una citazione, ma è uno di quelli di cui non mi stanco mai. Leggo meno di quanto vorrei, ma mi capitano quasi sempre libri splendidi, e infatti non mi limito a leggerli, ci viaggio dentro, in un tempo dilatato: letture che un tempo avrei completato in un paio d’ore, mi occupano giorni, mesi, talvolta non finiscono proprio, perché continuo a riprenderle, scorgendovi segreti sempre nuovi, proprio come in un luogo familiare, abitato o visitato migliaia di volte, sarà sempre possibile scoprire un segreto nuovo, un angolo, uno scorcio, una strada, o anche solo il fugace riflesso di una luce o un’ombra mai osservata prima, e che non si ripeterà.

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Così anche le parole non sono mai uguali, la stessa frase cambia suono secondo il nostro umore, il periodo che stiamo vivendo, o semplicemente il momento del giorno, della sera o della notte in cui l leggiamo. Se piove, il senso di quella frase non sarà lo stesso di quando il cielo è sereno. Ogni nuvola e ogni sbuffo di vento pure cambierà qualcosa.

Quello di Magris è un libro che racconta naturalmente di viaggi, sia pure in senso lato, e mi capita di leggerlo quasi solo mentre sono in viaggio. Quando ne scorro qualche pagina a casa, la sera, non lo trovo certo meno bello, tutt’altro, ma diverso. Leggerlo in viaggio mette in moto una serie di pensieri, di osservazioni, di modi di guardare la realtà fuori dal finestrino, su qualunque mezzo mi trovi, alzando spesso gli occhi dal libro; mentre quando sono ferma in poltrona mi lascio trascinare solo dal ritmo delle pagine, come se, non spostandosi il mio corpo, anche la mia mente si muovesse di meno. Ma anche questa temporanea immobilità è necessaria, per lasciarsi attraversare dalle parole altrui, senza interromperle con le proprie. Ci vogliono entrambe le cose, un equilibrio tra il lasciarsi ispirare e il lasciarsi trascinare, tra una lettura che diventa movimento e azione e una che invece celebra l’otium e uno spazio di quiete e silenzio al riparo da tutto, anche dai pensieri.

E poi in questo momento rifletto molto sul significato della scrittura, e della poesia in particolare, e anche questo mi dà uno sguardo diverso su un libro che di per sé, come molte cose belle, ha tanti strati, è semplice senza perdere la sua complessità, e viceversa.

La lettrice della domenica – sulla bontà, citazione da “L’infinito viaggiare” di Magris

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L’immagine della bontà è spesso collegata a un rapporto confidenziale e amichevole con le cose, a una rispettosa familiarità con gli oggetti, a un’attenta e sapiente capacità di maneggiarli con abilità, ma anche con cura e riguardo. La gentilezza rivolta alle persone, agli animali, alle piante si estende, spontaneamente, alle cose. al bicchiere in cui infila il fiore; la bontà è anche nelle mani, nel modo in cui si tendono verso altre o prendono un portacenere dal tavolo. L’attenzione, è stato detto, è una forma di preghiera, il riconoscimento della realtà oggettiva, di un ordine, di confini; un modo di guardare al di là e al di sopra del proprio Io, di sapere che nessuno è il satrapo tirannico e capriccioso del mondo né può devastarlo a suo arbitrio, come ci accade in quei penosi e impotenti scatti di collera in cui, non potendo distruggere noi stessi, gli altri o l’universo, facciamo a pezzi il primo oggetto che ci viene a tiro. C’è una robusta bontà delle mani, proprio di chi bada all’altro e non si concentra sterilmente solo sulle proprie smanie; assomiglia all’infanzia, la cui fantasia si accende per un sasso o per una scatola di fiammiferi vuota, e assomiglia soprattutto all’arte, che non esiste senza questa sensuale, curiosa e scrupolosa passione per la concretezza fisica e sensibile dei particolari, per le forme, i colori, gli odori, per una superficie liscia o spigolosa, per la rivelazione che può venire dall’orlo della risacca o dal bottone fuori posto di una giacca.

Claudio Magris, L’infinito viaggiare, Oscar Mondadori

Parlando di tranquillità e di equilibrio…

Si parlava di crearsi angoli di tranquillità e di equilibrio… ecco, questo doveva essere un weekend di relax, niente lavoro dopo dieci giorni di delirio. La campagna, la primavera, i primi fiorellini in boccio, la pace, il cuore che canta… no, vabbè, quella ero io ma non è che cantavo, ululavo per il male perché da ieri sera sono stata in preda a coliche addominali lancinanti. Un po’ sapevo di cosa si trattava quindi non mi sono proprio spaventata, però in certe situazioni uno un po’ ipocondriaco lo diventa. Comunque ho vinto io. Stasera sto bene (incrocio le dita), vi posto qui una citazione dal libro che sto leggendo (da un po’, ma che ci vogliamo fare, è un periodo così) e poi dopo mi metto a guardare un altro film del 1920. E se poi mi deprimo troppo, torno sul moderno e al mio Robin che ha il potere di tirarmi su di morale sempre. Anche quando piango.

“Nel Principio speranza” Bloch dice che la Heimat, la patria, la casa natale che ognuno nella sua nostalgia crede di vedere nell’infanzia, si trova invece alla fine del viaggio. Quest’ultimo è circolare: si parte da casa, si attraversa il mondo e si ritorna a casa, anche se a una casa molto diversa da quella lasciata, perché ha acquistato significato grazie alla partenza, alla scissione originaria. Ulisse torna a Itaca, ma Itaca non sarebbe tale se egli non l’avesse abbandonata per andare alla guerra di Troia, se egli non avesse infranto i legami viscerali e immediati con essa, per poterla ritrovare con maggiore autenticità”. (Cluudio Magris, L’infinito viaggiare, Oscar Mondadori).

E noi sappiamo, aggiungo io, che Itaca non è necessariamente un luogo esterno, Itaca è la nostra casa interiore, possiamo trovarla ovunque, nella nostra città natale o altrove, ma è proprio perché Itaca siamo noi, è la nostra anima come potremo conoscerla solo alla fine del viaggio, che per trovarla bisogna prima smarrirsi, allontanarsene per riuscire a guardarla da fuori e riconoscerla.

La lettrice della domenica – Claudio Magris, L’infinito viaggiare

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Questa è stata per qualche tempo una rubrica saltuaria, perché ero (sono) talmente presa, tra lavoro, libro, famiglia e sogni vari che leggere è diventato difficile, però spero di farla ridiventare davvero settimanale perché la passione per la lettura non si è attenuata, anzi.

Ho finalmente ripreso, sia pure a rilento, e non avrei potuto farlo meglio di così: il libro che sto leggendo in questo momento è stupendo! Già dalla prefazione che, dice l’autore:

si addice a una raccolta di pagine di viaggio, perché il viaggio – nel mondo e sulla carta – è di per sé un continuo preambolo, un preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro l’angolo; partire, fermarsi, tornare indietro, fare e disfare le valigie, annotare sul taccuino il paesaggio che, mentre lo si attraversa, fugge, si sfalda e si ricompone come una sequenza cinematografica, con le sue dissolvenze e riassestamenti, o come un volto che muta nel tempo.

La prefazione è una specie di valigia, un nécessaire, e quest’ultimo fa parte del viaggio; alla partenza, quando ci si mette dentro le poche cose prevedibilmente indispensabili, dimenticando sempre qualcosa d’essenziale; durante il cammino, quando si raccoglie ciò che si vuole portare a casa; al ritorno, quando si apre il bagaglio e non si trovano le cose che erano sembrate più importanti, mentre saltano fuori oggetti che non ci si ricorda di aver messo dentro. Così accade con la scrittura; qualcosa che, mentre si viaggiava e si viveva, pareva fondamentale è svanito, sulla carta ora non c’è più, mentre prende imperiosamente forma e si impone come essenziale qualcosa che nella vita – nel viaggio della vita – avevamo appena notato.

Il viaggio sempre ricomincia, ha sempre da ricominciare, come l’esistenza, e ogni sua annotazione è un prologo; se il percorso nel mondo si trasferisce nella scrittura, esso si prolunga dalla realtà alla carta – scrivere appunti, ritoccarli, cancellarli parzialmente, riscriverli, spostarli, variarne la disposizione. Montaggio delle parole e delle immagini, colte dal finestrino del treno o attraversando a piedi una strada e girando l’angolo.

[…]

Viaggiare ha dunque a che fare con la morte, come ben sapevano Baudelaire e Gadda, ma è anche un differire la morte; rimandare il più possibile l’arrivo, l’incontro con l’essenziale, come la prefazione differisce la vera e propria lettura, il momento del bilancio definitivo e del giudizio. Viaggiare non per arrivare ma per viaggiare, per arrivare più tardi possibile, per non arrivare possibilmente mai.

(Claudio Magris, L’infinito viaggiare, Oscar Mondadori)